martedì 15 aprile 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "IMPRONTE SULL'ACQUA", DI M. MASTRILLI


Marco Mastrilli: IMPRONTE SULL’ACQUA
Meditando la poesia 
Kairós Edizioni. Napoli. 2014. Pagg. 58. €. 10,00

Il fondo del mare resta immobile
a guardare le onde
così grandi,
così poderose,
così micidiali.

Mentre una ciotola, ripiena di ceneri,
scivola sulla corrente
e la vita si mischia col vento (Rinascita).

Iniziare a scrivere della poesia di Mastrilli con questi versi significa coglierne subito l’essenza, il focus, l’anima. Significa cogliere il suo palpitare attraverso emozioni e riflessioni sul correre della vita, sul suo sperdersi in una folata di vento e il suo rinascere. Sì, c’è la  vita, e c’è tutta in questi canti. Con i suoi perché, le sue inquietudini, le sue melanconiche sottrazioni; e c’è l’uomo con la coscienza, la piena coscienza di essere terreno con occhi che ambiscono ad azzardare sguardi oltre le siepi; intento ad una meditazione autoptica e profonda per scoprire gli angoli più nascosti del diacronico divenire, dei suoi  misteriosi e sempre nuovi messaggi. 
       Un’opera, quindi, di perspicace analisi interiore, in cui l’autore vive una storia sorprendente e plurale, zeppa di arcobaleni e di colori, ma anche di note amare; e si legge qui la plurivocità dell’essere e dell’esistere: amore, passione, illusioni, delusioni, malinconia, sperdimenti panici, curiosità, macerazione interiore: insomma una frequentazione dell’interiorità in cui l’ieri, l'oggi e il domani si embricano più con dolcezza che con asprore per dare forma al logos della poesia.
       Alfredo Papini definì i Poeti “simili al faro del mare”. Quale similitudine più calzante per delineare l’inquietudine congenita al fatto di essere umani. Quel faro solitario e sperduto fra i flutti tormentati ed errabondi,  che cerca di squarciare le tenebre per aprirsi un varco fra gli scogli scuri dell’esistere, fra la violenza di libecci rumorosi; che cerca di proiettarsi oltre gli stretti circuiti in cui è costretta la nostra vicenda, considerando gli orizzonti ampi e infinitamente estesi da cui è lambita. Afferma Pascal che la vita è “un milieu entre rien e tout”, per dare l’idea della insoluzione del nostro cammino e della sua irrequietezza esistenziale:  una precarietà che tanto si avvicina a quell’iperbole allusiva del titolo “Impronte sull’acqua”. Una storia di dicotomico sapore, di umana inconsistenza, dato che essere umani significa vivere a terra con l’animo rivolto ad un oltre inarrivabile, di cui possiamo solo intravederne la coda:



Lo sguardo galleggia
il cuore galleggia.
L’amore galleggia in quella grazia
liberata dal tempo
racchiusa in un battito d’ala
dove fui, forse, anch’io
farfalla.
E ora sono qui
a far volare gli occhi (La casa delle farfalle).


E le occasioni ispirative di questa plaquette sono molteplici e di plurima significanza: il senso della fugacità del vivere, della labilità delle memorie, del loro riposante riaffiorare da nirvana edenico, lo sperdimento anima e corpo in rêveries, e il desiderio di lasciare indelebili impronte, efficaci memorie, magari con ciò che Mastrilli più ama: la poesia. Ed è ad essa che affida la sua anima, perché in essa crede; e spera, proprio, di vincere con il canto la fragilità del nostro essere umani, il potere sottrattivo dell’oblio. E il tutto in un andare versificatorio sinuoso, in un succedersi di significanti metrici articolati dove le accentuazioni aggettivali, o le intensificazioni verbali fanno di tutto per accostarsi agli abbrivi emotivo-meditativi. Dove la distribuzione metrica per aumentazione o per diminuzione crea varianti fonoprosodiche di certa resa creativa senza eccessivo armamentario retorico:

Se lasciassi l’anima impigliata tra le corde come potrei farla diventare musica?
Come potrei sentire, sentire veramente?
E sorridere mentre piango?... (Malleabile).


Interrogativi che presuppongono una ricerca scrupolosa e insaziabile dell’altro ego. Una ricerca verso cui il poeta indirizza tutto se stesso per scoprirsi. E lo fa martoriandosi sui quesiti del fatto di esser-ci. Indirizzando la sua sensibilità sui giochi dell’amore, o su un’indagine di efficace introspezione psicologica:

Se vuoi ritrovarti
toglimi dal cuore, toglimi dal polso,
e diventa come me
almeno per un attimo tra gli attimi.

Smetti di inseguirmi e inizia a essere, qui (Dove sei).  

D’altronde il poeta sa e ne è cosciente che la vita è fatta di parole non dette o di sguardi e gesti ammiccanti. E che la gioia, al fin fine, è come un velo sottile che ci scivola addosso:

E con anima avvolta
intrecciata
 da aria e sudore
passai emozioni
in un fremito di pura inutile gioia (Passioni e fiori).

 Il verso è libero, ampio, disteso, anche ipermetrico a simboleggiare la foga di un aveu che non vuole controlli prosodici. Tanta è la voglia di dire del poeta e così spontanea la sua confessione esistenziale, che a volte le strutture si avvicinano ad un fluire prosastico. Ma ci sono anche misure brevi, concise, di bisillabi, trisillabi, in questa varietà di armonici assemblaggi. Sì, armonici; perché l’armonia è nella parola, nel verbo, cercato con cura, rafforzato in nèssi di valenza allusiva. E lo si scopre nei momenti di maggiore tensione orfica. Dove il Nostro si abbandona ad una Natura che cospira con tutta la sua potenza a delineare gli stati d’animo di Mastrilli. Una Natura umanizzata, che si rende artefice, coi suoi guizzi cromatici, di vertigini paniche di effetto visivo. Quasi un climax dannunziano in un crescendo emotivo in cui l’autore compie una vera metamorfosi del suo essere in sembianze naturali:

Tra le le mie parole divento tutto questo
e il mio cuore si trasforma in ape, albero, balena, foglia, luce.
Mentre l’anima, già pronta, resta lì
a saltare a corda in mezzo a un campo di girasoli (L’anima tra i girasoli).    


       Mi piace, a proposito, rievocare un poeta a me tanto caro: Hölderlin (1790-1843); egli chiede (nella lirica Iperione o L’eremita della Grecia) al canto “rifugio amichevole” affinché la sua “anima, raminga e senza radici/ non smanii di oltrepassare la vita” e divenga “luogo di felicità, giardino curato con premuroso amore,/ ove aggirandomi fra i fiori in perenne fioritura,/ in sicura semplicità io abbia dimora,/ mentre di fuori con tutto il suo ondeggiare/ il tempo possente, il tempo mutevole rumoreggia lontano”.
Qui è l’anima di Mastrilli. In questa alcòva di naturale fervore, dove potersi riposare lontana dalle aporie del mondo e meditare per prendere il volo:

Sto lottando per diventare quello che sono
ma quanta prigione attorno alla mia anima
quanta corda attorno alle mie ali… (La mèta),


 cosciente, però, della fragilità delle sue ali da mortale, vincolate alla vita. Perché il poeta, in fin dei conti, la ama intensamente questa unica meravigliosa esperienza che ci è toccata, consapevole della sua sacralità. E la  vive col sorriso sulle labbra, pronto a viaggiare, a rompere quello spazio ristretto che ci vincola, con la voglia di spandere sorrisi in questo tanto sofferto mondo:

Se fossi l’anima
sarei sempre pronta a  viaggiare da una vita  all’altra
lasciando sorrisi in quelli che restano
e sorrisi in quelli che vanno… (L’anima tra i girasoli). 

                                   Nazario Pardini

  



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