domenica 27 gennaio 2019

PATRIZIA STEFANELLI, PREFAZIONE A: "SCHIUMA ROSSA" DI ENZO BACCA



SCHIUMA ROSSA, con l’introduzione di Patrizia Stefanelli, vince la XXIII edizione del Premio Internazionale Poseidonia- Paestum. L’autore è Enzo Bacca, già vincitore del Premio Nazionale Mimesis di Poesia nel 2017.

Patrizia Stefanelli,
collaboratrice di Lèucade

Credere in una silloge e farla propria non è cosa da poco, specialmente quando la “scrittura” è diversa dalla tua. Non è facile scrivere di quel che accade nel mondo, delle tragedie che percuotono l’umanità, inflitte dalla stessa, senza cadere in facile retorica. Enzo Bacca è uno dei pochissimi che riescono nell’intento.

INTRODUZIONE

(…) Neanche il Vecchio della torretta
aveva previsto simile grascia.
Il guardiano, sulla roccia
binocolo (forse) appannato
faccia sconvolta per tale geenna
sprofondava nel tormento.
Non erano tonni alla deriva
ma uomini-donne-bambini...
polmoni scoppiati!
Pezzo d’universo senza custode?

Domani, un’altra odissea. (Schiuma rossa)

Di tale rifornimento, di simile grascia oggi sono piene le rive? Una schiuma rossa, mattanza umana, vi si posa. Schiuma rossa, la poesia che apre la silloge di Enzo Bacca, e che è esplicativa del suo titolo, ha la peculiarità di introdurci alla sua poetica che mi piace chiamare “dell’esodo”; un esodo dettato dalla necessità di sopravvivenza di popolazioni provenienti soprattutto dalla Siria, Iraq e Afghanistan ma in Italia soprattutto da paesi dell’Africa subsahariana. Esodo significa “uscita” e nel suo riferimento biblico narra la storia del popolo d’Israele liberato da Dio dalla schiavitù in Egitto, guidato da Mosè. Il popolo schiavo è liberato e protetto sia nell’uscita dall’Egitto sia nel tragitto. Una bella storia di custodia. Esodo è anche uscire da se stessi, dal proprio giardino d’idee e benessere circoscritto da paletti e ben curato. In un mondo che ha puntato alla globalizzazione e al relativismo come idee vincenti di scambio, tutto frana di fronte al potere economico, religioso e politico unito, spesso, in un’unica soluzione di continuità: una ferita infetta che coinvolge l’intera umanità.  (…) ero straniero e non mi avete accolto, (Matteo 25,31-46) sono le parole del Vangelo che è impossibile equivocare. Questa la tara umana dell’oggi come ieri e nessun insegnamento riduce le “potenze” al rispetto dell’umanità intera. Si rischia facile retorica anche soltanto nell’accennare alla vita difficile, anzi la non-vita dei nostri tempi ma questo è il compito dell’artista, dello scrittore, del poeta: consegnare la sua parola al mondo per il mondo, ai posteri per la storia.  Il Nostro, per lavoro, amore e una serie di circostanze, sente forte il bisogno di esprimere in versi la realtà che vede ed esperimenta. E’ il suo un umanesimo costante e incisivo che attraverso il viaggio vitale, di cui Ulisse è archetipo, non può fare a meno di parlare di geenna (dall’aramaico ge hinnòm, “valle di Hinnom”), la valle a sud-est di Gerusalemme dove ai tempi di Cristo si bruciava ogni rifiuto: l’inceneritoio o l’inferno. Rifiuti umani sono tutt’uno con rami d’acacia, agavi amaranto e gabbiani, gli uccelli che tanto beffardamente sono accostati all’idea di libertà.
Bacca tocca quella schiuma rossa attraverso il suo disagio di essere umano che compatisce la più cruda realtà. Kamal è il nome di un bambino, un nome qualsiasi, il nome di uno dei tanti innocenti uccisi dalle granate a Kabul. Le bianche divise degli operatori sanitari hanno un fiore rosso sul petto, una croce di rabbia e d’impotenza nell’ultimo atto d’amore… (Kamal, dieci anni). Bambini che diventano adulti in una notte sola, quella del viaggio che a volte è una rinascita, altre è la morte. Barconi come balene, rigonfi di vite umane appese alla decisione di un Nettuno.
Dalle sabbie clandestine/ alla pancia gravida/ di natanti fantasma…/… Gonfia balena sfida onde grosse, / Nettuno vibra nell’aria umida/ minaccioso tridente, / questa volta clemente lascerà la “zattera” a riva. (La nave dei bambini)
Tutta la natura è partecipe della tragedia che ci investe. Il grido che giunge dal mare è il grido dell’agnello immolato, del pianto delle madri che colmano la sacra coppa del sacrificio. Il Poeta si avvale di climax ascendente e di numerose metafore e analogie che s’intersecano a visioni simboliche di grande efficacia: Giunse dal mare un grido. /S’elevò dalla torre bruna/cantico di morte rasposo./ Onda genuflessa attraversò/ cresposo specchio come balena.  I luoghi della realtà, come la baia della tabaccara a Lampedusa con la sua trasparenza d’acqua, si accostano all’acqua mara di una canzone popolare salentina e a quella dell’oasi nel deserto trovata dagli ebrei durante l’esodo. Acqua salata, impossibile da bere nel desiderio d’un sorso d’acquazzina, acqua del campo profughi di Yarmouk tinta d’odio, acqua che per analogia ricorda l’Acheronte nel terzo canto dell’Inferno. Metafora aderente quella
delle cinghiate a sangue di caron dimonio a traghettare la vita verso la morte di cento e poi cento e altri cento!
Eppure, nonostante l’attitudine a tenersi il più possibile abbracciato a una poesia asciutta, di cronaca, Bacca non può fare a meno del valore evocativo e musicale della parola, anche quando ci parla della striscia di Gaza, martoriata e sventrata, dove i fori dentro i mattoni/sono grandi pupille sui balconi di fronte, le donne dai veli scuri, senza volto, sono foglie nel vento, contorno amaro/ soffio leggero tra le macerie, quelle del cuore.(Syria Street) e ancora in Oro blu, storia di Bamòko che scava in miniera, chiarissime sono le assonanze, le consonanze e le allitterazioni che aggiungono al testo un valore fonosimbolico.  
L’attenzione, per la figura femminile e l’infanzia, è costante in Enzo Bacca: Kalìda, dice, non voleva nascere sotto membra sconfitte di madre. Non voleva e non poteva, in quel Mare Nostrum quotidiano che è grembo e partorisce morte, nascita contro natura. L’elegia: dell’innocenza stuprata (Il velo di Bianka: Sul collo ligneo di Bianka, (tra le anche)/il sigillo viola della sconfitta.), della donna coraggio, della fanciulla- farfalla in una danza haram e della maternità è cardine che muove la sua essenza di Uomo e poeta. Poserò rose di solitudine/sull’abito bianco senza veli/bacerò la fronte fredda/che odora di ginestra e vento. (Adua delle acque).
Lo sguardo è a 360°. Tutt’intorno è teatro di guerra e, al centro del bersaglio, le persone di ogni paese, amici e nemici che si confondono nelle divise, negli occhi di chi muore e di chi vede morire. Qualche omelia e rosari sgranati metteranno in pace le coscienze? Strisce di terra sono terreno di rivalsa, dove l’umanità ripete i suoi crimini e la storia non insegna: per ogni israeliano ucciso trenta palestinesi? Achtung, attenzione! Non coprite Arbeit macht frei./C’è ancora tanta nebbia sulla piana. Cosa mai si salverà da tanto orrore? Forse il timo di Rafah: Cresce forte il timo selvatico/incurante del torto subito/e s’espande fiero nel giardino morente oppure Sarà delle cicale l’ultimo frinire? Gocce di miseria che dilatano lo spazio della sopravvivenza degli Invisibili: da spostare altrove/nuovi campi di pomodori, altri dolori/da interrare insieme a nuove semenze. (Il silenzio degli invisibili).
A Kabul la notte è lunga, e John, soldato americano, chiede birra scura prima che il rumore di una saracinesca arrugginita lo riporti al rumore della guerra. Un’eco che si perpetua ovunque, in se stesso come fuori: Un po’ d’olio per quella fottuta saracinesca, /grigia come il cielo dei bombardieri/arrugginita come baionetta usurata. /L’umidità corrode, anche i ricordi/ieri è troppo vicino e la paura non demorde. (La lunga notte di John). E al rumore di saracinesche abbassate ovunque, nelle città, s’apre un mondo/di pozzanghere, anfratti e pertugi d’ogni sorta/ombre sconfitte e carne putrefatta agli angoli/fuori tutto e senza cortesia, sterco e rigurgiti, /folate di vento che spazzano il vomito, la lisciva. (Abbassando le saracinesche).
In Mary e Spugna, un ritmo serrato, ostinato e continuo ci introduce ai chiaroscuri di Manhattan, tra la vita dei barboni e lo sfavillio di vetrine e limousine. Due mondi diversi quanto speculari, voyeur d’indifferenza. E 1,2,3,4, venti, cento, mille… poveri cristi fuori dal tempio, dove i mercanti fanno il gioco della Borsa in un’economia retta dalle banche e dalle multinazionali adoranti il dio petrolio: Abracadabratoti!
dice il Nostro Impertinente aedo. Le immagini evocate dalla poesia di Enzo Bacca, sono forti, di un realismo devastante, procede spesso per frammenti, accumulazioni e antitesi come in Sottosopra, quasi un tautogramma in cui ogni verso comincia con la consonante “ S” di speranza: Sopra/ su quell’abisso che s’alza allo sguardo/ s’ammanta la notte/ silente/ senza luna.  Simbolismo di baudelairiana memoria che si nutre d’ogni metafora presa dalla natura ostaggio d’inganno che si fonde a quella umana in un unico grido di dolore: Poi, l’ultima gundèlia recisa, fatale/le raffiche di mitra menù di contorno/ e la pianura dormiente si tinse di rosso.(L’ultima gundèlia).
C’è da imparare molto dalla poesia di Bacca. Ci introduce al non visto, al non detto a ciò che i più vivono indirettamente stando seduti sul divano ascoltando un TG, proferendo parole di sdegno e di pietà per realtà lontane, turbanti una giornata già difficile. La poesia può insegnare, aprire la mente alla curiosità di conoscenza, a nomi, luoghi, costumi e folclore uniti dallo stesso colore: il rosso del sangue dei popoli della Terra. L’importante è saper ascoltare, vibrare all’unisono oltre i significanti, agire il cambiamento che in ognuno si avvera, comprendendo i fatti, l’offerta d’amore più grande che è la propria vita, donata da chi lavora di carità per la salute e la dignità dell’altro. Parlo dei medici senza frontiere, dei missionari, di Madre Teresa, di Carlo Urbani ecc… Persone che hanno fatto dei loro sogni il proprio lavoro, il loro senso della vita per la vita.

Siamo tutti ai lati del redentore, impotenti,
ladroni pentiti e padroni di scempi, ipocriti parolai,
cristi in confusione mascherati tra la gente.

Versi, questi, tratti da La processione del Venerdì Santo perché non basteranno le processioni, i mea culpa battuti sul petto a salvare un’umanità che si perde nella ricerca di vana gloria e del potere economico che distrugge l’aria stessa rendendola irrespirabile e, con essa, ogni respiro. Tempus fugit, dice il Poeta e nel suo Credo regna la Speranza quale attesa di bene, tensione alla comunione fraterna.

Torneremo a ridere sotto l’olmo antico
negli amori, nel soffio caldo di novella vita
intorno, la sterpaglia sarà recisa per nuova vigna
e mangeremo il frutto della terra senza paura.
Bastano un albero, radici robuste, un orizzonte vero
e l’onda impetuosa che spazzi lo sterco, la gramigna.

Patrizia Stefanelli













1 commento:

  1. Grazie infinite a Patrizia Stefanelli e al Prof. Pardini per questa gradita sorpresa. Grazie Patizia perché nel mio voluma "Shiuma rossa" hai saputo cogliere, con la consueta maestria quello che era il mio intento. Far rilettere il lettore su tematiche sociali a me care. Grazie Patrizia per il tuo rigore, la disamina perfetta nell'osservare, scandagliare, esplorare ogni anfratto di questo mio lavoro fin dentro l'anima dei vari personaggi che la mia penna ha partorito. Grazie per la stina e la fiducia che riponi nei miei confronti e della mia poesia. Grazie al Prof. Pardini, uomo dalla grande umanità e saggezza. Grazie per lo spazio dedicato a "Schiuma rossa".

    ENZO BACCA

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