Mariano
Menna: Frammenti di un osservatore.
Edizioni L’Arca Felice. Salerno. 2018
Quest’opera
preziosa è stata impressa nel mese di febbraio 2018. Ed è proposta agli amatori
da 1 a 199 esemplari numerati a mano. All’interno e fuori testo disegni di
Prisco De Vivo
Poesia
snella, elasticamente reificante
emozioni, rievocazioni, e riflessioni di umana consistenza esistenziale,
che, con audace sensibilità, esplora la condizione dell’essere sperso tra rien
e tout.
C’è in questi versi una netta coscienza del nesso
pascaliano, del travaglio della vicenda umana nella perpetua interrogazione
dell’hic e del nunc; del perché qui e non là; del perché oggi e no ieri o
domani. L’autore si appiglia a verbi di urgente resa ontologica, di forte espansione lessico-fonica, per agguantare
quegli input epigrammatici che lo vivacizzano e lo inquietano. Un odeporico
tracciato inclusivo e esclusivo dove gli abbrivi panici fanno da corpo
polisemico e proteiforme alle meditazioni sull’essere e l’esistere. 15 poesie
di apodittica soluzione, brevi e conclusive, ma anche da lasciare al lettore
gli spazi necessari nell’intendersi
rappresentato. Comunque poesie, che, penetranti e incisive, con la loro
forza sinestetico-allusiva, superano, nella storia poematica di Menna,
l’architettura rimica di tradizionale positura, per allungare il tiro verso
orizzonti di levatura totalizzante: una caratteristica che si fa leitmotiv del
“poema” arricchendolo di autenticità e organicità. Un realismo lirico di
memoria capassiana, uno scavo psicologico che alimenta un “poema” partorito
dallo sguardo attento e riflessivo di un osservatore della vita; di un poeta che dal suo scranno,
e con l’anima sguinzagliata nella via, osserva, prende appunti, rielabora, e
medita su: la terra arsa, gli alberi spogli, gli attesi ritorni, la pioggia
degli occhi, la pietra che parla, preghiere di sguardi... E lo fa con una
simbologia franca e un dire sciolto e armonico che gioca fra il classico e il
moderno. In fin dei conti è proprio l’uso di un linguismo personale lontano da ogni forma di epigonismo e di
contaminazione letteraria (non vedo in verità tracce di neolirismo nella poesia
di Menna, quanto piuttosto uno scavo sistematico di natura analitico
psicologica) a illuminare il dettato con uno spigliato andazzo. Il succedersi
ondulatorio della versificazione è dovuto alle vertigini di un’anima che, alla
ricerca di un universo personale, è in bilico tra l’immanente e la fuga dalle ristrettezze
della terrenità. E non disdegna l’Autore di concedersi a endecasillabi che, inseriti
fra accessori di varia misura, levano il capo con impennate di oggettivante
visibilità, riportando la narrazione ad un ritmo auspicante, dopo percorsi
aritmici, riposi di edenico appagamento.
Limo, Nel silenzio del
presente, Un atteso ritorno, Arcani moventi, Nebbia, Redenzione (dedicata a
Paolo Ruffilli), ... Amante di passaggio, Antiche voci, ... Aghi di pino, sono
i tanti titoli che concretizzano, con il loro dispiegamento emotivo, il percorso
intellettivo di un Autore che, cosciente della esilità della vita e dello
splennetico apporto dei ricordi, vive un percorso che, nella sua vertiginosa
corsa, lascia mucchi di ricordi “come se fossero foglie cadute/ed ammucchiate
col rastrello”; un percorso che talvolta
può far male e pungere più degli aghi di pino:
il tempo talvolta può far male
e pungere più degli aghi di
pino
La
silloge è impreziosita da disegni di significante resa estetica dell’artista
Prisco De Vivo che bene accompagnano con il loro fervore creativo la ricerca innovativa
di Menna.
Nazario
Pardini
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