mercoledì 9 gennaio 2019

E. CECERE LEGGE: "... E CI INDOSSIAMO..." DI L. PARABOSCHI



Ester Cecere, poetessa, narratrice,
critico letterario

…e ci indossiamo stropicciati” di Luigi Paraboschi, Terra d’ulivi edizioni, 2018

Ha un titolo emblematico la splendida e significativa raccolta di versi di Luigi Paraboschi, titolo efficace, di immediata comprensione. A un certo momento della nostra vita, ci accorgiamo che non siamo quelli che credevamo di essere, ci scopriamo fantocci, semplici abiti che, ammassati in un armadio, quasi per negligenza, si spiegazzano, si stropicciano

Sempre chiusi rimaniamo dentro quegli spazi
che sono privatamente nostri e che non vogliamo aprire,
come un armadio in cui si accumula la biancheria
lavata ma non stirata e solo all’occorrenza
si prende a caso ciò che serve e poi s’indossa
quello che richiede l’occasione ma
la nostra scorta di chiusure è così grande
che non basta buona volontà per fare di noi
esseri nuovi e alla fine ci indossiamo stropicciati. (Da “Il ghiaccio della gronda”).

La lirica che apre la raccolta introduce subito uno degli argomenti portanti del sentire dell’Autore, tema che verrà ripreso più volte e sviscerato esaustivamente, quello della “chiusura”, la chiusura agli altri, al nostro prossimo sensu lato, la chiusura dovuta a silenzi egoistici che non abbiamo il coraggio di interrompere

Alla fine resta il bisogno di bisbigliare
dentro un orecchio sillabe
che non si ha il coraggio di pronunciare
Si rimane come oggetti abbandonati
sopra una sedia, simili a una camicia
ancora non stirata o un paio di pantaloni (Da “Scavi”).

Ritorna la calzante metafora degli abiti non indossati, che quindi non vestono un corpo, “vuoti” anche di un’anima. Non è forse chi indossa un abito a conferire a esso vita? E non si anima forse l’abito stesso della personalità di chi lo indossa? Ché lo stesso abito appare diverso se indossato da persone con portamento e carattere differenti.
Il Poeta ci esorta, quindi, ad aprirci, a non vivere chiusi nelle “parentesi”, dato che persino

… l’algebra insegna
che prima o poi tutte le parentesi
devono essere sciolte
per ottenere
la risposta all’equazione, (Da “Vivere tra parentesi”).

Altro pilastro tematico di questa raccolta è la “ricerca” o meglio “l’assenza della ricerca”. La vita, quella vera, consiste nel porsi delle domande, cercare risposte, spiegazioni, consiste nel tentare di comprendere, nel cercare il senso della nostra esistenza, del nostro essere presenti sul pianeta Terra. La mancanza di ricerca è un’assenza senza la firma dei genitori (da “Non è vita il tuo attendere”), un’assenza ingiustificata, quindi! Cercare, comprendere, guardare verso la luce con l’intento di accostarsi alla verità pur col rischio di accecarsi è meglio che dibattersi in poca acqua stagnante

No, non è vita l’annaspare
dei piedi dentro l’acqua. Per stare
a galla è meglio fare il morto
ad occhi aperti  verso un cielo
che sfarfalla di bagliori sopra
le nostre ciglia secche per il sale. (Da “Non è vita il tuo attendere”).

E continuamente l’Autore ci mette in guardia dal non cadere nelle sabbie mobili di una “non vita”, di una vita solo all’apparenza vissuta

Dici che temi la vita virtuale,
lega le mani e non ha confini, ma
quella che trascorriamo è più reale? (da “Raccontami l’acqua che è già corsa”).

Domanda diretta e spiazzante. E’ vera vita quella che viviamo? Ce lo saremo chiesto forse qualche volta, ma senza soffermarci più di tanto su questo interrogativo scomodo, eludendo la domanda, evitando la risposta e rientrando rapidamente nell’ingranaggio che ci disumanizza.

Raccontami l’acqua che è già corsa
prima che la vita ti accorciasse la cavezza, (da “Raccontami l’acqua che è già corsa”).

Non dobbiamo permettere che le pastoie della quotidianità nella quale ci muoviamo come automi telecomandati limitino i nostri movimenti, anche quelli interiori! Insiste il Poeta, ci avvisa! La vita è galoppo, è libertà interiore, è slancio genuino dell’essere!

E risuona come un mantra il tema della “chiusura” e delle sue nefaste conseguenze

e lasciami cambiare le mura che cerchi
di costruirti attorno – fortezza
senza ponte levatoio – con semplici mattoni
o sassi uno sopra l’altro e con una
porta dove chi entra resta… (da “Raccontami l’acqua che è già corsa”)

ché la vera vita è apertura, comunicazione, condivisione, comunione, accoglienza, solidarietà

di veramente nostro, unico
ed irripetibile sono le impronte digitali
il resto di noi è tutto umano e universale,
è vita, amore, sofferenza, attesa, morte,

niente che non sia uguale a ciò che possiede
pure quel mio vicino che mi siede accanto
al quale non rivolgo l’occhio per indifferenza. (Da “Solo le impronte digitali”).

Con metafore efficaci e catturanti, l’Autore quasi ci supplica: non permettiamo che la nostra vita diventi un bivacco, abbandoniamo

l’illusione
d’essere gli anelli forti di una catena
quando
…la secchia che gettiamo in fondo
al pozzo non porta su che fanghiglia e sassi. (Da “La non appartenenza”).
Dobbiamo assolutamente evitare che il giorno sia un peso senza ragione / un foglio bianco con tracce di parole (da “Di prima mattina”).  La vita va “bevuta”, a grandi sorsi, con sorsate dissetanti, che ci liberino dall’arsura di un calore insopportabile

Sento allora uno strappo all’anima
se m’accosto all’orlo d’ogni bicchiere
che non porto al labbro
perché so già che resterà la sete, (da “Quella sottile voglia”).

E ancora, non mettiamoci nella condizione di rimpiangere di non aver vissuto, addirittura di dover dimenticare di non aver vissuto per sopravvivere a noi stessi (da “Le vecchie litanie”).

Ci ricorda, il Poeta, che viviamo costatemente nel pericolo di una vita senza un senso, infinita notte invernale, al termine della quale

…rammentarci
che la razionalità è un lago di abbandono
nel quale siamo andati a fondo. (Da “Le notti lunghe dell’inverno”).

Viene introdotta, con questa lirica, un’altra parola-chiave della raccolta: razionalità. La razionalità è nemica dell’uomo, sottolinea l’Autore (ciò che avresti voluto / se avessi smesso di pensare da “Persone come libri”). Razionalizzare tutto e troppo uccide lo spirito, ne blocca gli slanci e i voli, ci rende mongolfiere senza lo spirito… / condannati a ripiegare su terre desolate (da “Tutto il respiro”).

A questo punto il lettore potrebbe scoprirsi confuso. Siamo invitati a comprendere il senso della nostra vita, a cercare risposte alla domanda: perché esistiamo? Ad avvicinarci alla verità. Ma come fare tutto ciò senza l’aiuto del ragionamento? E già, ci invita a riflettere, Luigi Paraboschi. Dobbiamo comprendere col cuore, non con la ragione. Questo è il segreto. E lo afferma esplicitamente

e non avvelenare il sangue per celebrare
l’esaltazione dell’intelligenza, e
lascio scorrere lo spirito dove vuole
certo che la risposta è chiusa dentro
il mistero d’accettarsi per divenire uomo. (Da “Basta il mistero”).

Si, é così. Dobbiamo accettarci esseri finiti con dentro l’infinito, ché l’uomo ha in sé l’infinito, e l’infinito è mistero e come tale non può essere razionalizzato.

Come comprendere quindi il mistero? Potrebbe chiedersi il lettore. Il mistero non si comprende, si intuisce col cuore. Del resto Pascal non affermava forse che “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”, per sottolineare che noi conosciamo la Verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore? E tuttavia l’intuizione del mistero può avvenire solo nelle condizioni opportune

Quando avrai girato l’interruttore tra te e il mondo
E non ti lascerai più condurre in giro dal rumore.
E quando scoprirai che nell’accettarsi
figlio d’un Padre silenzioso ma non assente
sta l’inizio e la fine di ogni ricercare
la tua storia diventerà un libro chiaro. (Da “Il silenzio è da catturare”, titolo emblematico che ci ammonisce, che ci ricorda quello che dovrebbe essere un must della nostra vita).

Ecco, solo spegnendo in noi il rumore del mondo, ora brusio costante in sottofondo, ora chiasso assordante, rumore che ci stordisce, ci confonde, ci paralizza, ci impedisce di pensare, possiamo avvicinarci al trascendente, possiamo scoprirci figli di Dio. Potremmo intravvedere nel rumore del mondo una sorta di “divertissement “ di pascaliana memoria, da Pascal inteso nel senso etimologico del termine di deviazione e allontanamento (dal latino devertere, cioè deviare, allontanarsi). Il “rumore del mondo” va inteso sensu lato, non solo propriamente come suono confuso, sgradevole, ma anche come qualsiasi manifestazione e/o attività che monopolizzi la nostra attenzione e ci impedisca di pensare, di riflettere.

Intuendo il trascendente, diventa chiaro quindi il cammino dell’uomo, cammino che solo apparentemente è unidirezionale, cioè verso l’alto, verso Dio, poiché esso é anche orizzontale, verso il prossimo, col quale tutto condividiamo del nostro percorso terrestre. Tuttavia, non dobbiamo aspettare troppo per avvicinarci al Padre e ai nostri compagni di viaggio perché

Non servirà il rammarico o il disappunto
per le scelte troppo a lungo rimandate.
Le nostre non azioni, l’indifferenza,
quell’accidia sottile che accompagna sempre
la mancanza di carità saranno lì… (da “Allora, non prima”, lirica coinvolgente, vera e propria sinossi della raccolta poetica).

E torna ancora la parola “carità” spesso contapposta a “indifferenza”. Il Poeta ci esorta a non farci bloccare da

…i nostriplacebo, bugiardini
per le nostre coscienze – civili
ma prive di carità –

a causa dei quali  

non sapevamo
allora la pena d’osservare chi
allatta con la miseria  accovacciata
al seno… (da “Una generazione”).

Versi altamente significanti. Di grandissima potenza immaginifica, l’espressione allatta con la miseria  accovacciata al seno… Pare di vederla questa madre che allatta al seno vizzo il figlio scheletrico dalla testa troppo grande! E’ una pugnalata che ci colpisce improvvisa, quando meno ce lo aspettiamo.

E’ pervasa da una grande fede la raccolta poetica di Luigi Paraboschi, una fede acquisita ormai definitivamente, intimamente posseduta, che sia stata cercata o che sia stata ricevuta in dono, una fede che consente di amare il prossimo attraverso l’amore per Dio. E tuttavia i suoi versi suggeriscono molte riflessioni anche al non credente ché sui principi dell’etica dovrebbe basarsi il vivere civile.

Le liriche sono significanti, catturanti, i versi liberi, lunghi, interrotti dopo parole sulle quali il Poeta vuole che il lettore si soffermi. Un tale verseggiare conferisce ai componimenti poetici un andamento lento, ché probabilmente l’Autore desidera che esse vengano lette con calma, per comprenderne appieno il significato, meditarlo e farlo proprio.

Andiamo e amiamo, quindi, senza la paura di slogarsi l’anima (da “Solo le impronte digitali”). Che potente resa fisionomica questa espressione! E’ sotto i nostri occhi questa anima claudicante a causa di una buona azione!

E adesso, vi prego, facciamo silenzio. (Da “La verità, vi prego, sull’amore”).

Leggiamo e rileggiamo questa raccolta di resa poematica che è un manuale di vita, un prezioso viatico. E lanciamoci al galoppo verso il prossimo nella vita vera, sicuri che

Dio ci ascolta anche quando
lo pensiamo con la “d” minuscola. (Da “La verità, vi prego, sull’amore”).

 Ester Cecere


3 commenti:

  1. Quella che Ester Cecere ci presenta in questa nota di lettura, è una raccolta di poesie del poeta Luigi Tiraboschi. Poesie che possono essere strumenti per interrogare la società e per interrogare noi stessi. Già il titolo è un verso di ampia interpretazione ...e ci indossiamo stropicciati.
    Un senso di inadeguatezza, di provvisorietà, di incapacità ad interpretare la vita, la nostra vita con gli elementi che amiamo. Il poeta ci esorta ad aprirci a vivere pienamente e ad accettarsi e leggere nel silenzio la presenza dell'amore. I commenti a questi versi immediati per forza espressiva, ci permettono di assaporare il valore autentico della poetica dell'autore.
    Attraverso questa nota di lettura scopro un aspetto critico di Ester, capace di scavare tra i versi e di dare respiro al impeto poetico dell'autore.
    E'stata una piacevole lettura, complimenti a Ester, un bravo a Luigi per la sua raccolta e un grazie a Nazario per aver pubblicato l'articolo.
    Un caro saluto

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  2. E' un ottimo lavoro questo di Ester Cecere sulla poesia di L. Paraboschi.
    Una presentazione esauriente dove il senso dell'opera procede disteso, analizzato e commentato punto per punto con estrema chiarezza. Si potrebbe dire una piccola dissertazione filosofica sopra un testo poetico già di per sé alimentato da concezioni filosofiche esistenziali, che toccano il campo dell'etica e infine della fede.
    Molto interessante il dettato poetico che dalla riflessione iniziale- apertamente amara- del "vuoto di noi, abiti stropicciati , senza alcuna identità" porta alla considerazione conclusiva che la vita " è vita, amore, sofferenza, attesa..."
    Il commento di Ester Cecere segue il sofferto percorso del pensiero del Poeta con evidente appassionata condivisione; ne risulta una pagina critica che , nonostante la lunghezza, scorre senza fatica, per la chiarezza espositiva e la puntualizzazione consequenziale dei versi.
    La poesia dell'Autore ne esce in tutto il suo valore, e si fa apprezzare in ogni sfumatura.
    Al poeta Paraboschi e alla scrittrice e poetessa Ester Cecere i miei più vivi complimenti.
    Edda Conte.

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  3. Ester, non so che dire oltre a ciò che già sai: la tua lettura mi ha riempito di gioia perché dimostra che hai catturato perfettamente il senso delle mia poesia. Non ho parole per dirti il mio grazie, ti abbraccio. Luigi Paraboschi

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