giovedì 3 aprile 2014

SANDRO ANGELUCCI: "LA POESIA E LA FUNZIONE DEL CRITICO"

LA POESIA E LA FUNZIONE DEL CRITICO







      Intendo partire da una considerazione, sulla quale - credo - non si possa non convenire: la poesia non ha alcuna utilità pratica (nel senso consuetudinario dato al termine). Non serve, non ha riscontri e, dunque, non condiziona la realtà.
      Ma mi domando - e vi domando - siamo davvero certi che il vero sia soltanto ciò che ricade sotto i nostri occhi, sotto la nostra esperienza reale? E siamo parimenti sicuri che ciò che resta, che vive nell’ombra sia fatalmente illusorio?
      Onestamente, io non mi sento di sottoscriverlo né di battermi per una simile Weltanshauung. Sono, al contrario, convinto che ciò che si manifesta non è che la punta di un iceberg che galleggia nell’infinito mare del mistero; ed è fondamentale avvistarlo, per due importantissime ragioni: evitare l’impatto e non colare a picco credendolo facilmente superabile o passargli così vicino, spingendo lo sguardo sotto la superficie dell’acqua, da vedere fin dove è possibile e, poi, immaginare un’intera montagna di ghiaccio.
      Chiedo venia per il forse eccessivo preambolo (l’ho ritenuto, però, indispensabile) e vengo all’oggetto del tema in questione.
      Se si accetta (ovviamente ognuno è libero di farlo o no), se si accoglie - dicevo - questo punto di vista, la funzione del critico non potrà non risentire dello stato delle cose. Voglio dire che anche in colui che si occupa d’investigare sulla poesia non deve mai venir meno la consapevolezza che si sta misurando, come fa il poeta, con il mistero che, in quanto tale, non potrà mai essere rivelato.
      Mi si dirà: ma, allora, a cosa serve trovare nell’esegesi dei nessi, delle connessioni linguistiche e non che riconducono, in qualche modo, alla scintilla generante l’atto creativo? Se rispondessi che è inutile, sarei in grande contraddizione con me stesso e quanto finora ho sostenuto; il critico, invece, ha un’enorme responsabilità: quella di non tradirsi e di non tradire l’autore.
      Come si fa? Non penso sia poi così difficile - e torno alla premessa - purché si tenga sempre presente che non si sta spiegando (tanto meno indottrinando) nulla a nessuno. Il vero critico deve fornire la propria lettura, che non è la Lettura ma l’interpretazione (non per questo minuscola) del testo poetico.
      Non vedo in quale altro modo possa essere rispettata la libertà del poeta e - attenzione - perché senza quella licenza non si entra nel mondo di chicchessia. Ci si illude di farlo pensando che l’oggettività renda giustizia con l’imparzialità.
      Abbiate pazienza: ma come si può parlare oggettivamente e, dunque, razionalmente di qualcosa di cui neppure il demiurgo è a conoscenza? Si può - si deve - questo si, cercare di afferrare la coda della cometa, accorgersi della punta dell’iceberg, capovolgendo però l’idea che, a volte, la realtà supera la fantasia o, meglio, confermandone l’assunto dando per certo anche il suo contrario.
      Insomma - e concludo - del critico che crea, che dà vita ad un’altra opera, che non mortifica il mito ma lo alimenta, lo rinnova; di questo ha bisogno la poesia. In fondo, di nient’altro che, ancora, un nuovo poeta.


                                 Sandro Angelucci

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