domenica 8 febbraio 2015

M. GRAZIA FERRARIS SU "I CANTI DELL'ASSENZA" DI N. PARDINI

Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

Pardini- I canti dell’assenza


Nazario Pardini: I CANTI DELL'ASSENZA
The Writer. Milano. 2015. Pp. 240
Una raccolta poetica dal titolo emblematico. I canti  dell’assenza. Memoria. Malinconia. Poesia.
La parola poetica: difficile e impegnativa.
Ha alle spalle studio, letture, conoscenze, emozioni, approfondimenti storico-linguistici ed estetici.   Matura ascolti, intuizioni, sentimenti, silenzi, attese…Deve nondimeno tradurre grandi coinvolgimenti  personali e originali in parole, condivisioni, coltivando un equilibrio difficile, in alcuni passaggi vertiginoso, che, abbandonando la routine quotidiana, vista con occhi nuovi, esprime uno sguardo conoscitivo alternativo, che rasenta il sublime, svelandone la sua natura “paradossale”.
La poesia, anche la più colta, anche quando raggiunge livelli di intuizione ed astrazione sublimi,ha bisogno nondimeno dell’esperienza sensibile, ha bisogno delle situazioni, della quotidianità e dell’eccezionalità soggettiva ed irripetibile della vita per capire che il limite in cui è scaturita deve superare l’immediatezza della banale routine,  la ripetitività consueta, e quello della razionalità assecondando slanci e misteri, per  giungere alla conoscenza.
 Anche per comprendere l’immediatezza occorre sempre essere disposti a un viaggio personale, interiore, ed intellettuale, attraversarla,  cercarne il senso, nel silenzio e poi ricrearla con le parole, quelle della poesia, per  mettersi in contatto con una zona del nostro essere che si apre –alto- allo sconosciuto e all’ineffabile, verso un oltre, (il canto dell’assenza?), dove si aprono spazi di una diversa, forse privilegiata illuminazione, conoscenza alternativa.
Questo è il viaggio di N. Pardini.
Anche quando insiste con la successione comunicativa di situazioni memoriali dell’infanzia, della sua storia, del suo vissuto in generale, ( La mia casa, Sere di casa mia, Mia madre si stupiva…) egli riesce quasi sempre a lasciare spazio al lettore che nelle sue emozioni ritrova empaticamente se stesso e riesce a  creare associazioni nuove; non si  chiude nella sfera di un privato auto centrato egotico che non si arricchisce  del valore della storia:  il suo  privato acquista un senso che passa oltre l’emozione, arriva al mondo imperituro degli affetti e della nostalgia, al sentimento, al simbolo…
 <Giungevo infreddolito, ma la porta/ chiudeva fuori sguardi sulle zolle/ verdeggianti di aprili anche a dicembre….
Depredavamo i pioppi di forcelle  /per fionde che affondavano radici/ nel terriccio dell’anima….
 Mi provo, quando nessuno vede, ad impugnare/un cimelio di fionda….
E pensare, ricordi?, che riuscivo/a silurare il cielo colle pietre/convinto di bucare anche le nubi.> (Lo stradone di scuola )      
Nessun abbandono sentimentalistico o dolciastro; il dubbio torna ad essere compagno di lavoro: la realtà, attraverso il sistema sensoriale ci giunge come messaggio motivato inquietante, ai non rassicuranti circuiti cerebrali.
<…alto volò toccando cime immense,/ azzardi che gli umani/cercano con l’anima e la mente;
ma ci si può bruciare/ se il volo è troppo arduo,/si annullano in abissi senza fine/le nostre identità;
sperderci oltre la siepe,/o in cieli fra le stelle/è un naufragio per la nostra essenza.>
(Il volo di Icaro)
Questa odierna e coltivata funzione della poesia che si innesta in  un tessuto più narratologico è nelle corde del poeta e  può essere assunta dalla necessità della ricerca di un equilibrio classico fra figurazioni significanti e abbrivi emotivi.
Si ripetono i contenuti, apparentemente uguali: realismo lirico, meditazione, memoriale, panismo simbolico, input emotivo-esistenziali …(Vi ricordate quel che diceva C. Pavese? «Ogni autentico scrittore (leggi poeta) è splendidamente monotono, in quanto nelle sue pagine vige uno stampo ricorrente, una legge formale di fantasia che trasforma il più diverso materiale in figure e situazioni che sono pressappoco le stesse».). È il caso del poeta Pardini.
Ed i luoghi, le stagioni, sono pure, nella loro mai definitiva ricordanza, ricorrenti ( Il fiume, Ottobre, Novembre, Oh terra di novembre! )
<Poi giunto è ottobre a mietere le foglie/ di una stagione che ha reciso il sole.
La vigna saccheggiata lascia i resti/ dell’ultimo raccolto…>
Il tema struggente è quello dell’addio –l’assenza- che circola nella storia umana come nella storia biologica e naturale: anche se in natura  non è addio  perpetuo, giacchè l’autunno che avanza trabocca di ricordi (che purtroppo facilmente si dileguano) ma che pure sono indizio, segno di ricchezza.…, le colline pisane, il fiume:<Acqua, che riflettesti i miei canneti/ con le quaglie sui cimoli, e le torri/ di grigie chiese e i tremuli felceti/ delle sponde, lo sai tu dove corri?
Ti perderai tra poco nel clangore/ dell’irruente mare,…>
E la grande pianura battuta dal vento salmastro del suo amato mare …
<sui sentieri di campo solitari/ di papaveri tinti e di ginestre….
fra le reste/ scricchiolanti di calura estiva/ alla deriva/ in possesso dei suoni e degli afrori
della mia madre antica.>(Volerei felice)
Sono i luoghi dove l’anima si dilata in una sensibile auscultazione della natura e dove prevale la familiarità quotidiana straniata da immagini lontane, evocate, scaturite  dalla memoria, in un percorso che fonde conoscenza e sentimento, cuore e cervello. Commozione contenuta, virile, emozionante.
<Novembre/ ascolto i silenzi dell’anima/ sugli umidi campi di saggine,/ sulle brine che si levano ora all’aurora di un sole impoverito…>
È la storia di un uomo autentico che porta con sé le inquietudini, e le malinconie, le luci e le ombre- intense-  del poeta che guarda, nondimeno, il passato con occhi limpidi, e che diventa illuminazione della vita, isolando e cesellando i ricordi in una potente  globale “sineddoche-metonimia “ che caratterizza tutto il ciclo poetico, dandone la chiave della lettura:
 Oh terra di novembre! Il tuo riposo/ sia vigile ai miei cari. Ti respiro/ ora che vanno i roghi di fascine/a perdersi lontano. E ti rivivo/ novembre di dolore e di riposo.
Mi aiutano gli stecchi volti al cielo,/ i campi abbandonati ai sagginali,/le gazze sopra magre prode spente,/ e i canti delle tortore mi aiutano,/ che lugubri rintoccano nell’aria,/ a vivere la morte,
con voi, miei cari,/ di questo mio novembre.
La grande consapevolezza dei mezzi espressivi sempre riconfermata rende la lettura delle poesie apparentemente facile, fluida: è la facilità che nasce dalla semplicità, che come sappiamo per esperienza è la più faticosa delle conquiste espressive…
E dietro la musica… iperboli fulminanti, ardue, letterariamente raffinate, endecasillabi perfetti, musicali, o spezzati a centro verso, la cesura del dolore e dell’emozione,-l’assenza-  inseguiti ed  inanellati da ripetuti enjambements …,  controllati magistralmente  da una padronanza espressiva e d’uso che fa da  argine solido a ogni debordo: la spia di un lavoro di ricerca che si mantiene fedele per tutta una vita poetica.

Maria Grazia Ferraris





2 commenti:

  1. Grazie, Maria Grazia, di questa superba interpretazione del mio canto zeppo di assenze che tu hai saputo rielaborare con magistrale intuizione; con infinita padronanza ermeneutica; facendo delle parole stille d'anima da rovesciare su candidi fogli. Grazie della commozione, donatami dal tuo immenso palpito poetico.
    Nazario

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  2. Stupendo commento all'opera di un poeta stupendo!

    Roberto Mestrone

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