Dall’esergo
La
vita non è facile per nessuno,
e
allora? Bisogna credere alla
propria
vocazione per qualcosa, e
bisogna
dunque raggiungerlo questo
qualcosa,
e a qualunque costo.
Mi
è giunta proprio oggi la nuova
pubblicazione di Fulvio Castellani: Frastuoni, sussurri, sbadigli… Un vero
poeta, che organizza la sua poesia con sagacia e ricchezza di contenuti. Qui il
pathos e il logos si amalgamano per dare beneficio al canto, per offrire al
lettore un saggio della sua turbolenza emotiva: ibi omnia sunt: emozione,
onirismo, memorie, fascino descrittivo, naturalismo, affetti, vertigini
sinestetiche… Mi piace iniziare questa narrazione critica dalla poesia testuale
che raccoglie in sé il percorso poetico del Nostro, i suoi marchingegni espressivi,
la sua foga emotiva, i suoi
interrogativi:
Non
sono chi credo di essere
E
chi credono io sia.
Come
al tempo degli egizi
amo
costruire piramidi
far
correre i ragni
annegare
le nuvole
in
un’oasi d’argilla… (Chi sono)
D’altronde cosa è la poesia se non che emozioni
che scalpitano per uscire fuori a vedere la luce? E qui c’è una ricerca
continua di luce, di amore, di fuoco; la versatilità e l’ecletticità di
Castellani sono note: uno scrittore attento,
puntiglioso, amante del bello. I suoi versi scorrono fluenti e morbidi
come l’aria di primavera. Tutto è gentile, tutto è pensato e maturato
nell’animo del poeta, che, dopo una giusta macerazione dei suoi versi, offre
alla pagina un animo schietto e sincero. Il canto si fa ora breve ora più ampio
per seguire l’andamento ondulatorio dei
sentimenti. La Natura con tutto
il suo potenziale offre la sua icasticità per rendere visivi gli stati d’animo.
Il poeta non scrive i suoi patemi d’impulso, ma dà ai momenti oggettivi il
compito di reificare le emozioni; la natura che parla al poso del poeta, si fa voce, OFFRENDO LA ICastiCITà del linguaggio. La parola curata con somma
attenzione, DIVIENE PAROLA giusta nel verso giusto; il verso scorre linpido e
sereno, zeppo di simboli oggettivi, con cui il poeta analizza la sua
interiorita’. Per cui sembra che i vari momenti del paesaggio diventino
stilemi, sintagmi di un dire personale. E
sembra che il poeta venga preso per mano
da madre natura e portato negli ambiti più segreti per osservarne i suoi
anfratti, le sue sfumatura, i suoi movimenti che poi si fanno parole,
linguaggio del poeta. Insomma l’autore non ha bisogno di accorgimenti retorici, di marchingegni figurativi,
stilistici, in quanto arriva con tutta
la carica di semplicità. Quella semplicità che emoziona e commuove. Il libro
diventa l’animo del poeta sciolto in parole; leggere la sua poesia significa
arricchire il nostro bagaglio scritturale di slanci emotivi e creazioni
personali che danno forza e sostanza alla poesia. Mi piace scrivere alcuni
versi del testo che ritengo i più cretaivi e da lì dare un esempio del
suo modo di scrivere e di pensare. Il suo poema è senz’altro più legato ad una
tradizione nostrana che a tanti tentativi di riforma prosastica che tanto male
fanno al canto. Qui è presente l’autore con tutta la sua fattività con tutto il
suo bagaglio memoriale, e non è passivo, inattivo, come vorrebbero i
rivoluzionari per cui la poesia non dovrebbe avere in sé riferimenti personali
o mnemonici. Ma come può uno scrittotre far poesia senza parlatre di sé, del
suo mondo, delle sue radici, insomma della sua vita. E il poeta dice di sé
delle sue vicissitudini emotive, del suo bagaglio culturale, facendo dei versi
un contenuto di vita e di amore.
(….)
e quando il giorno è sciolto
all’espandersi fatuo del nulla
mi sono chiesto
se era valsa la pena
alzare le mani al cielo
agglutinando l’oggi
ai giorni che verranno
all’inattesa gioia della speranza (Mi sono chiesto)
Nazario
Pardini
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