sabato 13 febbraio 2016

M. GRAZIA FERRARIS COMMENTO A "LA MADRE" DI A. MARIA PACILLI



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

Ho letto d’un fiato questo saggio di  Anna Maria Pacilli che appare su Leucade, sul tema eterno della <MADRE>, un tema che ci porta a rientrare in noi stessi, a riflettere, a confrontarci oltre che col nostro vissuto, con la nostra cultura, con la figura materna:  Mater dulcissima e mater dolorosa, comunque. E commuovente- (il tema del silenzio in particolare) mi è parso l’esordio autobiografico.
L’autrice, forte della sua preparazione scientifica, sottolinea come motivi biologici naturali legati alla procreazione e all’accudimento primario, motivi culturali storici di tutta la società occidentale, hanno fatto dell’immagine materna un contenuto mitico dal quale è impossibile prescindere, qualunque discorso, anche privato, si imposti intorno al tema <madre>.
 L’immagine della madre è infatti costante nell’immaginario sia popolare che letterario colto, e le favole per i bambini ne sono un esempio.(La madre morta,la madre matrigna, la fata, il dolore dell’orfana,cenerentola…).
 Un contributo importante alla radicazione del mito è stato dato, viene fatto rilevare, dalla religione cristiana cattolica che vede nella figura di Maria la madre di Cristo e la madre dell’umanità. Il tema della maternità divina è diventato storicamente il termine espressivo di tutte le arti, dalla pittura alla scultura, dal teatro al cinema, dal romanzo alla poesia, a cominciare dalla celebrazione della maternità di  Dante nel 33° canto del Paradiso e del Petrarca nella Canzone alla Vergine, a conclusione del Canzoniere, per giungere all’autorevole canto del Manzoni negli Inni Sacri.
Ogni secolo ha poi connotato culturalmente immagine ed emozioni, talvolta pregnanti, spesso sentimentali e convenzionali, dolciastre e retoriche, anche quando non ce lo aspetteremmo ( penso al Carducci di Iuvenilia , o a D’Annunzio del Poema paradisiaco) o frutto di una mitologia consolatoria (Pascoli), ma espressioni comunque di un bisogno primario di amore e di dipendenza affettiva mai del tutto riscattata.
Il Novecento, con il contributo determinante della psicoanalisi freudiana, ha messo in discussione il mito, lo ha chiarito con strumenti concettuali nuovi, scoprendone, nell’indagare il complesso di Edipo, il carico di ambivalenza sotteso, i meccanismi di rimozione e difesa  oltre alla tensione alla sublimazione.
Tutta la poesia del Novecento non può fare a meno di questo nuovo strumento concettuale.
Ogni autore poi, esprimendo il proprio mondo affettivo e spirituale, filtrato dalla cultura e dalla ideologia cui aderisce, utilizza modi diversi di canto  e nuclei concettuali talvolta molto distanti tra loro, altri stranamente simili, pur nella diversità delle impostazioni.
Tra i  ricorrenti modi di approccio al tema  è presente l’ispirazione religiosa, cattolica, di cui sono espressione G. Ungaretti e M. Luzi, i cui contenuti si rifanno alla tradizione religiosa, ma che appaiono originali nei moduli espressivi, assolutamente moderni, nel linguaggio e nella sensibilità talvolta oscura. Alla visione laica della madre e al tema del ricordo si rifanno E. Montale, S. Quasimodo e F. Fortini.  In tutti e tre gli autori è presente la volontà di dialogo, il tema del ricordo ed il tema del dolore. In Montale il tema è svolto nella ricerca dei caratteri specifici, individuali ed inconfondibili della madre, nella consapevolezza che non potrà ritornare a lui e nella sofferenza di non aver alcuna certezza di un ricongiungimento futuro;  per Quasimodo il tema si cala nel ricordo dell’infanzia lontana, sospesa come l’eden, alla  quale non è più possibile far ritorno, anche se è di certo la terra della nostra identità;  per Fortini il tema congiunge la memoria individuale con quella collettiva, il dolore personale con quello dell’umanità, ribadendo la tragedia, il dramma universale di tutti, della vita e della morte, entrambe inspiegabili.
La riflessione sul tema della madre oggetto totale d’amore infantile, ma anche di difficile e sereno rapporto adulto, desiderio di identità e congiungimento, ma anche di lacerante  separazione e distanza, caratterizza la poesia di U. Saba e di Caproni, che per certi aspetti espressivi, anche nelle comuni e consapevoli scelte letterarie antiauliche, operano uno straordinario ed affascinante avvicinamento di posizioni.
La consapevolezza che l’analisi psicoanalitica offre una chiave interpretativa più ricca di quella emotiva-affettiva  e sentimentale, una verità più profonda, diventa la certezza di autori che la esprimono compiutamente, anche con l’aiuto dello strumento linguistico raffinato,  scavato e sofferto-   offerto  al lettore consapevole come seconda chiave interpretativa,
come Bevilacqua  e Pasolini: l’uno in una dimensione in una ricerca di una identità che sia di fusione, un “duetto per voce sola”, l’altro  in una ricerca drammatica e impossibile di pacificazione, disperata con la madre giocastiana.
L’autrice sottolinea a ragion veduta il contributo e  l’interpretazione degli psicologi: Freud, Jung, Fromm, Klein,….ma anche gli inevitabili  giochi di ruolo- (come per Savinio :la madre chioccia o per N. Berberova-  e F. Matacotta: la difficile conquista della libertà):  l’adolescente- maschio e femmina in cerca di se stessi
La psicoanalisi mette in rilievo il fenomeno del <maternalismo traumatico>,con figure di madri superprotettrici che manterranno in uno stato di dipendenza il figlio, votandolo alla dipendenza perpetua, alla depressione o alla trasgressione.
 “Malamente maternale”- può essere  il difficile rapporto con la madre- la ricerca dei fili di un legame interrotto- di figlio/figlia- rapporto eterno- che si ripete ad ogni generazione. – ricordi minimi che ingigantiscono, radici, inestirpabili,  nonostante tutto…
 Il legame che ci unisce con i genitori  è spesso ambivalente, ossia un sentimento alternativo o anche contemporaneo di odio e di amore
Il mondo dell’arte segnala esempi celebri: la madre superprotettrice di Dalì,quella severissima e rigidissima di Holderlin, quella tirannica di Artur Rimbaud….
Anche Il pittore Savinio ripropone i temi della propria infanzia sia nei suoi quadri che negli scritti, come nei racconti di Casa La vita dove l’incontro con la madre morta avviene in una atmosfera surreale, sotto le apparenze di una gallina querula. L’incontro lo farà ritornare “pulcino”, liberandolo dalle angosce del vivere. La fusione tra la persona umana e l’animale, che è propria dei quadri di Savinio, indica l’atmosfera di regressione che caratterizza il legame simbiotico con la madre.
Chiudo riproponendo una poesia poco nota di A. Bevilacqua, apparsa sul Corriere della sera, (18-1-2000),  che possa servirci  per riflettere in pace.
A mia madre.

Mia memoria reciproca, mio
speculare sogno,
ci siamo sbagliati a disperare di noi:
siamo perfetti
nel duetto per voce sola,
mia Itaca perenne
di tutte le mie vite
che aspirano a un solo ritorno (A. B.)

Ringrazio la dott. Pacilli per questo suo ampio contributo e mi complimento con lei.
M. Grazia Ferraris



3 commenti:

  1. Onoro su questa vetrina l'illuminato intervento di Maria Grazia su “La Madre” di Anna Maria Pacilli.
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    In un presente funestato dalle angosce del Male che a volte non troviamo la forza di allontanare dal nostro cammino, ci capita spesso di sfiorare l'ineffabile ricordo di "un passato da cui è difficile staccarsi".
    Sullo scoglio di Leucade Anna Maria Pacilli ha acceso i riflettori illuminando a 360° "colei che dà coraggio e conforto nei momenti di pianto e dolore".
    Ogni donna diventa madre conoscendo le doglie del parto e quel travaglio è portatore di un frammento di umanità.
    Mentre a nessun Essere umano è consentito di prefigurarsi i due istanti posti agli antipodi della propria esistenza, l'attimo della nascita e quello della morte, alla madre è concesso il privilegio di assicurarci, coscientemente con il concepimento, il dono della vita.
    Ci ossessiona il pensiero dell'ultimo istante poiché siamo consapevoli che non avremo il conforto – gementi sul letto di morte – di chi ha raccolto le nostre lacrime quando siamo usciti dal ventre.

    L'alba e il tramonto della nostra vita
    sono emozioni da singhiozzi accese:
    l'una son caldi pianti e dolci attese,
    l'altro somiglia a un'eco affievolita.

    La figura materna reca con sé l’insostituibile sostegno ai nostri primi passi ed è il lume che ci guiderà nell’ultimo sguardo al Cielo: presenza terrena al primo vagito, guida celeste nel ritorno al Padre.
    Maria Grazia, Maria, Sandro e Franco hanno adunato gli intelletti proponendoci il loro sentir sempre vivo e gratificante quel “rapporto che esclude qualsiasi altra presenza”.
    Io ho perduto la madre circa quattro anni fa, e da allora sento mutilato l'angolo più intimo e genuino del mio cuore.
    Ma chi mi ha portato alla luce resta per sempre dentro di me.
    E ritrovo i gesti usuali di Lei in ogni piccolo dono che la natura mi offre: il lampo del sorriso all'alba, al sorgere dei primi raggi, il sollievo della buonanotte all'infittirsi del buio, il conforto della voce nel mormorio di un ruscello.
    E negli errori della verde età – quando le inquietudini della giovinezza mi tendevano tranelli – ho sempre ricevuto carezze di clemenza dalle mani di mia madre.
    “Il cuore di una madre è un abisso in fondo al quale si trova sempre un perdono.” (Honoré de Balzac)
    Roberto Mestrone

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  2. Ringrazio vivamente R. Mestrone per aver postato il suo illuminante intervento in calce al mio contributo all'intervento della dott. Pacilli: mi stimola a partecipare, mi gratifica e mi onora.

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