giovedì 7 marzo 2013

N. PARDINI: INEDITO


I miti che verranno   

 

Mitologie nuove ci saranno,

nuove divinità per nuovi Olimpi,

Giòvi rinati sopra vette eccelse                                

di neve rosa. E fervidi tramonti

che tingeranno terre accarezzate                               

da porpore benefiche.

 

E immaginatevi Marti novelli

con armi fuse ai piedi della pace.                              

Oppure nuove Cereri a volere

mele cotogne nei cassetti lignei

a insaporire vesti ricamate

da mani di concordia. E valli e venti

di nobili concimi profumati

di letti cari ad animali amici.

E uccelli sicuri nei cieli

di mille colori dipinti,

gorgheggi a sfiorare l’azzurro.

Gorgheggi gioiosi

nutriti di semi

ignari di morte. E dentro i boschi

nuove Diane a proteggere i cerbiatti

che salteranno liberi

su slarghi ricamati di bellezza

fra alberi invecchiati

sopra suoli ridenti di marine

e sapidi di ragie.

E Nettuni placati che vorranno

mari azzurri  e rilucenti

a rispecchiare cieli

nei loro fondi chiari e cristallini.

Nei loro fondi carichi di vita.

Ed Afroditi tenere

per puri amori scevri di commerci

dove saranno i figli dell’amore

il frutto sacrosanto d’uomo e donna.

Dove i popoli

tenderanno la mano ad altri popoli,

non per meschini intrichi di poteri,

ma per dono d’Ireni. E bandito                                 

sarà il verbo nemico

dai linguaggi rinati.

 

E quelli che verranno

ci volgeranno lo sguardo 

come a un’età                                                           

di uomini dimentichi del cielo

che videro imbarbariti anche gli dèi

in fuga dalle loro blasfemie.

 

26/12/2012   h. 11,30

 

2 commenti:

  1. Questo prodotto poetico di Nazario Pardini affonda le sue radici in una forte aspirazione a una realtà umana più nobile ed elevata, più degna e trasparente, insomma in un desiderio di catarsi o di palingenesi. E, in quest'operazione, il poeta convoca liricamente le divinità del mondo antico affinché contribuiscano, ognuna per la propria parte, a creare un'età aurea, cioè una realtà più degna di essere vissuta, con buoni governanti (Giove), senza guerre( le armi fuse di Marte), con la rivalutazione della vita semplice dei campi e dei prodotti naturali (Cerere), con la vita serena di animali e piante (Diana che protegge i cerbiatti), con il mare calmo e terso a rispecchiare il cielo (Nettuno), con puro e vero amore (Afrodite) e, infine, con la pace interiore (Irene) che sovrintende ai rapporti tra gli individui e tra i popoli.
    Aspirazione umanitaria -questa- non vaga né velleitaria, perché reca dentro di sé lo stimolo al miglioramento di animi e coscienze. C’è nel testo una dolorosa ed autentica esigenza di un mondo migliore, rimossa finalmente la crassa rozzezza e la profonda corruzione che pervade questa nostra realtà.
    Pasquale Balestriere

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  2. Questa rivisitazione del mito, da parte di Nazario, apre il cuore: voglio dire che il poeta eleva un canto che è un inno alla vera speranza. Ma chiediamocelo: di cosa si nutre la sua aspirazione? Si ciba, appunto, di nuove-remotissime divinità. E qui sta - a mio modo di vedere - la grande valenza icastica di questa lirica, di questo moderno poema: sta in ciò che percepisco come senso della ricreazione, del rinnovamento; dalle radici però, dalle loro più profonde propaggini. Certo (concordo con Balestriere): è la descrizione di una palingenesi quella che, alla fine, risulta; una palingenesi rigeneratrice che - in quanto tale - deve, prima, ripulire, mondare perché, "placati" da una Natura incontaminata, tornino gli dei a rivedersi nell'azzurro dei cieli e dei mari, nel verde dei boschi, nei canti degli uccelli, nella fusione delle armi per l'acciaio della pace. Oh no, non è l'Arcadia!: è la Terra come sarà, come forse è stata ad ogni sua rinascita, come sono certi che sarà i poeti: quelli autentici, che aprono il cuore all'uomo.

    Sandro Angelucci

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