venerdì 4 gennaio 2019

PASQUALE BALESTRIERE: "DEL TRADURRE"

DEL TRADURRE

Traduzioni e traduttori  (Tradimenti e traditori?)

Pasquale Balestriere,
collaboratore di Lèucade

Che l’operazione del tradurre sia un’arte è cosa risaputa e condivisa. Solo che al termine “arte” viene attribuito generalmente il significato neutro di “attività” e non -come pure si dovrebbe-  quello vero e  proprio di “Arte”, che è l’unico giusto. Almeno nel caso in cui ad essere traslata da una lingua all’altra è la regina delle arti, cioè la poesia.
Ma procediamo con ordine e senza noiose teorizzazioni, ma anzi attenendoci  a dati reali e, possibilmente, incontrovertibili. Accade spesso di sentire dalla bocca di studiosi di letteratura e di altri  addetti ai lavori che tradurre è sempre tradire; e che, quindi, la traduzione è innanzitutto un tradimento, tanto che traduttore diventa quasi sinonimo di traditore. Ma stanno davvero così le cose?

Etimologia

Diciamo subito che la faccenda di una presunta  sinonimia  “tradurre/tradire” esce malconcia  da un confronto etimologico fra i  due termini che, seppure fonicamente e graficamente identici nella loro parte iniziale prepositiva (tra-) e nella consonante che la segue (/d/), hanno in realtà significato diverso.  Infatti “tradurre” deriva dal latino “trans” (oltre, al di là, attraverso) e “ducere” (condurre, portare): quindi “portare oltre, al di là” cioè -per ciò che attiene al nostro discorso-  “trasportare da una lingua all’altra”,  ossia “tradurre”. “Tradire”, invece,  trova il suo fondamento nel latino “traděre”, da “trans” (oltre) e “dare” (dare, consegnare, affidare). Il verbo “traděre” ha tuttavia doppio significato: quello di “trasmettere, consegnare qualcosa a qualcuno”, da cui deriva il termine  “tradizione”; e quello di “consegnare con inganno qualcosa o qualcuno al nemico, macchinare contro la vita di qualcuno”, da cui il verbo “tradire” e il sostantivo “tradimento”. È interessante poi constatare come, sotto il profilo semasiologico,  i due valori  di “traděre” si fondano per la prima volta nei testi sacri cristiani (in primo luogo nel Vangelo), laddove si parla del “tradimento” di Giuda che “consegna con l’inganno” Cristo ai suoi nemici.

Tradurre/tradire, specialmente in poesia

Dunque, anche etimologicamente oltre che semanticamente,  tradurre e tradire son cose diverse. Perché dunque gli esperti si ostinano a sostenere l’identificazione “tradurre/tradire”? I motivi sono molti e anche validi. Ma innanzitutto occorre premettere che vi sono tanti tipi di traduzione. Se occorre ridurre in altra lingua un testo in prosa, magari di natura denotativa o argomentativa, il prodotto nella lingua di destinazione è in genere molto vicino al testo originale, fino a identificarsi  quasi con esso. Il discorso cambia, e di molto, quando oggetto della traduzione diventa un testo connotativo, segnatamente un testo poetico; ed anche qui è riscontrabile un diverso grado di difficoltà nel tradurre che va, in senso crescente, dalla maggiore oggettività (e quindi traducibilità) della poesia epica alla soggettività e quasi intraducibilità della poesia lirica, passando attraverso il territorio comunque minato della poesia  drammatica.
Vale la pena di chiarire subito che qui, in particolare,  l’unica traduzione che  interessa è quella dei testi poetici, decisamente la più complicata;  e cerchiamo  di individuare  lucidamente e sinotticamente i motivi per cui  una traduzione può diventare un vero e proprio tradimento. Al primo posto va situata la specificità delle lingue, quella di partenza e quella di destinazione,  anche se appartenenti allo stesso ceppo. Qui il tradimento è necessario. Codificato e determinato dalla stessa diversità dei due patrimoni linguistici in gioco, con l’estrema varietà  e singolarità dei significanti. Ciò è tanto più vero se si pensa al concetto pirandelliano dell’incomunicabilità anche tra persone che parlano la stessa lingua, nel senso che le parole hanno un significato diverso per chi le dice  e per chi le ascolta, perché  -chiosiamo-  diverso è il grado di possesso, diverse e individuali la dimensione  e percezione, anche  “fisiche”,  del lessico e delle strutture.  Oltre che la  peculiarità di ogni singola lingua, frappone ostacoli a una corretta traduzione  la diversa dislocazione spazio-temporale  dell’opera di partenza rispetto a quella di arrivo, con tutte le implicazioni del caso. In più va considerata, specialmente per i testi poetici, la capacità di offerta della lingua di destinazione (ricchezza lessicale e fonematica, potenzialità fonosimboliche, allusive, evocative e, relativamente alla versificazione, quelle rimiche, ritmiche, musicali ecc.); e vanno pure tenute da conto l’abilità e la perizia, del traduttore,  che deve mettere correttamente a fuoco testo e autore. Perché, se tradimenti vi sono, questi -almeno nel nostro caso- hanno sempre un nome e un cognome.

Doti del traduttore

Al traduttore, specialmente se di poesia dove il linguaggio è sottoposto a tensioni e pressioni notevoli e a volte anche eccessive, è necessaria una profonda e raffinata conoscenza della lingua di  origine dell’opera e di quella di destinazione, percepite entrambe  fin nelle sfumature di significato;  e, ancora, padronanza quanto più possibile piena di tutti gli strumenti della comunicazione scritta; inoltre fine gusto estetico e senso della misura, per percepire e riprodurre il testo nelle sue caratteristiche, nella sua specificità, nella sua essenza, nelle sue atmosfere: perché la traduzione è un viaggio, un’avventura dello spirito e dell’intelletto, un’impresa connotata da intuizioni epifaniche  o esegetiche e da mo(vi)menti traslativi e ri-creativi.  Bisogna sempre  ricordare che a muoversi da una lingua all’altra è un complesso corpus semantico che richiede al traduttore  dedizione generosa e totale, un corpo a corpo con l’una e l’altra lingua, una sensibilità prensile e vibratile che supportino l’operazione del tradurre nel corso completo  del suo farsi, nelle singole fasi del suo definirsi. E tutto ciò non sembri eccessivo, non si commetta l’errore di ritenere superflua una sola di queste doti; ché anzi chi traduce deve aggiungervi una precisa conoscenza  non solo dell’opera che lo coinvolge, ma anche delle altre opere e delle vicende biografiche dell’autore, oltre che del suo periodo storico e delle opere consimili (se ve ne sono) di altri autori; e, insieme, tener ben presente la realtà umana e sociale destinataria della sua fatica intellettuale, il pubblico insomma.  In poche parole  il traduttore deve mettersi nei panni dell’autore, consonare con lui, ancor più se questi è un poeta; e, nonostante tutto ciò, avere la consapevolezza  che il testo di arrivo sarà altro rispetto all’originale.

Come tradurre

Poiché la traduzione è, nella sua prima fase,  sottrazione di un testo alla sua lingua originaria, quella della seconda fase deve essere soprattutto un’opera di restituzione. Perché ciò avvenga nel modo più indolore possibile, è fondamentale che il traduttore sia in pieno possesso dei requisiti ricordati poco fa, con l’aggiunta, magari, di capacità poetiche.  Va detto però che quasi mai l’operazione di restituzione trova completa, ossia totale, realizzazione -soprattutto, come s’è detto, per la diversità delle lingue coinvolte- .  E allora? Allora la bravura del traduttore sta nel ridurre quanto più possibile il tradimento, stando vicino al testo ( e qui non c’entra niente la cosiddetta “traduzione letterale”, che anzi è opportuno evitare), al suo significato o senso;  “leggendolo”, anzi svelandolo, con delicata acutezza e prudenza esegetica, fin nelle pieghe più recondite.  Fedeltà al senso, dunque, come elemento fondamentale della traduzione, preservando per quanto possibile gli elementi caratterizzanti lo stile dell’ autore, evitando corse in avanti  ed anche velleitari e dannosi tentativi di malintesa attualizzazione o modernizzazione. E tenendo la barra dritta, stando nel testo e attenendosi alle sue ragioni, seguendone il filo logico senza deviazioni o evasioni  pericolose. Qualora poi qualcuno si interroghi -come  pure è avvenuto-  se nell’economia complessiva  della versione debba prevalere il testo o il traduttore, beh, qui va detto che è basilare una collaborazione tra le parti, nel senso che il traslatore ha, sì, autonomia ma solo in un certo ambito, entro certi confini e fino a un certo punto; deve mantenere saldi legami con il testo, stare dentro  un’ interpretazione plausibile, non superare la soglia di un significato complessivo credibile. Anche se, come è noto, quella del tradurre è sempre inevitabilmente un’operazione soggettiva, in tutti i suoi  momenti.

Obiettivo della traduzione

Uno solo, e apparentemente semplice,  è il risultato che deve prefiggersi un traduttore serio e onesto: mettere il lettore nelle condizioni di capire l’autore come se ne leggesse il testo nella lingua originaria. Per questo la sua intermediazione deve essere intelligente e cauta, colta e sensibile, vivida e acuta; e, naturalmente, sempre basata sul pieno possesso delle due lingue chiamate in causa.

Conclusione, con aneddoto

Alcuni anni fa -era dicembre-  mi capitò di polemizzare (educatamente) con un traduttore che aveva commesso l’errore di usare  l’aggettivo  possessivo “proprio” (che, se non è rafforzativo, si usa solo per la  terza persona) in luogo dell’aggettivo “nostro” (che è di prima persona plurale) in un contesto simile a questo che segue: “noi aprivamo le pagine del libro come in casa propria apriamo le finestre”, invece del corretto: “noi aprivamo le pagine del libro come in casa nostra apriamo le finestre”. Ancora oggi non so se il traduttore abbia colta la differenza tra le due forme, perché, sempre con gentilezza, ma anche con una certa sicumera, così  rispose ai miei rilievi: “Grazie di nuovo, non insisto, dal punto di vista grammaticale lei sembra più ferrato di me, ma qui siamo nel campo della traduzione poetica, dove modestamente ho pochi rivali e dove per me vale molto la sonorità, la musicalità, e per me quello che ho scritto suona bene. Cordiali saluti e con l'occasione Buone Feste. “(segue le firma) “PS. Se proprio non le va giù la consideri una licenza poetica".  Lasciai perdere, ricambiai gli auguri, ma avrei voluto rispondergli che le licenze poetiche non vanno a scapito gratuito, e sottolineo gratuito,  della grammatica. Tuttavia non so se avrebbe capito.               Io invece considero che, come ho già scritto tra l’altro nel paragrafo “Doti del traduttore” e ribadito in “Obiettivo della traduzione”, alla base di ogni intenzione (non velleità!)  traslativa debba esserci necessariamente  un’accurata e profonda conoscenza delle due lingue chiamate in gioco, perché in mancanza di tale requisito è possibile ogni scempio. Se poi chi si avventura per questi sentieri insidiosi è in possesso anche delle qualità e degli strumenti che qui ho cercato di indicare, allora avremo buone probabilità di imbatterci in traduzioni che siano in grado di farci rivivere, con un grado di “tradimento” quasi impercettibile,  la genuinità, la ricchezza e le emozioni dell’opera originaria.

 Pasquale Balestriere

02/01/2019



12 commenti:

  1. Una dotta disquisizione che trasporta il nostro sapere tra le onde della traduzione , che come giustamente sottolinea l'amico Balestriere è un atto di puntigliosa fatica , sia per l'impegno culturale che richiede sia per la forza necessaria a trasportare la parola da una lingua all'altra , senza perdere significati e significanti . L'intervento che qui leggiamo non ha bisogno di commenti , perché è esaustivo e preciso in ogni suo articolo . Bene ! Grazie per avermi illuminato con arguzia e semplicità - Antonio Spagnuolo

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  2. caro Balestriere, condivido dalla A alla Z il tuo dotto articolo, non avrei altro da aggiungere ai complimenti per la lucidità della tua esposizione, però una cosa voglio dirla, un aneddoto, qualche anno fa lessi due traduzioni di due traduttori di versi di una poesia di Arsenij Tarkovskij, ebbene, una era terribilmente brutta e l'altra era scritta in un italiano elegantissimo. Dunque, tutto sommato alla fine il problema si può ridurre a questo: la traduzione è un'opera d'arte, né più né meno delle opere scritte in lingua originale, arte nel senso di poiesis.

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  3. "Uno solo, e apparentemente semplice, è il risultato che deve prefiggersi un traduttore serio e onesto: mettere il lettore nelle condizioni di capire l’autore come se ne leggesse il testo nella lingua originaria. Per questo la sua intermediazione deve essere intelligente e cauta, colta e sensibile, vivida e acuta; e, naturalmente, sempre basata sul pieno possesso delle due lingue chiamate in causa.".
    Basterebbe questa citazione per essere d'accordo con Balestriere, il quale fornisce un'esauriente e acuta interpretazione del tradurre in poesia.
    Egli sfata l'ormai trita e ritrita disputa "brutta e fedele" o "bella e infedele" superando entrambe le posizioni, come chiaramente si evince dalla chiusa del suo articolo: "Se poi chi si avventura per questi sentieri insidiosi è in possesso anche delle qualità e degli strumenti che qui ho cercato di indicare, allora avremo buone probabilità di imbatterci in traduzioni che siano in grado di farci rivivere, con un grado di “tradimento” quasi impercettibile, la genuinità, la ricchezza e le emozioni dell’opera originaria." dando così vita ad una nuova opera d'arte.

    Sandro Angelucci

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  4. Complimenti e mi unisco a quanto detto da Giorgio Linguaglossa ed è anche perciò che trovo grande Nazario! Rita Fulvia Fazio

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  5. Di grande interesse, come sempre, questo scritto di Pasquale Balestriere. "Traduzione" e "tradimento" sono termini che troppo allegramente vengono avvicinati, quando non proprio identificati, tra di loro. E passi se l'accostamento avviene sulla base del "tradere" inteso come pura e semplice "trasmissione di qualcosa a qualcuno" (da cui "tradizione", come ricorda Balestriere). Diverso è il caso con cui, come ancora ricorda Balestriere, "si consegna con l'inganno qualcosa o qualcuno", ed è in questo senso che il termine viene più comunemente inteso. A mio parere, non può esserci "tradimento" in assenza di quell'inganno con cui volutamente un traduttore manipoli il linguaggio ed il pensiero di un determinato autore. In assenza di quell'imbroglio, che reputo raro, una traduzione può essere più o meno valida ed efficace a seconda delle doti innanzitutto poetiche del traduttore. E dicendo "poetiche" non intendo dire "soggettive", né tanto meno "oggettive", bensì "universali" (ma questo è un campo di studi, in cui qui non si è chiamati ad entrare).
    Franco Campegiani

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  6. RICEVO E PUBBLICO

    Grazie, Pasquale, per il tuo dottissimo e circostanziato articolo che mette bene in evidenza le non poche difficoltà che incontra il traduttore, soprattutto quando si avventura nel campo minato della poesia. Tuttavia credo che, se ci si volesse attenere a tutti i criteri da te elencati, nessuno più tradurrebbe un testo straniero e ciò ci priverebbe della conoscenza di tanti Grandi della Letteratura. Ritengo, invece, che l'elemento essenziale per una buona traduzione di un testo poetico sia che questa venga fatta da un vero poeta - la qual cosa, però, avviene raramente - in quanto, se non si sarà raggiunta l'opera d'arte vera e propria, si avrà comunque un prodotto di buon artigianato godibile e fruibile.

    Carla Baroni

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  7. Ho letto con vero interesse questo saggio di Pasquale Balestriere e sono pienamente d'accordo con quanto esposto. Certamente è compito del traduttore, come afferma l'amico Pasquale, non solo avere piena conoscenza della lingua in esame ma, principalmente, essere in grado di tradurre “da poeta”, dando così all'opera quella sensibilità e musicalità che la mantengano vera e calibrata. Pasquale Balestriere ha disegnato, con rara maestria, un percorso. Tale saggio, se sarà seguito nei suoi step, come suggerito da Balestriere, da quanti sono preposti a tradurre poesia di altra letteratura, darà la possibilità a tutti noi di leggere, studiare, analizzare ulteriori autori e, conseguentemente, migliorare le nostre conoscenze.
    Complimenti sinceri.
    Giannicola Ceccarossi

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  8. Felice di aver letto un saggio sulla traduzione che condivido pienamente. In effetti è molto difficile trasportare la parola poetica da una lingua all’altra, senza alterarne quel valore essenziale di poesia che l’ha generata, così come il tono, le immagini, poichè consapevoli che ogni lemma appartiene a una diversa cultura e ai suoi meccanismi ancestrali. Concordo inoltre che solo un poeta può tradurre, sia per una migliore fedeltà semantica, sia perché capace di tradire per ricostruire. La traduzione poetica è un atto d'amore e, come tale, non ha nessun debito verso la logica; ed è anche un desiderio di possedere intimamente un’opera che ci appassiona ma che, comunque, rimane sempre un tentativo più o meno possibile. Complimenti al Dott. Pasquale Balestrieri.
    Rosanna Di Iorio

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  9. RICEVO E PUBBLICO

    Il pensiero che espone Pasquale Balestriere in questo interessante articolo è condivisibile e apprezzabile per la chiarezza dei contenuti e la completezza dell’analisi. In più offre un ulteriore pensiero sul significato del tradire, concetto che fa molto riflettere, perché il tradimento è appunto necessario e accompagna sempre la nostra vita. Poesia è arte, ma fare arte è anche tradire chi si avvicina ad essa. La poesia si vive e ognuno ha un modo per ascoltarla, come giustamente dice Balestriere citando Pirandello: “le parole hanno un significato diverso per chi le dice e per chi le ascolta, perché -chiosiamo- diverso è il grado di possesso, diverse e individuali la dimensione e percezione, anche “fisiche”, del lessico e delle strutture”.
    Così il lettore, anche quando legge nella stessa lingua, dona un suo senso alla poesia riconducendola a sé e tradisce, come tradisce l’autore celando senso e a volte ribaltando parole. Inevitabilmente partiamo già da un’incomprensione, la cui presenza è fondamentale perché fa parte dell’arte di scrivere poesia.
    Il traduttore a questo punto è chiamato in campo per svolgere un compito veramente arduo, come poeta (perché tale abbiamo indicato deve essere), come profondo conoscitore di due lingue e come persona capace di “mettersi nei panni dell’autore”. Tradurre è un ulteriore passaggio, una trappola insidiosa, poiché ci troviamo dentro un groviglio di diversità e ricerca di senso spesso non districabili e l’obiettivo di “mettere il lettore nelle condizioni di capire l’autore come se ne leggesse il testo nella lingua originaria” diventa molto complesso e difficile da raggiungere.
    Ma forse la bellezza dell’arte del tradurre è proprio perdere con consapevolezza un po’ di fedeltà e lasciarsi condurre dall’arte senza rinunciare alla corretta interpretazione del testo.
    Sinceri complimenti a Pasquale Balestriere.

    Patrizia Riscica

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  10. Ringrazio vivamente tutti i commentatori innanzitutto per aver avuto la pazienza di leggere questo pezzo certo non breve; in secondo luogo per le loro osservazioni e per il contributo di idee che arricchisce e perfeziona la trattazione e, infine, per le espressioni di compiacimento rivoltemi.
    Grazie ancora a tutti voi. E grazie all'amico Nazario Pardini.
    Pasquale Balestriere

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  11. RICEVO E PUBBLICO

    Bella disamina dell'amico Pasquale Balestriere che come sempre è chiaro ed esaustivo. Credo che le traduzioni fatte senza tener conto della metrica originale del testo, abbiano portato grande confusione in chi si prova nella scrittura poetica. Tutti hanno pensato che bastasse andare a capo ogni tot. Il contenuto da solo non fa poesia, per questo esiste la prosa. Ritmo e armonia sono difficilmente traducibili e dunque la poesia tradotta perde, a mio avviso, un valore intrinseco fondamentale. Credo che il valore di una poesia si concretizzi in una prosodia in grado di espandere i significati riuscendo a dire tanto, usando parche parole e, soprattutto, tacendole. E' un momento in cui la poesia viene fuori a fiumi. Si inneggia al frammento, ben venga, non è certo una novità, ma è auspicabile che tra la poesia mantenga la sua estetica e cioè l'equilibrio che è l'unione, la simbiosi di forma e contenuto . Riesce una traduzione in tutto questo? Patrizia Stefanelli

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  12. Grazie, cara Patrizia, per essere intervenuta nel dibattito, arricchendolo con un significativo contributo.
    Pasquale Balestriere

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