mercoledì 9 aprile 2014

PATRIZIA STEFANELLI: "POESIE"





Patrizia Stefanelli muove la sua poetica nel solco di una tradizione letteraria alta e collaudata. Le poesie che qui presenta nascono nel rigoglioso angolo di un giardino che potremmo dire vagamente concimato dal pianto leopardiano. Sono metafore vibranti di una negazione, di una promessa non mantenuta, di una pienezza cancellata. La verità è irraggiungibile ed il mondo frana ("cadono pietre dal cielo"). Un passero piange ricordando "i lunghi voli", oramai impossibili. E non è ammesso scrivere: il foglio viene trovato per sbaglio in un angolo nascosto del tavolo, ma l'inchiostro è prosciugato; tanto che la poetessa è costretta a scrivere l'ultimo verso sul vetro, dopo avervi alitato. I momenti d'amore son rari e fuggono velocemente, senza poterne acquisire consapevolezza: "Desiderio di te, di me... e non c'ero. / Ero da te, nella tua bocca, eppure / non lo sapevo". La vita appare estremamente precaria, con quel senso del limite e della consunzione, con quel fascino della ruggine e del terriccio informe, con quegli oggetti che, dopo lunga consuetudine con le culture umane, vengono ingoiati dal tempo, ma che la memoria, o lo stesso mare del tempo, restituiscono integri. Come "quei piattini della nonna profilati d'oro zecchino, / con le donne e i cavalieri a sognare / il '700 inglese". E che dire di quell'immagine struggente, riguardante la terra, "che promette fioriture di bellezza / oltraggiosa"? E che di quei simboli perdenti, come l'"ultimo tordo", o il "ramo sbilenco del pioppo", mentre il granaio non più "muove le sue pale al vento"?

                                         Franco Campegiani  



Non volo

Pensiero, dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?

Quel che sarei lo scopro piano ...là dove guardo con gli occhi di mio fratello.

Cadono pietre dal cielo
e il passero che piange
mi dona il memoriale dei lunghi voli
da ramo in ramo.

È un foglio trovato quello su cui scrivo
nell'angolo perso di questo tavolo
e la penna quasi si priva dell'inchiostro
scoppiato, dove ognuno sa.

Sarei ad un passo dalle nuvole
se questa cappa di cielo
provasse a squarciarmi
e sarei al limite di quel mare
se solo giungesse ad ogni balcone.

Sarei quell'albero privo di braccia
così attento alle maree e a lune rosse
con i suoi nodi ben piantati nel corpo
le sue radici a ridosso di quel muro.

E sono, alito a vetro, su cui scrivo adesso
ché il foglio termina la sua pazienza.

Un verso ancora, per finire...

Ahi! Il dolore, mi asciuga gli occhi
trafitti dai pungoli di queste sbarre
e non vedo i miei pensieri...
                                     Non vedo, non volo.

(Menzione d’Onore al Premio Mimriam Sermoneta)



Parole d’amore

Era una gamma di frequenza, voce
sinuosa e calda.

Parole senza sosta che dicevi
sulle mie labbra, attonito, così...
mentre la stanza sembrava cantare
in sintonia, note sublimi; noi.

Le nostre mani nascoste allo sguardo.
Ah! Intrecciate e morbide, restate
all’imbocco di quell’istante solo.
Desiderio di te, di me...e non c’ero.

Ero da te, nella tua bocca, eppure
non lo sapevo.

(Menzione Speciale di Merito sezione POESIA IN LINGUA, al Premio Letterario Grottammare).





1967

… ricordi amico, quelle scatole di latta di
tanti anni fa
alle quali la ruggine conferisce fascino?
E quei piattini della nonna profilati d’oro zecchino,
con le dame e i cavalieri a sognare
il ‘700 inglese?
E gli abiti in voile delle prime sere d’estate che…
Passeggiavano provvidi, i viali del Boulevard?
Ah, meraviglia! Una canzone d’amore cantava:

Se potessi, amore mio,
ti darei tutto quel che vedo
ma posso darti solo quel che ho io…”

In quell’atmosfera un po’ retrò
con le colline pazzamente affacciate aquell’ora
a Montmartre, la casa di Dalidà
chiudeva per sempre le finestre al sole.

(Premio “I migliori anni”, Finalista nei 26 su 300 concorrenti; 
dal libro: Guardami, Rupe Mutevole, 2014).




Uno sguardo sulla Marne

E’  fredda stamane l’aria sulle rive
della Marne.

 Tutto, intorno, soffoca il pianto
di una terra
che promette fioriture di bellezza
oltraggiosa
allo sguardo dell’ultimo tordo
sul ramo sbilenco del pioppo
che prima
molto prima di quel tremare
di foglie argentine
aveva posato la sua leggerezza.
Accostata
la mia bocca al suo orecchio
a non dire, a non scuotere tempo,
appena il capo ha chinato all’indietro
come giovane fanciulla vezzosa.
Non più, né mai il granaio
muove le sue pale al vento
che pure, adesso, spinge da nord
e schiaffeggia.

Soffocare, è strano, in quest’aria,
fredda, di mattina, che dal ramo del pioppo

                                            pende.


(Premio “Tracce per la meta”, Recanati poesia; dal libro: 
Guardami, Rupe Mutevole, 2014).

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