Maria
Rizzi su “Il merito del mezzo” di Franco De Luca – Narratori Rogiosi –
Ho
appena terminato il romanzo di Franco De Luca “Il merito del mezzo”,
il
quarto che leggo di questo prolifico Scrittore napoletano, e credo che mi
accompagnerà per sempre. Non si tratta, infatti, di un libro, che ci si può
concedere di leggere e posare sul comodino. Resta tatuato nell’anima per le
suggestioni, le immagini, i messaggi, le lezioni di vita. Una crescita
ulteriore per Franco, che con testi come “La chiameremo vita” sembrava essere
giunto all’apice dell’esperienza creativa.
Innanzitutto,
ribadisco il concetto espresso in quarta di copertina dall’ottimo Nando Vitali,
secondo il quale ‘il suono delle voci sembra salire dalle quinte di un teatro
nella polifonia misteriosa della vita.”
Il
romanzo è corale, non si possono trovare personaggi, solo protagonisti,
un’Opera
circolare nella quale le storie si susseguono e si intrecciano con
maestria.
Lo sfondo è ancora e sempre la città di Napoli, che consente a Franco di sentirsi
a casa e di concepire ambientazioni e personaggi venati dai caratteri tipici
del nerbo narrativo dello scrittore: senso dell’ironia, umanità calda, ricca di
pathos, sentimenti di solidarietà. Inoltre l’intero testo è pervaso da un senso
inquietante e persuasivo di mistero, una tunica che avvolge molti dei
personaggi e che attrae in modo irresistibile.
Napoli
è lo sfondo ideale, non la protagonista. Sono presenti le frasi in dialetto, le
scene tipiche della vita partenopea, ma la città è riassunta, forse, dalla
descrizione dell’avvocato Beretta, torinese di nascita, dirigente di un grande
studio legale, che una volta trasferito a Napoli comincia a soffrire di
esaurimento nervoso, eppure dopo la lunga attesa della pensione non fa altro
che rimandare la partenza.
“Aveva
con Napoli un rapporto altalenante: a volte la amava, a volte la odiava… Un po’
come tutti i Napoletani”. - estratto del libro.
Il
romanzo si apre regalando al lettore l’impressione di trovarsi in prima fila mentre
si schiudono le quinte di una commedia del grande Eduardo De Filippo. I
personaggi, Augusto, Amedeo e Davide possiedono le caratteristiche di tali
rappresentazioni: un protagonista, ‘una spalla’, funzionale al protagonista e
un giovane dotato di un ‘dono’, che permettono di calarsi nell’atmosfera
divertente e venata di malinconia tipica delle Opere dei Maestri dell’arte
teatrale napoletana. Non manca la donna avvenente e custode, come Augusto, di
un mistero che, come tutti i segreti, è noto ai più: Virginia Piscicelli, vedova
del senatore Annibale Piscicelli, che riempie in seguito interi capitoli e si
eleva in tutta la sua grandezza morale.
Il
titolo dell’Opera, che è ben spiegato nella chiusa - diciotto pagine di
altissima poesia, che trafiggono l’anima e lasciano letteralmente senza fiato
-, non poteva essere più indovinato. Tramite
lo scavo psicologico che Franco attua di ogni personaggio si evince che ognuno
di loro rappresenta un tramite per favorire qualcuno o qualcosa. Il concetto è
spiegato molto bene dalle parole del muratore Agostino Esemplare, altro ‘eroe’
della vicenda, rivolte al commissario Petrillo:
“Non
vi è mai capitato di sentirvi parte di un progetto più grande? Di vedere che
intorno a voi accadono cose che si incastrano perfettamente tanto da favorire
un determinato avvenimento? Di sentirvi una specie di… come dire? - una specie
di pedina mossa sulla scacchiera di un’intelligenza superiore?”
La
settimana di eventi, che si svolgono nel quartiere di Santa Caterina, nel cuore
del centro storico di Napoli, vede un intreccio letterario che sembra statico,
ma è in levare a ogni respiro. Le vie, i vicoli, il chiostro, l’edicola della
Santa palpitano insieme ai battiti anarchici dei protagonisti delle storie, che
simbolizzano elementi caratteristici della storia di Napoli, del suo presente,
a tratti cattivo come i passi dei diavoli, e del suo passato, per sempre vivo
nelle anime degli abitanti. Come in un carillon, che resta ‘teatro a cielo
aperto’, la musica muove le scene al ritmo dei sentimenti e il bene controlla il
male con celata costanza. Il commissario Petrillo, il pescivendolo Raffaele e
il già citato Agostino custodiscono il bene, sono inconsciamente devoti a cause
più grandi dei loro intenti.
E
torna il concetto del ‘merito del mezzo’, che implica l’inconsapevolezza di
coloro che compiono le azioni.
Nel
testo esistono tre figure che regalano la misura dell’universo interiore di
quest’Autore: Davide e il suo ‘dono’, che riserva non poche sorprese; Caterina,
figlia del pescivendolo Raffaele, dodicenne destinata a vivere in carrozzina,
muovendo in modo disarticolato le braccia e forse ridendo alle premure degli
amici del quartiere; Paolo, detto Paolone, alunno del professore delle medie
Dario Marelli, che è affetto da un ritardo e diviene ‘mezzo’ per una vicenda
centrale ai fini del romanzo e della vita del suo professore di musica.
Creature affette da debolezze, che Franco trasforma in punti di forza, rendendo
i tre ragazzini infinitamente cari ai lettori e abbattendo, senza stereotipi,
le barriere per creare ponti.
La
capacità di penetrare nei meandri delle anime dell’Autore diviene sconvolgente
quando descrive la figura del senatore Annibale Piscicelli, che cresce a
dismisura dinanzi agli occhi dei lettori, e gli fa definire l’amore in questo
modo:
“Amore sono due ali, Dario, due ali che spuntano tra
le scapole squarciando e dilaniando le carni. Dolore e sangue, dunque, ma anche
l’unico modo per librarsi in volo, e osservare dall’alto quanto sia
meravigliosa e tragica la vita, e anche quanto siano piccole le orme che
lasciamo sulla terra.”
Di
diamanti simili l’Autore ne semina moltissimi nel corso dell’Opera dimostrando
ai più che per diventare Scrittori non basta presumere di possedere la
scintilla creativa, occorre sapersi cimentare in qualcosa di grande che lasci
sulla terra ‘orme indelebili’ .
“Il
merito del mezzo” possiede il lettore, lo rende schiavo felice dei suoi poteri,
diviene mezzo per credere che “La vita è un calcio d’angolo” - musica e testo
scritti dal professor Dario Marelli -, e per osservare il cielo nella certezza
di scorgere due grosse cicogne che rendono belli i quartieri - dormitori in cui
viviamo, le nostre case, le vite che troppo spesso ci sembrano prive di senso.
Maria Rizzi
Buon giorno Maria
RispondiEliminastamane aprendo Leucade ho letto il tuo commento all'autore che, come è tuo costume, affreschi con dovizia di particolari e con la fluidità espressiva che ti è congeniale.
Lino D'Amico
Grazie infinite, Lino, sei sempre presente nelle storie di Cultura e in quelle della vita. Un forte abbraccio.
EliminaConosco Franco De Luca e il suo valore umano e di artista."Il merito del mezzo", nella recensione di Maria Rizzi, viene descritto come una crescita ulteriore dell'Autore che già ci ha abituato a considerevoli romanzi. Franco scrive opere complesse, profonde, commoventi. Qualche volta nelle sue pagine "si fa teatro" , alla napoletana, con effetti sempre autentici e mai banali.
RispondiEliminaCongratulazioni a Franco e a Maria che ce lo ha presentato in modo così magico.
Un caro abbraccio a entrambi
Loredana D'Alfonso
Lory carissima, ti ringrazio infinitamente per il tuo commento, che come al solito, è un'autentica perla di affetto e di competenza. Ti voglio bene.
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