lunedì 4 aprile 2016

FRANCO CAMPEGIANI IN RISPOSTA A "L'INIZIO CHE FU LA FINE" DI VITO LOLLI

Franco Campegiani collaboratore di Lèucade

RIFERITO A "L'INIZIO CHE FU LA FINE" 
DI VITO LOLLI
http://nazariopardini.blogspot.it/2016/04/vito-lolli-linizio-che-fu-la-fine.html


LA SCUOLA DEL DUE
Percorsi della comunicazione autentica

La vita del popolo di ogni luogo e tempo, finché il popolo c'è stato, è stata costellata di figure di sapienti, di plurilaureati alla scuola della vita (donne e uomini, s'intende), pur essendo dei semianalfabeti. Costoro hanno lasciato un segno indelebile nella loro vita familiare, nella loro piccola comunità, nella ristretta cerchia delle persone che li hanno frequentati, esercitando un'influenza, politica in senso lato, sicuramente circoscritta, ma molto più concreta di quella esercitata dai tanti insipienti (spesso ahimè delinquenziali) di cui è cosparsa la politica in senso stretto. Personaggi che nei casi migliori hanno lauree da spendere, e comunque curriculum, referenze, attestati da sbandierare, comprovanti la loro presunta superiorità sul resto del consesso umano. Non è certo questo il caso dei veri Sapienti, come Epimenide o Ferecide, o come in epoca moderna Thich Nhat Hahn o Gandhi, tutti citati da Vito Lolli nell'articolo Il Sapiente di poche parole, pubblicato in questo blog l'11 marzo scorso.
In questi casi (ma potremmo aggiungere quelli di Nelson Mandela, di Martin Luther King, di Maria Teresa di Calcutta, ed altri) il pubblico apprezzamento corrisponde realmente ad una superiore levatura morale, per usare le parole che Vito ha (ironicamente?) speso parlando de 'U Pazanu. Vorrei tuttavia osservare due cose: a) non è la vastità dei consensi a fare la differenza, dal momento che la fama del Sapiente non fa seguito a suggelli elettorali; b) l'impatto di personaggi del genere non è mai politico in senso stretto, ma nel senso che punta in modo prioritario al miglioramento etico dei cittadini, e conseguentemente, in modo più larvato che esplicito (anche se a volte esplicito), al governo della cosa pubblica o comunque ad azioni di natura collettiva. Il che, ovviamente, è molto scomodo e finisce quasi sempre per essere controproducente (politicamente), condannando al pubblico ludibrio quei personaggi e punendoli finanche con la morte (si pensi a Socrate e a Cristo), anziché adottarli come esempio. Il biasimo, dunque, al posto del consenso; il rigetto al posto dell'accoglienza e dell'ammirazione.
Si dirà che il potere di intervento della Sapienza nella vita pubblica è molto sottile e non sempre equivale a un diretto ed esplicito riconoscimento. Sono d'accordo, ma ciò non fa che confermare le distanze tra Politica e Sapienza. E' certamente vero che tutto ciò che si rivolge alla polis è politico (e in tal senso anche il messaggio di Francesco d'Assisi lo è), ma c'è un modo diretto ed un modo indiretto di interessarsi della cosa pubblica. La Sapienza, che è solo un altro nome della Spiritualità, agisce indirettamente e di riflesso nella vita politica, a meno che non si pensi alla formazione di un partito spirituale, il che sarebbe ridicolo. Mi si potrebbe chiedere a questo punto: ma dove sta la Sapienza, o la Spiritualità, di un uomo semplice e senza pretese come 'U Pazànu? A mio parere, non sta tanto nell'invito ad essere lasciato in pace (anche se è proprio questo, in fondo, il preambolo di ogni meditazione spirituale), ma sta soprattutto nel suo dire di non aver mai fatto sapere nulla al cuore. Ci troviamo in pieno nirvana, a mio parere. Buddha non parla forse di liberazione del cuore dalle passioni e dalle impurità?
Grandissimo ed umilissimo Pazanu! Senza nulla togliere all'immenso Maestro orientale che da millenni influisce, e continuerà ad influire sulla cultura mondiale! Quanti Pazani sono vissuti al mondo, e quanti ancora ne vivono e ne vivranno, depositari di una sapienza intramontabile che esercita il suo influsso nella polis, nell'ambiente circostante, a prescindere dalla loro consapevolezza? Il Sapiente è tale per se stesso, la platea non conta. E non per questo egli è escluso dalla comunicazione. La comunicazione c'è, ma si svolge su un altro piano: quello delle profondità dell'Essere, e non quello superficiale della dea Ragione. La Sapienza, come l'Istinto animale, è il frutto  di un''intelligenza che vive, non di un'intelligenza che si astrae dalla vita, come appunto quella razionale. Il Mito, l'Arte, la Poesia, appartengono alla stessa sfera. Non sono costruzioni dell'intelletto, ma vengono all'intelletto dalla Creazione universale. Il Mitopoieta le ascolta dentro se stesso, così come il Sapiente estrae il suo sapere dai propri abissi interiori.
E' da qui che nasce la comunicazione autentica. Il Sapiente ed il Poeta sanno che il dialogo con se stessi è il primo anello della catena relazionale, saltando il quale va in pezzi l'intera catena e la comunicazione diviene inautentica. Il vero dialogo nasce nell'orizzonte duale dell'Essere, dualità che non è un arbitrario sdoppiamento. Si è Uno in Due, o Due in Uno: è questo il mistero dell'Essere, di ogni singolo Essere. Mistero che il razionalismo ha sempre rifiutato. E il razionalismo è qualcosa di più della filosofia. Forse, più che la causa, la filosofia è la conseguenza di quello schematismo che da sempre insulta ed osteggia il mistero. La filosofia non era ancora nata quando Adamo fu cacciato dall'Eden per avere ottenuto la Conoscenza (Discriminazione) del Bene e del Male. E' il razionalismo a produrre quello strappo, ed il suo insorgere nella cultura classica, attraverso la filosofia, testimonia la decadenza di quel sentire spirituale autentico da cui nascono Sapienza e Poesia.
Ha ragione Lolli nel dire che la trasformazione fece dimenticare al linguaggio la sua ragion d'essere, così che esso "divenne autonomo, si fece dapprima competizione dialettica e poi esercizio retorico, fino a chiudere l'esperienza conoscitiva nel labirinto logico ove la verità è l'apparenza di un discorso che fila, seduce e convince ma si riduce a niente". Sottoscrivo in toto l'assunto, con l'aggiunta che non soltanto Gorgia e Protagora (ovvero i Sofisti) furono il risultato di quella trasformazione, ma la stessa cultura orfica lo fu, stante l'accusa rivolta da Platone ad Orfeo di essere per l'appunto un Sofista e di usare le parole per persuadere anziché per esprimere la verità. Si tratta di imbrogli della mente che mente, di menomazioni entrambe monistiche: da un lato la riduzione della Dualità al solo campo del Molteplice, dall'altro la sua riduzione al solo campo dell'Uno. Da un lato il labirintismo tragico proprio del Sofismo; dall'altro l'essenzialismo proprio di ogni metafisica; da un lato la babele linguistica e dall'altro il silenzio estatico.
Esperienze entrambe della non-comunicazione, della separazione radicale dell'Uno dal Due, laddove il Due non è altro, e non vuole essere altro, che l'avventura dell'Uno. La superficie pretende la profondità, e viceversa, ma i due piani sono paralleli e non vanno confusi tra di loro. Conversare è possibile, impossibile è la mutazione di stato. La Sapienza scaturisce dal dialogo tra spirito e ragione, tra il divino e l'umano dell'uomo stesso, tra le sue voci interiori e la sua sfera razionale. Nessun rapimento, nessuna estasi. Ma nessun fallimento, nessuna disperazione esistenziale. Equilibrio, Buon senso. Vero Sapiente è chi conserva integro il Due dentro se stesso, guardandosi dal mandare a morte la Dualità per favorire una menomata visione dell'Uno. Il Due non è un inganno della mente, ma è il modo stesso in cui l'Uno si manifesta, sdoppiandosi nel relativo. Fortunatamente gli orizzonti della Sapienza esulano da quelli della Cultura, per cui la Sapienza continuerà sempre a vivere indisturbata, come ha sempre fatto, al di là delle lugubri convinzioni del razionalismo culturale.   


                                      Franco Campegiani                                                                      




2 commenti:

  1. Questa devo raccontartela, caro Franco.. La prima lettura di questo tuo articolo l'ho fatta abbastanza tardi e quando sono arrivato alla fine, ormai in anestesia totale, ho letto "... lugubri convinzioni del Nazionalismo culturale...". Ho fatto un salto sulla sedia dicendo "E mo'? Che c'entra il nazionalismo con Franco?" Ho impiegato qualche minuto ad accorgermi che era "razionalismo".. Poi, lo stramazzo definitivo.
    Il senso dell'articolo lo assumo in toto come parallelo dell'argomento che stiamo seguendo, auspicando come Angelucci un interesse più largo.
    Vito

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  2. Come puoi constatare, caro Vito, l'interesse non c'è. Forse noi siamo degli extraterrestri, che però hanno a cuore le sorti della terra (e della poesia), mentre i terrestri... lasciamo stare. Sono felice che tu abbia compreso il senso del mio articolo. Equidistanza dall'ascesi e dal materialismo. Sta qui, a mio parere, il territorio del Mito e della Sapienza.
    Franco

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