Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
Marisa Cossu legge “Nel frattempo viviamo”
di Nazario Pardini
“Nel frattempo viviamo”, delicato
e musicale settenario, indica subito gli argomenti della riflessione poetica
del Pardini: il Tempo e la Vita; non un tempo qualsiasi, sebbene l’avverarsi nell’esistenza
del poeta e nella sua visione del mondo in una avvertita contemporaneità degli
eventi nel percorso del divenire. Vita e Tempo sono ampi concetti che la
cultura, la maestria e la sensibilità del Poeta mettono in relazione biunivoca
in modo che quel “frattempo” respiri un profondo
senso di umana partecipazione tendente ad un’armonia immaginata.
Già il titolo riecheggia motivi e suggestioni letterarie:
viene alla mente lo straordinario verso oraziano “Dum
loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”
(Odi,1, 11) non tanto nell’accezione più diffusa dell’invito
a carpire i piaceri del giorno fuggitivo, quanto nel significato etico di un
tempo goduto pienamente, come immersione totale, dignitosamente umana, nel mistero
che nel frattempo viviamo.
Quell’avverbio contiene il segmento di eternità
che mette in sintonia con l’infinito, fa immaginare un giorno il cui sole non
sia oscurato da pensieri troppo tristi e si possa convivere in armonia con le accettazioni
necessarie a ritrovare tra sé, gli altri, la natura e le tensioni inevitabili
degli opposti, l’equilibrio di tutte le “cose”. L’immaginazione consente
di esplorare l’invisibile, sublima l’anima, possiede la forza spirituale da cui
origina la disposizione alla poesia. In questa zona il Poeta
incontra uno stato di grazia in cui si manifesta la musica del verso, l’amore
per l‘Arte che prende forma e passione mediante la parola. È un attraversamento
del “giorno”, che giunge a soluzione oltre la morte e, se il futuro è incerto,
sono costantemente presenti i pesi e le gioie, l’amore, la fatica del vivere. Il
mutare delle stagioni e l’incalzare della vecchiaia nulla tolgono all’intensa
voglia di vivere che si manifesta nella memoria come “restituzione” delle
passioni e dei sentimenti. Altri se ne accendono, in questa originale opera,
nelle brevi e dense poesie che sorprendono per il ritmo, il verso, la forma, il
realismo e la grande spiritualità: “Spazi, culto, pensiero, /
Resurrezione, /sorte, vita, /non finisce il discorso, / è già finita” (pag.39).
Sfugge al Poeta una nota di pessimismo leopardiano che dà luce a pensieri
appena sussurrati tra sé e sé nella potenza della riflessione intorno al fluire
delle azioni e delle idee di cui l’uomo si avvale per dare spessore all’ incerta
percezione del sensibile.
È affascinante constatare quanto il desiderio
della conoscenza intersechi i temi cari a Nazario Pardini.
È la condizione umana il fulcro della speculazione
in versi, la condizione del Nostro, a permeare ogni parola, ogni scelta
lessicale, a scavare nella coscienza e sapienza del Poeta con la ricchezza creativa
e l’incisività delle immagini. Nazario
dà voce alla fragile frammentarietà dell’esistente, alla soggettività fondata
sulla effimera attendibilità dei sensi; ma avverte una forte unitarietà spirituale,
rappresentata dall’Arte, che assiema ogni frammento, “il
sesto senso che l’anima possiede” (pag. 16).
La condizione del corpo abbarbicato alla
terra si stempera nell’idea che l’anima, attraverso la Bellezza e
l’immaginazione abbracci in un sistema universale quei frammenti di realtà di
cui è composto il mondo. Non sono atomi distanti questi, ma particelle
dell’esistente che non avrebbero senso, prive della funzione unificatrice
dell’Arte: “È nell’anima/ la
stessa geometria/ molecolare”. (pag. 16)
Così il giorno che non muore contiene in sé
tutto ciò che s’annulla nell’eterno
divenire :” Eppure quello strappo di cielo,/ quei campi
brunastri,/il respiro di foglie di viti amarognole/ e il sole che prova le
voglie/ di bersi le pigne stellanti di luce,/ immagini eppure si fanno,
/essenze di corpi,/ per dirmi che l’anima un giorno,/era tatto, colore, profumo
di fieno,/ sapore di bosco” (pag.43).
Tutto
rivive nell’ alito musicale del vento che restituisce le cose: l’ombra del
fico, il rustico sul colle, le stanze vuote, le pietre e un barattolo che rotola.
Il molteplice, con i suoi opposti, si manifesta nell’ unità a-temporale di una
complessa topologia. Qui l’invisibile assume i contorni della realtà, forse un
inganno dovuto alla mobilità e mutevolezza delle “cose”: “Siamo
incastonati/solo per un attimo/ in un’immensità di vuoto/ che per non scorarti/
finge di essere blu” (pag. 42).
Lo spazio e il tempo stabiliscono tra loro una
relazione possibile nella visione profetica del Poeta e nell’Oltre. Gli oggetti
e i ricordi sono ombre che richiamano atmosfere, suoni, voci, affetti ancor
vivi e penetranti: il barattolo che rotola, spinto da un ragazzo troppo presto
sorpreso dalla morte, ripete un rumore cadenzato che ancora rintocca nella
mente:
“Saltava contento, gioioso,
non aveva bisogno di riposo,
era decenne
indenne da ricordi. (pag. 24)
Un serpente, “nel frattempo”,
trangugiava insaziabile, un rospo: è il verificarsi della vita e
della morte, in una contemporaneità fuori da ogni tempo: “il presente
del presente, il presente del passato, il presente del futuro. Essi sono tutti
e tre nell’anima.” (Agostino, Confessioni).
La vita
che esiste perché accaduta, assalta il Poeta
scavando impietosa, ma allo stesso tempo provvida, nei sentimenti che ne hanno
forgiato la poetica, le relazioni e la concezione del mondo. Nazario Pardini fa
riferimento a fenomeni che non sono astratti e inafferrabili ma connessi
all’esperienza dove ogni “cosa” è parte dell’altra, destinata a ricongiungersi
nella realtà. Il tema della solitudine origina dal senso di incessante cambiamento
del mondo visibile e di quanto immaginato nella contemplazione interiore. Si è
soli perchè ad ogni istante viene perso un frammento di gioia, dolore, emozione;
perché si cambia, si è diversi, mentre si assiste impotenti alle regolarità del
Tempo, alla sua tirannia.; la solitudine è connaturata all’esistenza sebbene al
Poeta sia chiaro che “nel mutamento le cose trovino quiete” (Eraclito,
Frammenti).
“Si muove il cielo, la terra,
il sole,
l’universo;
ma dove andremo?
Come mi sento sperso!” (pag.29)
Incombe il silenzio dei mondi e la fragilità dell’uomo
si confronta con misure planetarie; solo il fluire persiste, eppure una piccola
foglia
svenata dall’autunno e conservata in un barattolo, restituisce
al Poeta e alla Vita un colore senza fine.
Il forte impatto emotivo di quest’ultima
riflessione è diretto ad una realtà fenomenica più profonda dell’apparente,
verso la quale si rivolge la domanda inquietante del Poeta, la sua ricerca di
pacificazione. Il colore della foglia fa pensare al tempo del relativo e
dell’assoluto, all’esperienza di un oltre tempo in cui sono calati le
cose ed i vissuti, orientati verso l’infinito:
“Comunque
godiamo del beneficio
di esistere
o non esistere
a seconda delle occasioni”
(pag.77)
La vecchiaia è il frattempo
che
viviamo immaginando, pensando, amando, in una solitudine esistenziale ricca di
consapevolezza e di ricordi; è un gancio che avvicina all’infinito e riesce ad
estraniare il Poeta dal meccanicismo degli eventi.
Nella seconda sezione del libro conosciamo un Nazario
Pardini volto alla considerazione di fatti concreti con la parlata, le massime,
gli aforismi, della sua terra natale. Gradevolissima la lettura di queste
pagine da cui trabocca un Pardini propenso all’autoironia, alla sagacia delle
notazioni, ispirato da una cultura popolare che l’Accademico trasforma in
saggezza narrante e in poesia. Tornano tutti i temi cari al poeta: la vita da
gustare prima che sia troppo tardi, l’amore spesso calpestato o “soffio di un
alato“, l’amore senso di “eterno e di infinito”; la gioia difficile da trovare.
Di fronte alle cose concrete il poeta formula la domanda essenziale
sull’esistenza: ciò che i sensi percepiscono esiste davvero?
“Se io penso che l’acqua esista
ma non la vedo e non la tocco
o non esiste l’acqua o non esisto io;
perché può darsi che io mi trovi
in un posto dove non esiste l’acqua,
ma io esisto?”
(pag. 77)
Si può forse coesistere senza esserne
“coscienti?”
“La parola non è forse sostanza?”
E poi i “fatti” che il poeta narra con
disincantato realismo ma anche con uno sguardo compassionevole carico di pietas
verso i protagonisti e le vittime di un mondo banale, corrotto e crudele. Nazario
non vuol vedere più nulla.
“Cessate, occhi, di nutrire la mia anima!
“Non ho più parole da consumare
e mi abbrucia
l’immensità imprigionata”
(pag.105)
Il Poeta fa quindi esplodere la poesia che gli
canta in petto e la lancia nel volo di “palloncini di cuori”, in
una “regata di poesia” dedicata allo stupore
dei bambini di fronte ad un mondo incantato. E quando si fa sera si accendono a
rischiarare l’incipiente oscurità “fuochi di fiabe”, perché
nel cuore del Pardini brucia ancora la sorprendente fiamma creativa dei
bambini.
Marisa Cossu
Marisa cara, un'elegia di raro valore la tua esegesi dell'Opera del Maestro. Scandisci i passi delle liriche con il suono dei suoi versi e ti riveli una superba lettrice delle Opere altrui. Sono incantata da tanta profondità unità a tanto pathos. Il respiro del Poeta diviene il tuo e il suo testo apparentemente più enigmatico sfocia nell'innocenza tipica di questo eterno fanciullo. Sei fantastica! Lo asserisco con il cuore e con tutti i sensi. La grande Poetessa che vive in te si libra in volo e crea un connubio d'Amore sublime con Nazario. Complimenti a entrambi e un abbraccio circolare...
RispondiEliminaCarissima Maria, ti ri grazio del bel commento. Mi hai rivolto parole gentili, amichevoli, rese più importanti per averti incontrata alla premiazione del tuo "Voci". Ti sono grata per quell'emozione e per le parole di oggi. Dobbiamo a Nazario l'opportunità di incontrarci s questa magnifica isola. Un abbraccio
EliminaMarisa Cossu
Marisa mia, sei una persona che non si dimentica. Si porta nel cuore e nella vita per sempre! Grazie ancora...
EliminaTrovo affascinante questa recensione di Marisa Cossu sull' opera di Nazario Pardini "Nel frattempo viviamo". Comunica l' immensità dell'opera e la vastità dei temi e degli interrogativi trattati.
RispondiEliminaColpiscono e commuovono alla fine " i palloncini di cuori" lanciati in volo in una " regata di poesia", " perché nel cuore del Pardini brucia ancora la sorprendente fiamma creativa dei bambini".
Un caro saluto
Loredana D'Alfonso
Carissima Maria, ti ringrazio per il tuo delizioso commento.Le tue gentili parole d'apprezzamenti e di amicizia mi riempiono il cuore di gioia.Ti abbraccio.
EliminaGentile Loredana,ho molto gradito il tuo commento e ti ringrazio di cuore. Anche questo nostro approccio è segno di grande compartecipazione al progetto poetico del grande Nazaio. Un abbraccio
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