lunedì 21 ottobre 2013

N. D. STEFANO BUSA': "IL NOVECENTO E LA PAROLA"


Ninnj Di Stefano Busà

Il Novecento è stato il secolo dei dubbi sulla parola. I poeti hanno spesso dubitato sulla forza della parola poetica: dagli Ossi di Seppia con il continuamente citato “Non chiederci la parola” alle litanie nietzschiane di Mariangela Gualtieri di fine millennio in Fuoco centrale: “io non ho abbastanza parole, le parole mi si consumano, io non ho parole che svelino, io non ho parole che riposino… io appartengo all’essere e non lo so dire, non lo so dire”. L’assenza della parola è direttamente da addebitare alla mancanza di dialogo:tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra fratelli, tra parenti e amici, e andando sempre più ad analizzare si avverte una forte carenza di dialogo anche tra le genti, tra i popoli. È una fenomenologia che investe ogni categoria umana, ci porta inevitabilmente all’isolamento, ci precipita in un solipsismo cupo, ed è davvero inquietante vivere vicino agli altri e qualche volta morire, senza che nessuno se ne accorga. La vita di oggi tumultuosa e indifferente ci ha resi sterili, anabolizzati e incapaci a intrattenere rapporti sociali, interpersonali. Viviamo questi anni in una inquietudine che ci respinge dal lato umano e ci proietta su fatti che non ci restituiscono serenità e pacificazione dello spirito. Siamo distratti, tristemente affrancati da valori, compromessi da rapporti schizofrenici che non ci permettono la comunicazione col nostro prossimo. Vi è una sorta di svilimento nei rapporti con gli altri, perchè si è sperimentato un sistema di vita all’insegna della fretta,dell’indifferenza. Siamo zavorrati da orari di ogni genere, lavoro, studio, figli, sport, che non ci consentono di aprire l’anima alla luce, respirare un volontario atto di clemenza, di buona volontà. Restiamo inchiodati al nostro perimetro di spazio/temporale, senza levare lo sguardo al vicino, al più bisognoso, all’indigente. In un tale contesto è difficile il rapporto con gli altri, anche perché ci porta a rinchiuderci in noi stessi, ad avvalorare l’ansia e l’indignazione per il bilancio del ns. esistente sfibrato, frantumato. L’inquietudine spesso ci divora, ci disorienta. E’ bene fermarsi, riflettere, riprendere a camminare con la schiena dritta, fortemente intenzionati a cambiare: direzione, azioni e comportamenti della nostra vita che ci umiliano. Non è mai troppo tardi per iniziare un percorso a ritroso che ci permetta di ritrovare noi stessi, l’umanesimo che ci ha abbandonati e contare sulle nostre forze per migliorare lo stato della nostra umanità compromessa, fortemente degradata e delusa.

9 commenti:

  1. Trovo di enorme interesse l’analisi svolta da Ninnj Di Stefano Busà. La nostra è solo in apparenza una civiltà della comunicazione. In realtà siamo sprofondati in una totale incapacità di rapportarci e di stare in relazione, cancellando lo stato di comunione che per secoli e millenni era stato alla base della vita degli esseri e delle civiltà. Abbiamo cancellato e assassinato il popolo in nome di una società di massa, senz’anima, che ci costringe a vivere addossati gli uni agli altri, senza conoscerci, come pezzi di una catena di montaggio, totalmente robotizzati. La nostra è una società profondamente irrelata, non più correlata, nonostante voglia spacciarsi come “relativistica”, nascondendo ipocritamente la sua vera natura assolutistica, globalizzata, fondata sull’univocità. Sono pienamente concorde con la Busà, laddove sostiene con forza l’esigenza di “iniziare un percorso a ritroso che ci permetta di ritrovare noi stessi”. Aggiungo che, paradossalmente, sta proprio nella capacità di dialogare con se stessi la capacità di dialogare con gli altri, in quanto l’”altro” deve intendersi prima di tutto come l’”altro di sé”. Il primo anello della catena relazionale consiste nella relazione che l’uomo riesce a stabilire con se stesso. In assenza di ciò, va in pezzi l’intera catena, perché tutto sprofonda inesorabilmente nell’inautenticità.
    Franco Campegiani

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    1. Un commento azzeccato e pertinente. Un'analisi lucida, quella di Campegiani, come sempre approfondita e circostanziata della situazione disastrata di oggi. Una società in preda ai più cupi deliri, alle assurdità, alle atrocità perpetrati dall'uomo contro l'uomo, in una catena di nefandezze, di oscurità, di profonda crisi di valori. Sostanzialmente dedita, essa società, a reperire solo frammenti di quella luce che è l'origine dell'homo sapiens. L'orrido, l'indefinibile si sono appropriati della coscienza, senza manifestare il benché minimo raccapriccio, per quello che si sta consumando sotto gli occhi di tutti. Occhi cinici, indifferenti ad ogni richiamo di saggezza e di giudizio o discernimento. Non ci sfiora il minimo dubbio di essere nell'inautentico, nel caos, nello smarrimento più totale dei principi giusti, onesti e veri. Il ns. può apparire anche il parere di 2 cinici, mi auguro che non siamo i soli, mi auguro che a cercare di tamponare, di reperire ragioni di ravvedimento e di superamento possiamo essere in tanti, perché il mondo è davvero agli sgoccioli, il depauperamento è un danno irreversibile. Ci proietta indietro nel tempo, ma non ai tempi felici, ma agli uomini della clava, ai cavernicoli...La società del postmpderno ha partorito mostri, e in successione o in trasmissione testamentaria, vien facile pensare che questi mostri ne creeranno ancora e ancora degli altri, in una catena irreversibile di viltà, di compromessi, di inadeguatezze di conflitti primordiali. Altro che civiltà dei consumi!! ci consumeremo d'inedia, incivilmente: il mondo finirà nella paralisi e compromissione di ogni morale o etica, e sarà una consunzione senza precedenti. Datemi pure torto. Io la vedo così.

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  2. Ho letto con infinito interesse l'analisi della Professoressa Ninnj Di Stefano Busà e i successivi commenti. Franco Campegiani parla del ritorno al rapporto tra l'io e la propria coscienza, all'all'altro sé, ovvero alla capacità di pensiero autonomo, svolto in solitudine.
    Viviamo tempi 'liquidi', non si può negare, tempi all'insegna del 'qui e ora', che impediscono ai ritmi di rallentare e consentono alla tecnologia di prendere il sopravvento. In fondo rallentare può essere scomodo e allora... ben vengano le emozioni, i sentimenti, i rapporti interpersonali consumati allo stesso modo dei beni economici. E' il modo per esorcizzare la paura di trovarci a fare i conti. Con il passato, con gli ideali che abbiamo promesso di seminare, con i figli e, soprattutto, con noi stessi. Temo che le colpe della società massificante vadano sempre ricondotte al singolo. L'uomo quando e 'se' vuole, può essere più potente del consumismo, può servirsi dei mezzi virtuali e non lasciarsi usare da essi, può ritagliarsi gli spazi indispensabili per stare con coloro che ama e per ritrovare il dialogo interiore.
    Non esiste forza che possa piegare la volontà dell'uomo. E' stato dimostrato dal passato, dalle violenze fisiche e psicologiche, dalla determinazione a negare il pensiero. Se oggi imperversa la società di massa la colpa è di ognuno di noi. Si può rallentare. Si può vivere secondo
    principi diversi da quelli dilaganti... Si può scegliere di non essere branco!
    E' una questione di convenienza. Le convenienze di troppi annullano l'Umanesimo. Io voglio continuare a credere che la coscienza dell'individuo sia l'elemento di svolta. "Nati non fummo per viver come bruti...". E sempre valido, no? Grazie infinite per avermi indotto a riflettere.
    Maria Rizzi

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  3. Non si può non essere d'accordo con l'attenta disamina di Ninnj Di Stefano Busà sul Novecento: negare l'evidenza è da sciocchi superficialisti.
    Nessun catastrofismo per carità (sento già le voci degli ottimisti ad oltranza sollevarsi in segno di rimbrotto) ma vorrei dire a costoro che la speranza nel bene va conquistata e, per farlo, bisogna accorgersi delle lacrime (soprattutto di quelle di chi piange di più). Non è mia intenzione fare del moralismo a buon mercato: dico soltanto che è vero, ciò che ci divora è l'inquietudine. Caratteristica, questa, connaturata - a parer mio - con la nostra stessa natura, ma positiva fin quando spinge l'uomo a migliorarsi o - se si vuole - a seguire il proprio percorso spirituale; negativa quando la stessa deriva da cause autoprodotte: diciamo così (consentitemelo) artificiali.
    Già, perché non mi si venga a raccontare che l'essere umano ha bisogno di quell'adrenalina procurata dalla schizofrenia, da un lato, e dal solipsismo, dall'altro. Sono facce, queste, della medesima medaglia: quella che ci siamo meritati alle Olimpiadi del Vuoto e dell'Irragionevolezza.
    "Non è mai troppo tardi", sostiene però la Busà, per iniziare "un percorso a ritroso" che - attenzione - è un procedere in avanti, alla ricerca, appunto, dell'Umanesimo, che non credo ci abbia mai abbandonati (semmai è accaduto il contrario). Questo percorso deve portarci alle nostre sorgenti: ci porterà sicuramente lì, e scopriremo che sono quelle di sempre, anche se - come avviene nei processi creativi - parleremo di un Nuovo Umanesimo, perché nuovo sarà, come ogni mattino lo è rispetto al precedente.
    E la parola dovrà svolgere un ruolo determinante: sarà la prima a spazzare via i dubbi, senza illudersi però che non ce ne saranno altri: a quel punto risolvibili se, nel frattempo, avremo recuperato noi stessi.
    E' l'auspicio che tutti - poeti compresi - ci facciamo. Che questa Terra sia davvero un giardino per le generazioni a venire...

    Sandro Angelucci

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    1. Vi sono troppi -se- a frammentare il mondo: se il pensiero resta sordo ad ogni richiamo di Dio, se la coscienza è tempestata dall'individualismo più sordo e becero, se il dialogo è assente o, ci urla dentro la voce dell'incoscienza a fomentare le regole del gioco, a distruggere il raccoglimento dell'anima, la verità. Se i popoli non parlano, ma si scontrano in guerre sanguinose, se l'odio si trasforma e ci trasforma in cavernicoli, se l'arroganza e l'ingiustizia albergano nel cuore, se la libertà non esiste, se c'è fame, sete e miseria, se la società non si rinnova nel verbo della pace e i popoli non dialogano, se accolgono la diversità come tragedia...Crescono e si rafforzano le disparità, l'individualismo, lo scetticismo a oltranza, muore la solidarietà, l'accoglienza, il cammino della Fede, la lungimiranza, l'intelletto pensante, se non c'è solidarietà e amore per il prossimo, degenera la speranza, cresce e si fa forte il fondamentalismo, l'egoismo, la frammentazione che fanno la differenza tra l'uomo e l'uomo-sapiens, tra il mondo civile e quello dei primordi...

      Ninnj Di Stefano Busà

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  4. Condivido, e come si può dissentire? Ma permettetemi un commento da osservatore ignorante: non viviamo tempi peggiori di altri tempi, e i mali di cui si tratta in questa discussione sono sempre stati il drago da combattere. Ma ci sono delle differenze. Oggi non siamo analfabeti come pochi decenni fa, il novecento ha portato alfabetizzazione, scolarità, conquiste sociali, la settimana corta, la rappresentanza sindacale, il voto alle donne, il tempo libero, le gite scolastiche, le cure dentarie, l'automobile, le strade, la vacanza, il diritto alla salute, i vaccini... e questi bellissimi Blog, piazze virtuali dove la parola regna.
    Il mondo è cambiato molto rapidamente negli ultimi cento anni, e forse l'uomo, che suole resistere al cambiamento, non ha capito cosa stava, e sta, succedendo, a vantaggio di un Sistema (anch'esso fatto da uomini) che manipola la ricerca di libertà.
    L'evoluzione del mondo, così rapida, porta incertezze, e le incertezze portano paura, e la paura ci porta a chiuderci in noi stessi... Si cerca il benessere, e si deve proteggere questo benessere rifugiandosi in casa, tra quattro mura... e spesso si preferisce guardare sciocchezze alla TV, o fare un solitario al PC, o i cruciverba... mi chiedo, ma perché molti non sanno cosa farne del tempo libero... il tempo libero... la più grande conquista dell'umanità... e i passatempi (come se il tempo non passasse già da solo)... a far della comunicazione un riempitivo...
    Saluti a tutti
    Claudio Fiorentini

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  5. Ho letto con interesse i commenti relativi al limpidissimo scritto di Ninnj Di Stefano Busà, quasi uno squillo di tromba nella necropoli delle nostre anime. Pur concordando con la dovuta storicizzazione delle nostre angosciose problematiche suggerita da Claudio Fiorentini, è pur vero che la crisi da benessere rientrato del nostro paese si sta rivelando per quella che radicalmente è: una macroscopica iniquità sociale, con pochi crapuloni in letizia e tante, troppe persone alla fame, senza la dignità di un lavoro. Viene da sorridere (per non piangere), ripensando al testo di Marcuse EROS E CIVILTA', laddove si vaticinava di una società occidentale del Duemila libera dalla schiavitù del lavoro e dedita all'otium.. (sic!). Insomma, l'esperienza del socialismo reale sarà stata fallimentare, ma rimane la fertilità del pensiero marxiano nell'indicare nelle strutture socio-economiche quello che conta veramente, per darci una spiegazione delle sovra-strutture ideologiche. Per farla ancora più breve; com'è possibile che tante ricchezze siano arraffate da pochi, pochissimi in questo momento storico del nostro paese? qualcosa dovrà necessariamente cambiare, non essendo più il radicalismo un affare da salotto con scarpe marchigiane di ottimo artigianato e una bella erre moscia alla Bertinotti. Il radicalismo è nei fatti. E comunque chi può, chi ancora può, non ha scampo, in senso positivo; dovendo guardare dentro se stesso secondo quel tracciato indicato con forza da Franco Campegiani. Ringrazio Ninnj Di Stefano Busà per lo stimolante dibattito suscitato.

    Andrea Mariott

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  6. Grazie Andrea, ti ho già dato risposta a piè, di quella tua nota che il caro Pardini ha messo nel blog. Lo ringrazio vivamente anche per averti dato lo spazio che meriti. Ho letto il testo di Marcuse EROS E CIVILTA' . In Italia non succederà mai che ci si possa sentire schiavi del lavoro, ormai non c'è più...manca da troppo tempo e mancherà sempre di più, Altro che crescita! idiozie che vogliono inculcare ai gonzi, ma chi ci crede alla ripresa? è di una vaghezza indescrivibile questa ipocrisia. Per il resto, che dirvi? Aspettiamo allora, che qualcosa cambi, sì, ma nella testa degli italiani...auguriamoci.Vedete, anche questa paura ad esprimere il loro parere, dire la loro, la dice lunga, lunghissima. Io innesco dibattiti ai quali dovrebbero partecipare migliaia di lettori, ma tutti stanno zitti. C'è paura, troppa paura non sentite quanta!!!...
    Ninnj Di Stefano Busà

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  7. Interessanti dibattiti riesce a provocare ogni intervento della Di Stefano Busà. E' vero la situazione è difficile, non vi sono i minimi segnali di ripresa, e anche se ci propinano: crescita e miglioramenti, rimane lettera morta ogni cosa. Le fabbriche non ritorneranno, le industrie non riapriranno. La situazione è drammatica...Noto che si sta accquattati, come in autunno le foglie, in attesa di essere sbalzati via dalla forza della tempesta...Speriamo bene che ci salvi la mano di Dio...

    Gabriella Sirtori

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