sabato 20 febbraio 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "BIRKENAU" DI G. CECCAROSSI


 
 
Giannicola Ceccarossi: BIRKENAU. Ibiskos Ulivieri. Empoli. 2016. Pg. 56. Euro 12,00

  

Non ci sono uccelli

Non stridi

Non canti

Lontani dalla morte

 

Vi è qui tutta la desolazione che esprime un deserto di morte e di solitudine. Vi è l’energia di un lessico che cerca con tutta la sua forza di aggrapparsi ai subbugli di un’anima. E vi è una natura secca, senza suoni, senza voli, senza presenze: tutto sta lontano da una terra memore di eccidi. Questa plaquette di Ceccarossi segna un passo in progress. Una stesura diversa da quelle a cui ci ha abituati.     
Sì, linguaggio nuovo, più stretto, affollato, conciso, verticale; le parole si susseguono con grande spessore etimo-visivo; gli elementi naturali con la loro asciuttezza contribuiscono a dare forza iconica al linguismo. Un gioco sottile e drammatico di verbi che si rovesciano sul foglio gorgogliando come fiotti di acqua da una fiasca rovesciata. Tanti sono gli etimi che vogliono uscire; tante le passioni che si vogliono concedere ad un a visività fatta di corpi straziati, di mondi solitari, di forze maligne, di dolori indicibili, di memorie infangate dalla malvagità umana. Campi di concentramento nazisti; Dacia, Bergen-Belsen, Auschwitz; e Birkenau che dà il titolo all’opera. Il poeta nella sua esplosione epigrammatica si fa lago che riflette immagini segmentate, frastagliate per l’ondulare delle  acque; nuove, allungate, ingrossate, svisate da una forzatura di naturale empito. Questa plaquette ci dà la netta visione della potenza creativo-verbale su cui l’Autore gioca. Una parola attenta, costruita con inventiva, con energica intuizione, con iuncturae metaforico-allusive, associative; con abbrivi che toccano punte di alta drammaticità:

E’ grano maturo il cielo

Cielo perduto

Quanti?

Quanti?

Qui l’inferno

Si estingue un debito

Un tributo

E’ inutile prolungare versi in espansioni narratologiche. Il lettore deve restare colpito da un dettato breve e conciso; da saette che arrivino con forza devastante al cuore, alla mente e all’anima:

 
Campi, campi   

Senza fiori senza fiori

Ciminiere

Betulle betulle

 E rotaie

Consumate

E’ fumo il tempo

Madri figli padri

 
Tutto è indirizzato allo scopo; ogni singolo termine è tanto robusto da essere di per sé sufficiente al verso: reiterazioni verbali e sonore per captare l’attenzione; per convogliare la lettura verso l’essenziale: tutto è brullo, non ci sono fiori, solo betulle che con le loro enormi chiome toccano il cielo (forse per chiedere perdono); natura e umanità si embricano fra loro in una sintesi dai colori grigio-scuri;  rotaie consumate quanto l’animo umano; il tempo è fumo che vola ma che non potrà mai cancellare la memoria di tale brutalità; un fumo agro, forse, dall’odore di carne umana; un fumo di carni cremate che si alza verso le  nubi; verso una redenzione e una spiritualità che condanna e rifiuta la terra.
Infinite le occasioni di accorpamento fra dire e sentire: un elenco terminologico senza riposo dove risulta persino inutile la punteggiatura nella foga di dar corpo ad un dettato di forte entità ontologica. E qui studiare il verbo, destrutturalo, scomporlo, frazionarlo per ricomporlo in tutta la sua forza evocatrice significa andare a fondo al significato e al significante di questa sinestesia poetico-filologica; di questa operazione poematica che si conclude con un grido violento in un silenzio di luci spente:
 

Un grido

Violento

Prolungato

Poi

la luce

spenta

Per sempre

Per sempre

Nazario Pardini        

2 commenti:

  1. È un Ceccarossi insolito, questo di Birkenau. Abituato a un poeta che declina la vita negli aspetti più suadenti dell’amore, sono rimasto inchiodato di fronte a un titolo che evoca ben altra realtà.
    Tuttavia parla chiaro il colophon, che reca come data di stampa il 27 gennaio; e anche il sottotitolo, “memoria”. Ma, prima ancora, nella mente del lettore si accampa, gravido di suggestioni dolenti, il titolo. Di Birkenau, luogo di efferata violenza e di bieco annullamento di ogni umanità, non v’è chi non sappia. Della necessità di ricordare, anche. E Giannicola ha buona memoria.
    Eppure, alla lettura, il cuore, che pur si teneva difeso, subito si è fatto pesante; poi è entrato in sofferenza. A mano a mano che una sintassi secca, scandita, incisiva e un lessico quasi esclusivamente nominalistico (solo nell'incipit dell’ottava poesia si incontrano, in frequenza eccezionalmente alta, ben cinque verbi in cinque versi) mi ponevano di fronte uomini, cose, situazioni, paesaggi nella loro terribilità, una forma di opprimente malessere -non so se a piccoli fiotti o a lento corso- invadeva i precordi, poneva l’assedio al cuore. Il fatto è che il lettore si trova preso a volo dal laccio del doloroso coinvolgimento, della travagliosa partecipazione: dove la parola -ogni parola- è amo aguzzo che artiglia, si nutre di potenza epigrafica, si erge, da sola, a verso e irrompe, riempiendo con la sua carica semantica tutto lo spazio bianco, gridandovi la costernazione verso la barbarie. La parola si offre, molto frequentemente attraverso lo strumento della reduplicazione, a sottolineare, anche fonicamente, l’orrore che è capace di generare l’essere umano disumanizzato e inselvatichito .
    Se Giannicola Ceccarossi, con il suo “Birkenau”, aveva intenzione -come pare del tutto evidente- di portare il suo contributo poetico al “giorno della memoria”, ha raggiunto in pieno il suo obiettivo. Per di più supportato da un dettato poetico ch’è il distillato d’un accavallarsi di pensieri, di un susseguirsi di sensazioni, di un affollarsi di recuperi memoriali; e che raggiunge la sua acme con un linguaggio prosciugato fino alla più lapidaria essenzialità.
    In ultimo vorrei fare i complimenti a Nazario per la sua accurata e penetrante lettura dell'opera protagonista in questa pagina.
    Pasquale Balestriere

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  2. Magistrale lettura questa di Pasquale: una straripante forza emotivo-verbale di rara potenza esplicativa di un maestro della parola; di un uomo che sa tradurre le frustate della terra nella bellezza del canto. Grande esegesi, caro amico.
    Nazario

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