Lettura
di Concerto a Vanagloria di Claudio Fiorentini
Conoscendo
un po’ l’autore del libro, Claudio Fiorentini, mi aspetto rotture di schemi e
puntualmente le trovo.
Cinque
anni prima dei fatti, Elmer Passacaglia, celebre scrittore, aveva voglia di
gridare come un pazzo, alzarsi dalla sedia, buttare giù il PC dalla finestra
per vederlo fracassarsi di sotto, magari al rallentatore, ma tra due virgole:
accompagnandolo con una canzone d’amore.
Tutto
questo mi appare grottesco e, dunque, tragico. Mi torna in mente la scena
finale de Il gladiatore, con la
colonna sonora di Zimmer a commentare la
libertà che viene dall’acclamazione della sconfitta: Now
we are free.
Subentra la
contraddizione: l’anti-eroe affonda la sua rabbia in un panino e una
birra-molotov, accrescendo la sua mole già abbondante, e risponde alla e-mail
dell’amico Ted, che aveva rifiutato la sua proposta editoriale, con un nuovo
progetto.
La
narrazione è esposta per gran parte del libro con la tecnica del flashback e
flashforward creando la suspense necessaria al reperimento del tempo presente.
Proprio sul tempo Claudio Fiorentini mette il segno distintivo della parziale
rappresentazione della vita e della verità: Elmer sapeva del tempo infinitesimo
che passa tra il presente e la sua percezione. Quel tempo, per Elmer, si poteva
riassumere nell’attesa e l’eterno ritorno, nello scatto di un elastico,
nell’attimo che ha l’energia vitale e incontenibile. L’aveva scritto in un
romanzo presentato otto anni prima. Attraverso Ted, l’Autore pone l’accento sul
“rifiuto” di una società che passa dalla politica economica a quella
finanziaria. L’editore non intendeva pubblicare un romanzo che pone in nuce il
commercio delle armi e un’associazione clandestina di giovani intenti a
debellarlo. I giovani eroi sono Lillo e Marta, figli di Piero e Pina, confusionari
vicini di casa di Ted. Pina sorride sorniona, riceve spesso un venditore di
aspirapolveri; Piero è sospettoso, perché sorridere, per lui, è cosa strana.
Ben altro, in seguito, gli risulterà strano in famiglia.
Quanto
l’Autore coincida con il narratore e con il narratario non è semplice saperlo,
ma nell’analisi sull’editoria attuale egli viene fuori con l’idea dell’arte che
deve vagabondare per strada in cerca
di una carità d’ascolto. Se la via è lunga, tanto meglio, perché ci vuole tempo
per l’ascolto. Naturalmente, sono comprese tutte le contraddizioni possibili
poiché (ci dice) nel sistema editoriale, con il nome in copertina appena più
piccolo del titolo, ci stiamo bene tutti. Ebbene, almeno il costo della carta
si deve pur pagare al povero editore che, spesso, farebbe bene a provare a
vendere aspirapolveri. Un libro aspiratutto, questo ci vorrebbe; a spazzole
strette (trentadue, come i denti o la vecchia Olivetti) che prenda e porti via
le false convinzioni lasciando un tessuto di heideggeriana essenza temporale.
Tornano l’attimo fuggente, l’attesa, il tempo zero dell’elastico di Elmer.
A
vendere aspirapolveri (in realtà non ci riescono) ci avevano pensato, quattro
anni e mezzo prima, Vito (quello che va da Pina) e Adelina. Vito è un ex prete -
poeta - logorroico futuro venditore di enciclopedie con cui Elmer parlava da
giovane; gli era piombato in casa per Provvidenza.
Molte riflessioni scaturiscono dalle parole di Vito - alter ego. Ci si domanda circa il mito nell’arte, o l’arte nel
mito, il mito dell’arte e infine l’arte del mito imposta dai media che vendono
idee, ci forgiano per l’ignoranza, propongono falsi profeti di improbabile
poesia e letteratura in nome del profitto.
Amen.
Jerry,
il venditore di armi, faceva parte della strategia del profitto più sporco, ne era
l’emblema. Era anche eccelso esponente del rapporto tra narcisisti e adulatori.
Una trappola non da poco, specialmente in certi ambienti, in cui lui, proprio
lui era caduto. Difficile sottrarsene se non con la fiducia in coloro in cui si
crede per eventi trasversali. Già, è negli incroci che si sceglie la via, allo
stop. Questo accadeva due anni prima.
Adelina
è un’ex modella. Vito l’aveva incontrata per strada, con le labbra sfregiate
per sempre a chiamare Dio per rendergli la violenza che aveva subito. L’aveva
presa con sé, come padre amoroso. In quella strada, Adelina sarebbe tornata con
estremo coraggio; una strada percorsa anche da Ted la sera in cui aveva presentato
lo strano libro di Elmer sul tempo e l’elastico, poi ritirato dal commercio. Le
aveva fatto l’elemosina, ma si vedeva più stracciato di lei.
Vorrei
porre un cenno sulla presenza e il desiderio di Dio in chi lo cerca e lo trova
nel povero diavolo. Troppo complicato, declino l’idea di farlo.
Quella
sera Ted aveva raggiunto sua figlia Jiuliette, una pianista che della musica
aveva fatto l’unica ragione di vita, a casa dell’ex moglie. Jiuliette: […] mi sono detta: ma la musica è tempo e il
tempo va sempre avanti, però, se la musica andasse indietro, o meglio, se fosse
eseguita al contrario, non si stabilirebbe un processo rivoluzionario che
disubbidisce alle più elementari leggi della natura? Avrebbe cercato il
mito dell’eterno ritorno, la volontà di potenza di Nietzsche? Il punto esatto
in cui l’attimo si perpetua nel divenire?
Tutto
ciò incontra una mia riflessione, già riportata in altre occasioni: l’arte, qualsiasi forma di arte, credo
tenda a rappresentare un evento. La forma che l’artista persegue è quanto di
più vicino possa sentire alla sostanza. Lo spazio e il tempo, la loro
relatività ormai conosciuta, sono percezioni che portano con sé, oltre al qui e
ora, anche un prima e un dopo. L’evento, dunque, non potrà avvalersi di
completezza assoluta poiché è contemporaneamente anche altro. Lo scarto
essenziale sta, a mio avviso, nella ‘scoperta’
che contraddice il pensiero logico, il già conosciuto. Jiuliette
avrebbe suonato un concerto, all’Arena di Vanagloria, con la musica all’incontrario;
a quel concerto sarebbero andati tutti, anche Marta e il suo innamorato (una
spia alla ricerca dell’organizzazione giovanile clandestina) bello e colto.
Ecco l’anello che non tiene, l’evento prodotto dall’umana natura imprevedibile.
Molti saranno i colpi di scena che si susseguiranno nei capitoli conclusivi di
Vanagloria.
Mi
chiedo quanti spunti di riflessione ci siano in questo volume di Fiorentini in
cui il narrato è pretesto per un metaromanzo, ‘pastiche letterario’ da
apprezzare con l’esperienza necessaria al discernimento; e l’esperienza viene
dal vissuto e il vissuto dal passato, ma il passato è storia che, attenzione,
infine si declina al presente. Siamo la nostra storia. Nostra fino a un certo
punto poiché altri, in qualche modo, la condizionano e la controllano. Altro
accade da un altro punto di vista.
Jiuliette aveva letto il manoscritto di Elmer
e ne era rimasta folgorata. Secondo Ted era ammattita; per questo, in seguito,
egli aveva rifiutato i veri capolavori letterari. Lo aveva scritto a Elmer con
un mea culpa, invitandolo al concerto. Poi, sarebbe partito abbandonando
l’editoria. Scrive l’Autore per bocca di Ted: … ci sono momenti in cui letteratura e realtà si fondono. Potrebbe
capitare in qualsiasi momento. Gli eventi reali e l’immaginazione diventano un
tutt’uno. Sì, ci sono sempre personaggi in cerca d’autore, come in un sogno
lucido in cui immaginazione e percezione della realtà si fondono nella loro
specularità per quell’intelligenza divina di aristotelica memoria.
La lettura, consigliata, di questo intrigante romanzo vi svelerà la fine della storia che non posso e non voglio dire, ma che in realtà potreste cominciare a immaginare.
Patrizia
Stefanelli
Ho avuto i brividi leggendo questa bellissima recensione. Grazie Patrizia! Lo dico col cuore in mano e gli occhi umidi. E grazie Lèucade per concederci questi approdi!
RispondiEliminaClaudio