FILOSOFIA DELL’ESISTENZA TRA TRAGICO E
COMICO - CORRELATIVO OGGETTIVO - BANALITA’ DEL MALE - METAFORA DEL SALI-SCENDI.
Casa
editrice “Il viandante”, prezzo di copertina 12 euro
Giusy Frisina, collaboratrice di Lèucade |
Tempo addietro mi sono trovata a disquisire
con una collega, durante una serata sulla poesia novecentesca alle Giubbe Rosse
presente il direttore artistico dello storico Caffè letterario (lo scrittore
Jacopo Chiostri) sul significato del cosiddetto “correlativo oggettivo”; ne
parlavamo a proposito della poesia di Eliot e di Montale, ritornato per
l’occasione nel suo amatissimo Caffè.
Non ero tuttavia affatto sicura di aver chiarito fino in fondo il
significato effettivo di questa espressione fino a quando, successivamente, mi
sono imbattuta in un libro insolito - dal misterioso titolo HASH MD5 - scritto
proprio da Jacopo Chiostri; il libro non sembrerebbe aver nulla a che fare con
la poesia, trattandosi di un romanzo giallo, il fatto è che non è semplicemente
un giallo...
Infatti, come ha precisato lo stesso autore
durante la recente presentazione, si tratta di un testo che rompe con la tradizione
del romanzo di genere, assumendo un
carattere più libero rispetto ai clichè
tradizionali del romanzo poliziesco (di cui lui rimane un esperto).
In primo luogo per lo stile ironico e
spesso divertente, nonché paradossale, quando non surreale, che caratterizza
tutta la vicenda pur fondata, che lo si voglia vedere o no, su un paradigma
tragico, caratterizzato tuttavia dall’assurdità e dall’apparente insensatezza
dei delitti di cui si narra.
Si tratta dunque pur sempre di una storia
fondata su un grave fatto criminale, ancora una volta da Chiostri incastonata
nella sua Firenze, una città piena di contrasti dove, per una strana alchimia,
l’atmosfera surreale finisce col diventare una sorta d’incredibile specchio
della realtà più cupa e inquietante, qualcosa che da un momento all’altro potrebbe
anche accadere, sebbene abbia dell’assurdo, in un quartiere di periferia di
questa città culla dell’umanesimo rinascimentale ove, obbedendo alla dialettica
degli opposti, il nostro tempo, a volte disumano, annida le sue folli
contraddizioni.
Quello che mi ha colpito del romanzo è
proprio il suo carattere paradossale, ma anche direi la geniale metodologia
narrativa per cui il riferimento agli aspetti più atroci dei delitti risulta in
qualche modo ‘riequilibrato’ dalla costante esibizione - teatrale - di personaggi
tutti più o meno illogici, cionondimeno divertenti, che incontriamo sia
nell’ambiente della questura, che nel condominio dove è avvenuto uno dei due
misteriosi omicidi.
Un’umanità che, come avrebbe detto Eliot,
“non può sopportare troppa realtà” e che tragicamente è rappresentata, nella
sua” poesia dell’esistenza”, in una forma frequentemente prosastica. Al
contrario qui questa umanità è “poeticamente” spinta a sviluppare, nei numerosi
personaggi ben caratterizzati che vi appaiono, comportamenti artisticamente
nevrotici e al limite del grottesco che talora possono sembrare anche
dissacranti, come quello della donna che parla con le ceneri del marito
contenute in un barattolo di amarene o della suora che si esprime come uno
scaricatore di porto, senza tuttavia perdere
l’una la tenerezza verso il consorte defunto, l’altra la propria profonda
spiritualità. E soprattutto senza che ci sia bisogno nella narrazione di dover
ribadire in modo esplicito cosa questi personaggi pensino o sentano (che è come
dire quanto prosa e poesia nell’arte si possano incontrare anche in un romanzo
giallo così particolare!).
In effetti è proprio in Hash MS5 che si
rivela in modo evidente il significato del “correlativo oggettivo” di cui
parlavo all’inizio, ed è questo il punto in cui il romanzo e la poesia si
incontrano.
Secondo Eliot - e Montale che ne sviluppò
il concetto - il modo migliore di esprimere emozioni in forma d’arte consiste
nel trovare oggetti, situazioni, eventi, che parlino da soli, ovvero che
possano costituire la formula di quella particolare emozione che si vuole
esprimere, così che i fatti esterni possano
costituire corrispettivo emblematico di una determinata emozione, per un
totale assorbimento delle intenzioni nei loro significati oggettivi.
Ora nel romanzo il dato più
significativamente oggettivo può essere espresso sia da una catena di eventi
sia più semplicemente dallo stesso comportamento dei personaggi e in particolar
modo dal protagonista principale, che nel nostro caso non può essere che il
valoroso commissario Gennaro, fragile nella sua solitudine forzata (la moglie
lo ha lasciato perché lui la tradiva col lavoro) e nella recente malattia che
gli fa tuttavia apprezzare il valore della vita oltre che nella necessità di
credere, malgrado le difficoltà e le controversie più o meno comiche, nel proprio
compito, e non solo per evitare il
temuto trasferimento in Sardegna minacciato di continuo dal Questore, altra
figura emblematica e complessa.
Emergono nel romanzo aspetti intensamente
esistenziali, come quello del rapporto con la morte, o come il tema,
intensamente etico, del male di cui emerge la banalità come ben diceva Hannah
Arendt.
Una banalità che è denuncia di un mondo
contemporaneo dove ad esempio un gruppo di giovani universitari provenienti da
famiglie “normali” che si ritrovano in un pub a bere e a far uso disinvolto di
droga traducono dei videogiochi in realtà. E tuttavia le idee trapelano sempre
tra le righe senza che l’autore, immune da ogni forma di retorica o di moralismo,
si permetta mai di darcene una riflessione troppo esplicita, lasciando al
lettore di giungere alle sue conclusioni, se vuole, oppure semplicemente divertirsi
e lasciare che il romanzo autonomamente svolga comunque
la sua funzione catartica.
Da qui la sua particolare leggerezza, che
niente ha a che fare con la superficialità; da qui la varietà colorata di
personaggi che non annoiano mai con le loro stranezze, perché proprio queste
stranezze li rendono così profondamente umani, compresi i colpevoli dei
delitti, pur se nel loro agire mostruoso.
Ma infine è proprio il commissario Gennaro
a tirare le fila di tutta la storia nel bellissimo dialogo finale con un
giovane giornalista, lui così discreto eppure vero protagonista, la cui “ira
funesta” talvolta è confrontabile con quella dell’eroe classico (non a caso,
per una strana trasposizione, al messaggio crittografico di HASCH MD5 è
associato al ben noto verso iniziale dell’Iliade) ma anche con la “pietas” di
Enea nei confronti delle vittime e dei deboli, una debolezza che per un momento
si riconosce anche al più colpevole, nel ricordo della sorellina morta, anche
se non può essere una giustificazione a un delitto efferato e gratuito che deve
essere consegnato alla giustizia.
Un’ultima parola, un’ipotesi ancora in
chiave filosofico-esistenziale sulla metafora della scala, che appare
all’inizio del romanzo, e che poi assume nella storia un significato legato al
modo apparentemente senza logica con cui sono state uccise le due vittime.
Il saliscendi dell’uomo che cerca il cielo
e precipita nei fondali è stato, sia pure in due forme diverse, usato dai
perversi assassini per rappresentare la morte
dei due poveri diavoli incappati (casualmente?) nelle loro grinfie.
Suona come una sorta di messaggio nichilista per i destini dell’umanità che non
vogliamo condividere, preferendo più poeticamente la visione di Montale il
quale, in una sua straordinaria poesia intitolata “I limoni”, vede “in ogni ombra umana che si allontana, una
disturbata divinità”. Credo che questa bellissima immagine appaia pure nel
romanzo e che l’autore la possa riconoscere come sua.
Giusy Frisina
Una recensione molto esaustiva ed articolata, quasi assimilabile ad un saggio breve.
RispondiEliminaRingrazio il gentile anonimo commentatore e lo invito a leggere il libro che ha ispirato una tanto approfondita recensione. Cordialmente. Giusy Frisina
RispondiEliminacara Giusy, il fatto è che il 99.999% della poesia che si è scritta in Italia in questi ultimi cinquanta anni è priva di correlativo oggettivo, come se non fosse mai esistito, quando invece questa è la procedura compositiva di base per qualsiasi tipo di poesia si voglia scrivere...
RispondiElimina..E guarda caso il correlativo oggettivo appare in un romanziere che rifugge la poesia è di cui pure la sua scrittura è intrisa. Grazie per il tuo commento, caro Giorgio. Giusy
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