martedì 4 febbraio 2014

UMBERTO SABA: "A MIA MOGLIE", POESIA

Nazario Pardini

Nacque a Trieste nel 1883 e morì a Gorizia nel 1957. Da giovane seguì studi classici, frequentò l’Accademia di Commercio e nella maturità esercitò la professione di libraio e di antiquario. Dopo i diciassette anni si volse allo studio delle lettere e iniziò una saltuaria collaborazione a giornali e riviste. Pubblicò un primo libretto di versi nel 1911 e nel 1921 raccolse tutte le poesie scritte fino a quell’anno nel volume Il Canzoniere. Con questo nome è stata periodicamente raccolta e pubblicata la produzione essenziale del poeta triestino, che nel 1953 ottenne l’ambìto e assai raro onore di ricevere dalla Università di Roma la laurea Honoris causa.
Il Saba in quarant’anni di attività poetica rimase fedele ai suoi ideali e, senza abbandonare i metri e i modi tradizionali, seppe restare un poeta moderno, giovane come i più giovani, con un contenuto personale e originale che lo pose all’avanguardia di ogni innovazione e di ogni conquista. Fu il poeta della malinconia, che tempera la sua naturale tristezza con il riconoscimento pacato delle esigenze della vita, e con la consapevolezza che il canto ha il dono divino di attenuare il vano scoraggiamento e la crudele disperazione.

Il miglior commento e la più sicura testimonianza dell’arte di questo poeta, la offrì il Saba stesso con il volume Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), che noi consigliamo di leggere per penetrare a fondo nella sua interessante e moderna poetica.

(Nazario Pardini)


A MIA MOGLIE


UMBERTO SABA

TU SEI COME UNA GIOVANE,
UNA BIANCA POLLASTRA.
LE SI ARRUFFANO AL VENTO
LE PIUME, IL COLLO CHINA
PER BERE, E IN TERRA RASPA;
MA, NELL’ANDARE,HA IL LENTO
TUO PASSO DI REGINA,
ED INCEDE SULL’ERBA
PETTORUTA E SUPERBA.
E’ MIGLIORE DEL MASCHIO.
E’ COME SONO TUTTE
LE FEMMINE DI TUTTI
I SERENI ANIMALI
CHE AVVICINANO A DIO.
COSÌ SE L’OCCHIO, SE IL GIUDIZIO MIO
NON M’INGANNA, FRA QUESTE HAI LE TUE UGUALI,
E IN NESSUN’ALTRA DONNA.
QUANDO LA SERA ASSONNA
LE GALLINELLE,
METTONO VOCI CHE RICORDAN QUELLE,
DOLCISSIME, ONDE A VOLTE DEI TUOI MALI,
TI QUERELI, E NON SAI
CHE LA TUA VOCE HA LA SOAVE E TRISTE
MUSICA DEI POLLAI.
TU SEI COME LA PROVVIDA
FORMICA. DI LEI, QUANDO
ESCONO ALLA CAMPAGNA,
PARLA AL BIMBO LA NONNA
CHE L’ACCOMPAGNA.
E COSÌ NELLA PECCHIA
TI RITROVO, ED IN TUTTE
LE FEMMINE DI TUTTI
I SERENI ANIMALI
CHE AVVICINANO A DIO;
E IN NESSUN’ALTRA DONNA.

Casa e campagna (1909-10)


4 commenti:

  1. Saba/Ottimo lavoro, si rilegge volentieri.
    Miriam

    RispondiElimina
  2. A pensare che questa bellissima e toccante poesia venne in qualche modo deplorata da Benedetto Croce (..."irrisolta", se non ricordo male). Eppure in essa vibra un sentimento poetico senza pari.

    Andrea Mariotti

    RispondiElimina
  3. E che dire del fatto che la stessa moglie del poeta, Lina, in un primo momento rimase, pur ridendone, piuttosto "spiazzata" nel vedersi paragonata a tanti animali? Anche a lei sfuggì che quelli erano, per Saba, " i sereni animali che avvicinano a Dio". E neppure notò che suo marito aveva incarnato, in questa lirica, il "fanciullino" teorizzato dal Pascoli, quello che guarda alla vita con ingenuità e stupore, con purezza d'occhi e di cuore. E riesce bene,Saba, anche perché è in possesso di un linguaggio semplice, vivo, vero, inedito, perché depurato dalle scorie dell'uso quotidiano, rinnovato alle radici. Limpido, come acqua appena sgorgata dalla fonte.
    Pasquale Balestriere

    RispondiElimina
  4. TUA FREDDA BORA
    (a Umberto Saba)

    Ora che vorrei e non so più
    migrare, lungo grido mi rattiene
    e pallido orizzonte sfiora
    la mia memoria che dilaga.

    Ora che vorrei inquiete fughe
    sul nostro Adriatico tentare,
    tenera sera ci sorprende
    e sul torbido mare affiora
    un’urna antica di avi sconosciuti.

    Ora che vorrei e non so più
    gridare, tua fredda bora mi dà voce
    e amara solitudine divora
    un sole che d’intorno cade.

    (21, sera di febbraio, 2002)

    Umberto Cerio

    RispondiElimina