venerdì 17 luglio 2020

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "I COLORI DELL'IRIDE" DI CLAUDIO FIORENTINI



Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

Quasi un colloquio con
I colori dell'iride di Claudio Fiorentini


I colori dell'iride (Ensemble edizioni, 2019) è l'ultimo lavoro poetico di Claudio Fiorentini. Sono poesie dedicate, come recita il titolo, ai colori dell'iride: per ogni colore un gruzzolo di versi, preceduto da un esergo di particolare impatto filosofico ed emotivo. Poesie che riflettono sul principio vitale immarcescibile contrapposto alla fugacità della vita che scorre: travolta quest'ultima dalle leggi spaziotemporali, mentre la prima, corrispondente all'anima - ilozoistica - di una immortalità per così dire calata nel tempo, interna alla physis, da non confondere con quel principio superiore e ordinatore del mondo che sta al di fuori dello spazio e del tempo, definito comunemente Dio.
Verso Costui - apostrofato come "allenatore inutile" che "rimane in panchina seguendo distrattamente il nostro gioco" - nel preludio all'opera, l'autore eleva un acuto grido di protesta, rivendicando a sé il diritto di dirigere la propria danza e di organizzare la propria esistenza, "giocando fino a sfinimento" ("Giocherò la mia partita così com'è / consumerò le mie forze, tutte"). Per poi concludere: "Dio? No, non è questo il punto. / Io". Ed ecco, in sintesi, il perno intorno a cui ruota il nuovo lavoro poetico di Fiorentini: un rifiuto del giogo imposto da codici morali calati da chissà dove, affermando per l'uomo il diritto di vivere la vita com'è, con la sua carica di esperienze positive e negative, senza esclusione alcuna. Tutto contribuisce all'arricchimento coscienziale, ed è per questo che ogni colore dell'iride rivendica il proprio insostituibile ruolo.
Così il Nero, ingiustamente fagocitato dalla luce (anche se può sembrare il contrario), dichiara il proprio misconosciuto bagaglio di palpiti vitali, che occorrono al risveglio dell'essere proprio mentre sembrano occultarlo. La notte, difatti, prepara sempre il giorno, e viceversa, per cui ogni esperienza occorre ed ogni attimo merita di essere vissuto fino in fondo senza estromissioni. Il Rosso è il colore della rabbia per il non vissuto, per il tempo sprecato che lasciamo ingiustamente marcire: "Noi due, vita, siamo quelli del nascondino / tu da una parte e io dall'altra / siam fatti per eluderci e null'altro /... / Sarà così, per me, per sempre: / vivere cercandoti, vita, e mai trovarti". E tuttavia "canterò un'ode straziante / ma felice / profondamente, insanamente felice / perché saprò che se anche un solo istante / mi sono saziato di vita / anche solo per quello / il percorso non è stato vano".
E per quanto l'Arancione si chieda: "perché la vita mi ha usato così poco? / Perché la gioia è così deperibile?" (andando la vita "sempre dove deve andare", per cui "abbiamo solo tempo che passa / veloce o lento"), comunque la magia esiste e "non vi è mai ragione / per non cedere alla meraviglia dell'alba / o per non godere di un volo di rondini a primavera!". Il poeta, certo, amerebbe assolutezza, pienezza di slanci e totale amore; amerebbe evadere dalla prigione dei limiti, con una "spinta di disubbidienza all'ordine / all'educazione / all'orgoglio / al tempo marcio che non torna", ma è costretto ad arrendersi alla propria pochezza, sentendosi "arido e stanco" e cedendo "al dolore e all'allegria / di quest'unico momento / che altro non vuole!".
La vita è comunque splendida, a prescindere dai rari momenti di grazia che concede. Li si accolgano pure in festa, ma senza illusioni, ben sapendo che la realtà in ogni caso non muta né può mutare. Così il Giallo si rivolge di nuovo a Dio per dirgliene quattro. Lo invita a scendere dal suo "mondo di perline e brillanti" per prendere contatto con la cruda realtà, ma Quello se ne infischia e ciò prova che è fatto della nostra stessa stoffa, non a caso costruiti a Sua immagine e somiglianza. Ne segue che i valori assoluti non esistono, che sono pura vanità... E qui, caro Arancione, una pausa è d'obbligo, da parte mia. Consentimi una domanda: perché mai i valori dovrebbero esistere solo se esiste Dio? cosa c'entra Lui con l'urgenza che io sento di fare i conti con me stesso e di essere presente a me stesso?
Interviene il Giallo: "in fondo, la vita è solo vita: / E tutto ne fa parte". Bene, ma come puoi tu vivere se non ti rendi conto che stai vivendo?... tu, proprio tu che sei Giallo, con quella particolare visione del mondo che ti appartiene (o cui tu appartieni)? Del resto, se fosse vero che "la vita è solo vita", non ci sarebbe neppure bisogno di pensarlo. Solo se esiste il tuo npensiero (e dunque i tuoi valori), tu puoi pensare che la vita non ha bisogno di essere pensata. Adeguarsi ai valori, pertanto, non significa piegare il capo all'ipse dixit, rinunciando alle proprie esperienze e in definitiva a se stessi, ma al contrario significa proprio seguire se stessi. E quando tu affermi che "il mondo ha un segreto / e noi lo abbiamo tradito", non fai che alludere - ritengo - all'intelligenza arcana che tutto accoglie - il positivo come il negativo - purché si sia realmente autentici e non ci si nasconda a se se stessi.
E cosa fa il Verde? Accennando ai migranti si dissocia da quanti vorrebbero respingerli, ma condanna anche quanti vorrebbero integrarli nella nostra cultura fondata sullo sfruttamento. Nel caso migliore, offrendo loro "i desideri di un sistema malato / che ride di noi, perché ci ha sconfitti". Nessuno è senza peccato, per cui lui dice: "parliamoci chiaro: non c'è salvezza", è inutile ribellarsi a un sistema che resta comunque padrone del campo. Ebbene, carissimo Verde, hai ragioni da vendere, ma io so che questa considerazione non riuscirà ad esimerti dal fare quel poco che puoi, non dico per migliorare il mondo, ma unicamente per essere fedele a te stesso. Nel tuo piccolo, s'intende, tu che non sei un drago sputafuoco, né un supereroe... Troppo poco, tu mi dirai, per eccesso di umiltà, ma meglio poco che niente, non ti sembra?
Del resto, tu stesso lo dici: "cercare di essere un uomo giusto / semplice e banale, ma giusto / ... / non è già tanto?". Ribellarsi è possibile. Concretamente, nei comportamenti privati, sputando sudore e sangue, e non certo a chiacchiere, magari sventolando bandiere. Oppure in silenzio, evadendo in montagna, in un romitaggio di comodo. Un uomo giusto vive tra la folla e mangia le ingiustizie del mondo, di cui non può non sentirsi responsabile. Se si fosse in tanti a fare quel poco, quel poco diverrebbe tanto... Vedo con piacere che il Blu è d'accordo: "altra missione a te non rimane / che portare a termine questa tua vita. /... / vai avanti per la tua strada / senza tentennamenti, senza paure / vai". E coltiva i sogni: "sono lì per te / a indicarti il cammino" e per accompagnarti "dove risiede il perché / immenso e misterioso / della vita".
E persino l'Indaco conferma: la vita è dentro, nei sogni sepolti, non nel tumulto del tempo tiranno che tutto travolge nell'oblio. La storia del mondo è fatta di "popoli di morti in vita" che "si azzannano per un tozzo di pane", "tutti intenti a sopravvivere / senz'anima", e a nulla valgono sia il coraggio che la disperazione. Tuttavia egli dichiara: io "lotto perché il mio passaggio non sia vano", "pensando a cosa racconterò alle mie figlie" e "al mio dovere di padre: / amare di più / e amare meglio". Ed ecco il Violetto: "credi nell'amore che ti fa scalare il mondo / credi nella voce che è in te / è lì, non altrove che sarà vero l'amore profondo / ... / non sei qui per arrivare primo / ma per dare il meglio di te". A questo punto un sospetto: è forse in atto un'inversione di rotta, visto che inizialmente si era partiti dalla rivendicazione del ruolo di tutte le esperienze?
Sospetto infondato, giacché a ben guardare è sul contrasto che si fonda l'armonia del mondo. L'Indaco, difatti, non esclude il negativo, ma gli concede una funzione formidabile affrontandolo temerariamente e sfidando con un ghigno finanche la morte, certo di essere comunque vivo, "immensamente vivo", al di là di ogni apparenza. E allora, diciamo le cose come stanno: i due contendenti non sono che aspetti distinti di una medesima struttura pensante. La lotta tra il Bene ed il Male è tutta interiore, Caino ed Abele sono una sola persona. Si è due in uno (o uno in due), a dispetto del rifiuto paradossalmente gridato da ciascuno al proprio angelo (che è l'altra faccia di se stesso): "Io voglio... / ... / diluirmi nell'infinito, essere tutto, essere te / ma non essere insieme a te".
Che cosa fa infatti il Bianco, che è un semplice riflesso, nient'altro che un nulla? ha nostalgia degli altri colori "che sono qualcosa: / birichini, allegri, dispettosi...", seppure corruttibili e fugaci. Ed ammira profondamente il Nero che lo aiuta a brillare. Armonia di contrari: "si trova, la luce / in ogni ruga della vita / in ogni attimo ribelle / in ciascuno di quei momenti / che non si piegano al passo del tempo / ma che si dilatano / che rimangono sempre fissi nell'anima / che tutti insieme fanno il perché della vita". La luce non è altro che vita che resta, a dispetto della vita che passa, di cui pure è intessuta. E' l'attimo sacro dell'inizio perenne, perennemente connesso con la perenne fine. L'attimo che "non teme la sfida / e s'impone nella sua lucentezza / perché solo lui, ora e sempre / la fa da padrone". Un padrone che ama e rispetta tutto ciò che lo serve e lo aiuta.

Franco Campegiani



1 commento:

  1. Sono profondamente grato a Franco a Franco per questa autorevole recensione che, oltre ad avermi trasmesso l'emozione che viene dalla scoperta di una fratellanza d'intenti non altrimenti traducibile, contiene una profondissima riflessione sul senso della vita. A volte la poesia e' questa riflessione, e le tue parole, caro Franco, le ho lette come la traduzione dei miei versi e della composizione del libro, che hai ben interpretato nella sua tormentata sequenzialita'. Insomma, hai fatto centro! Grazie a te per queste parole e grazie a Nazario per consentirci l'approdo sullo scoglio di Leucade.
    Claudio

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