lunedì 14 aprile 2014

R. DE LUCA SU: "LA POESIA E LA FUNZIONE DEL CRITICO", DI F. CAMPEGIANI



Roberto De Luca

Concordo in molti punti su questa profonda e in qualche modo eccelsa riflessione sull' Arte , sulla sua importanza sociale, sull' influenza che esercita sullo spirito dell'uomo e sui suoi comportamenti( bella la definizione che la Creatività sia di per sè una filosofia, poichè è una visione a se stante del mondo) ma, mi sia concesso, caro Franco, di dire che sarebbe il caso di porre maggiore attenzione sul fatto che per quel che riguarda la poesia e l'arte in genere si tratti, a MIO AVVISO, di una predisposizione, e che si pensi che molti di coloro che l'hanno , non sono stati nemmeno contenti, poichè trattasi di cosa troppo impegnativa... 


Ora, che si creda che questa provenga da Dio, oppure che si creda che venga direttamente dai geni naturali, non fa alcuna differenza, il fatto è che, in quanto tale, coloro che la posseggono, hanno l'onere di ricercarla in se stessi e vedere bene di cosa si tratta ( per alcuni ci sono voluti anni di sofferenze per sviscerarne il suo stato più puro) ma poi, devono necessariamente passare ad altri quello che hanno insito nel DNA. E' vero anche che tutto questo possiede di per sè innumerevoli aspetti.... Molti, ad esempio, non la posseggono, non posseggono il dono di comunicare, eppure scrivono romanzi, poesie e racconti. Perchè lo fanno? Oggi, ad esempio, a differenza dei secoli passati, data l'alfabetizzazione e la cultura di massa, molti pensano di avere la Scrittura a portata di mano per il semplice fatto di conoscere l'alfabeto e quel minimo di sintassi che permette loro di creare frasi o periodi... Magari molti pensano soprattutto al successo. 


Il vero artista, al contrario, non si muove per questo e, se si accinge a creare, è perchè per lui, in primis, si tratta di un'esigenza ( come tu stesso hai ben spiegato nella prima parte di questo valido articolo). Ma lo scrittore, o l'artista in genere, secondo me, non è altro che un mediatore, e coloro che fruiscono della sua opera non devono sforzarsi più di tanto per poterla percepire, ma devono semplicemente goderne il frutto. La vera Arte insomma è per tutti, ma è pur vero che esistono diversi stadi. Il semplice fruitore, cioè colui che ammira, o il semplice lettore, può rimanere abbagliato senza saper discernere, ma è pur sempre abbagliato! Come dire che l'arte accende una scintilla... Compito diverso è quello del critico, del cultore di arte, il quale, sia per lavoro o anche lui per semplice necessità, deve andare ad indagare quali sono i campi in cui l'artista si è mosso e chiarificare di conseguenza la sua azione artistica, ed è importante l'azione del critico in quanto egli pone l'artista in un determinato contesto sociale, disinnescando così quella sua caratteristica di purezza primordiale, legata anche al Mito in fase sorgiva, che potrebbe renderlo (anche se l'animo del fruitore quando c'è, ne percepisce il valore) troppo lontano, senza comunicazione con l'esterno e col mondo di cui è frutto. Importante quindi , in tal senso, è l'occhio critico di chi se ne intende, ma non bisogna mai dimenticare, e penso che tu convenga con me, il fatto che l'arte sia uno straordinario mezzo di comunicazione che il vero artista ha a disposizione per mettersi in contatto col mondo e con gli altri.  

                                                      Roberto De Luca


2 commenti:

  1. Caro Roberto, il tuo intervento mi consente di chiarire una premessa indispensabile per la comprensione del mio pensiero. Te ne sono pertanto grato. Io ritengo che non si possa vivere con equilibrio nel mondo se si rinuncia ad essere se stessi, e dunque a conoscersi, per quel poco o tanto che si può. Se ci si lascia vivere dal mondo, non si vive realmente nel mondo. Occorre approfondire la cognizione della propria indipendenza morale dal mondo (non materiale, ovviamente), per poter vivere in unione con i propri simili. Bisogna, in altri termini, sapersi estraniare dal mondo per potervi partecipare con pienezza, padronanza, equilibrio, misura. Ascoltare le proprie voci interne non significa pertanto allontanarsi dalla società o dalla storia, come può forse sembrare, ma al contrario significa creare le uniche condizioni possibili per potersi concretamente calare nell'esistenza con amore. Ogni vero artista sa che le cose stanno in questi termini, essendo costituzionalmente dedito all'ascolto delle proprie voci interiori. I pericoli provengono dall'attività del critico razionalista, quando tenta di rubare l'artista a se stesso (alla propria Musa, come si diceva un tempo), offrendone un'interpretazione tutta schiacciata sul piano orizzontale. E non limitandosi a contestualizzarla nel quadro storico-sociale (come, entro certi limiti, sarebbe pur giusto fare), ma lasciando subdolamente intendere che l'opera è il frutto esclusivo del tempo, anziché dello spirito che vive nel tempo.
    Franco Campegiani

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  2. Mi esprimo - comprendetemi se sinteticamente - su questo interessantissimo scambio tra Roberto e Franco: sono in piena sintonia con entrambi. Del primo molto mi ha colpito l'idea dell'artista come mediatore: romantica? Si definisca come si vuole, ciò che importa è che se ne colga il senso, ci si lasci infiammare da quella scintilla. Con Franco concordo sul necessario discernimento tra il critico razionalista, che "tenta di rubare l'artista a se stesso" e il critico creativo (mi permetto di definirlo così) che non si perde nell'orizzontalità ma aspira a mantenere vivo lo "spirito che vive nel tempo" non riproponendo ma reinventando il mito.
    Spero che agli amici siano sufficienti queste poche ma sentite parole.

    Sandro Angelucci

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