giovedì 7 aprile 2016

FRANCO CAMPEGIANI SU: "ISTANTANEE DI VITA" DI ESTER CECERE



Franco Campegiani collaboratore di Lèucade
Istantanee di vita, di Ester Cecere
(Centro "Aleph", Trastevere - 1 aprile 2016)

Ho conosciuto Ester come poetessa, avendo presentato il suo testo "Come foglie in autunno" del 2012, con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà. Notavo, in quel testo, una peculiarità di stile che ritrovo ora in forme diverse in questo lavoro narrativo, dove l'autrice dà corpo ad una raccolta di racconti brevi. Mi riferisco ad uno stile asciutto, essenziale e immaginifico, non nel senso di immagini oniriche, fantastiche, ma nel senso che fotografa immagini del mondo reale in maniera iperrealistiche, con colori netti e vividi, solari, mediterranei. Un mondo oggettivo carico di mistero, di valenze arcane. Stile descrittivo ed analitico, dove la denotazione assume valenze connotative: superficie e profondità in un unico respiro.
Trovo pertanto giusto definire animistico il leitmotiv dei sedici racconti qui presentati, rubando il termine a Maria Rizzi che li commenta in postfazione. Animistica è la tendenza a credere la realtà animata, dotata cioè di principi intelligenti autonomi che possono venire comunicati. Tutto ciò può sembrare atipico per una persona di scienze come Ester Cecere, che sappiamo impegnata nel CNR in qualità di biologa marina, ma è il segno indiscutibile dell'evoluzione dei tempi. La scrittrice viene incontro alla scienziata, persuadendola che non soltanto l'uomo ha un'anima e che la sua intelligenza è in grado di agganciare altre intelligenze del creato. Se così non fosse, come faremmo a rispettare gli altri esseri che vivono e respirano intorno a noi? Dovrebbero oramai essere evidenti i risultati di una tale chiusura mentale.
Leggere e approfondire il libro di Ester Cecere significa tante cose, ma soprattutto significa entrare in sintonia con il vivente: uomini, donne, piante e animali. Emblematica è la storia del Gabbiano che tornò a volare. Gli umani hanno la capacità di procurare al creato danni e ferite mortali. Il gabbiano trovato sulla spiaggia è affetto da intossicazione da botulino e soffre di una forma di paralisi progressiva dovuta all'ingestione di un batterio che si sviluppa nelle acque di laghi, fiumi e mari, per cause di sostanze dall'uomo in esse versate. La scrittrice riesce a salvare il gabbiano grazie alle cure prestate dal centro regionale di recupero di animali selvatici, ma quanti animali possono vantare questa fortuna? Quanti gabbiani morenti per lo stesso motivo possono incontrare una biologa marina sul proprio cammino?
"E' inutile per l'uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra". Il motto, di Francois Mauriac, è posto ad esergo di questo racconto, così come la scrittrice usa fare per ogni racconto, con interessanti, appropriati e introduttivi pensieri di noti autori. Ma voglio citare alcune frasi dal testo, a riprova delle valenze animistiche di cui si parlava: "Lo afferrai delicatamente dai fianchi, si girò verso di me e, pur potendo beccarmi, non lo fece... volevo fargli sentire la mia vicinanza, ma temevo di infastidirlo. Sembrava che capisse che ero in pena per lui. Seguiva ogni mio movimento... Quando lo fissavo intensamente negli occhi, non li distoglieva dai miei, sembrava rispondere al mio sguardo con la stessa intensità".
Gli smaliziati, i disincantati diranno che questa non è altro che una fittizia umanizzazione della natura, degli animali, del tutto gratuita. Lasciamoglielo credere, ma cosa cambia se invertiamo i termini della relazione, pensando che sia invece l'uomo, in questi casi, a tornare all'ovile, entro l'ordine ed entro il grembo della vita naturale? Quello che conta è la sintonia che si stabilisce tra esseri viventi, non altro. Sintonia intelligente. Di un'intelligenza che vive, non di un'intelligenza morta, che si astrae dalla vita, come quella razionale. Probabilmente io sto forzando le intenzioni della scrittrice, e se è così chiedo venia. Tuttavia non direi, leggendo e rileggendo racconti come Morte di un gigante, dove si assiste alla morte del capodoglio arenato sulla spiaggia insieme ad altri compagni, per causa di sostanze inquinanti finite in mare per causa delle attività umane.
Struggente il colloquio della dodicenne Patrizia, sfuggita alla mamma, con il cetaceo morente. "Quello che quei due esseri, così diversi eppure così simili... si dissero non lo seppe mai nessuno", commenta la scrittrice. Ai fanciulli resta facile ciò che agli adulti sembra impossibile. Come mai? Loro si sdoppiano, dialogano con se stessi ed il se stesso profondo, l'alter ego, li pone in contatto con l'universo intero. "Li abbiamo uccisi noi", riferisce Patrizia alla madre singhiozzando, al termine del suo dialogo con l'animale. Ed ecco la citazione prodromica, esplicativa, di Hubert Reeves: "L'uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando".
Quella dell'uomo, purtroppo, è una mente che mente, destinata a scavarsi la fossa con le proprie mani. E' una mente che scambia Lucciole per lanterne (è il titolo di un altro racconto), dove giganteggia l'ipocrisia e la lusinga, il raggiro e l'imbroglio. In una sola parola: l'illusione. Il tema dell'autenticità, dello spogliarsi di ogni maschera, è particolarmente sentito dalla scrittrice. Si legga Il bambino che voleva morire. Spericolato ed esibizionista, si dà arie da capobanda, ma in realtà è fragilissimo e le sue mattane sono solo espedienti per richiamare l'attenzione: gli è morta la mamma e ha bisogno di tanta comprensione. "La vera comprensione è quella che va al di là della ragione e che si fonda sull'istinto, sul cuore" (la massima è di Tiziano Terzani), ma il cuore di cui qui si parla non è la sede delle emozioni, bensì quella, non emotiva, delle leggi universali.
Il cuore è il centro dell'essere, la sua vera essenza spirituale. Non ha alcunché di passionale, questo cuore, è puro istinto, come quello degli animali. Ester parla molto spesso di questa sapienza innata, che non è frutto di studi o di esperienze, ma viene agli esseri dalla nascita, e dunque all'uomo per il semplice fatto di nascere umano. Prendiamo Viviana, giovane psicologa che assiste i malati terminali in un ospedale oncologico. La scrittrice ci avverte che "lei tutte queste cose le aveva studiate, ma in realtà era come se le avesse sempre sapute. Per istinto, intuiva quello di cui aveva bisogno in un determinato momento ogni paziente". In sostanza, vuole dirci Ester, ci sono psicologi nati. E a conferma di ciò, ci descrive un paziente, Vincenzo, pieno di metastasi, che rifiuta i puntelli psicologici ed è in grado di accettare serenamente il suo stato.
E che dire di Rossella, che deve prendere Una decisione a dir poco difficile? Si sa che l'amniocentesi, in una donna incinta non più giovane, può procurare l'aborto, mentre non farla può significare far nascere un figlio down. Grande titubanza e nessuno sa consigliarla, sta a lei la scelta. Sottopone alla mamma il quesito, ed insieme convengono di mettersi nelle mani di Dio, di affidarsi al mistero. "A dicembre, quasi a Natale, nacque Giulia, sana e bellissima". Essere nudi, essere spogli, essere veri, affidarsi al mistero. Miriam, in un altro racconto, incontra per strada un anziano dottore e lo aiuta a portare una delle Due borse pesantissime che a fatica trascina, rendendosi disponibile ad ascoltare i mille ricordi della sua vita. Vinta la riservatezza, il medico diviene un fiume in piena ed è interessante il contrasto tra la generosità della protagonista e la totale indifferenza del nipote dell'oculista, preoccupato soltanto dell'eredità dello zio.
Tuttavia non si può sempre essere sinceri. A volte l'astuzia è indispensabile, e non è ipocrisia. Ecco un esempio. Siamo nel '43 e si combatte una guerra nella guerra, tra fascisti e partigiani. Rosanna, nel corso di una passeggiata in montagna, tra i boschi, s'imbatte in dei partigiani che vogliono giustiziare un soldato della Guardia Nazionale. Non uccidete quell'uomo!, lei grida, e quelli decidono di giustiziare anche lei. All'ultimo momento ritratta ("Stavo scherzando"), così la lasciano andare. La voce interiore consiglia sempre per il bene, per il meglio. A volte, come in questo caso, pretende l'inautenticità, la maschera, per avere la possibilità di continuare un'esperienza di vita che altrimenti verrebbe troncata.
Altre volte invece, come nel caso di Gabriella, consiglia la sincerità, visto che lei finisce sempre per interrompere le sue relazioni con uomini che non sopportano la sua indipendenza. "Manda a quel paese anche lui e non ficcarti più in questo genere di pasticci". Può sembrare contraddittorio il comportamento dell'alter ego, che in un caso consiglia la sincerità e in un altro la menzogna, ma invece c'è una grande coerenza. Il suo scopo è sempre e comunque di tutelare l'uomo incarnato, la sua libertà nel portare avanti le proprie esperienze. Di grande interesse il vivace dialogo che Gabriella intrattiene con "Gabriella Bis", come sdoppiandosi e guardandosi allo specchio. Il suo doppio, spiega la scrittrice, "svolgeva il ruolo dell'avvocato del diavolo quando si trovava, diciamo così, a discutere con se stessa".
Ma veniamo al racconto che s'intitola "A passeggio con la mia malinconia". Qui si narra in maniera esplicita di un vero e proprio sdoppiamento. Il racconto è autobiografico. Giornata primaverile: nel suo ufficio, l'autrice avverte l'urgenza improvvisa di uscire, di ritrarsi dal mondo per entrare in compagnia di se stessa. Entra nella villa comunale e, tra i ricordi d'infanzia che le vengono incontro, incredibilmente viene a trovarsi di fronte a se stessa. Le appare una giovane donna, fragile e malinconica, che la stupisce con memorie che riguardano la sua infanzia, quelle della nonna particolarmente. Il lettore ha la sensazione nettissima che l'essere dell'uomo viva su due piani distinti: uno visibile e l'altro invisibile, pronto ad aiutarlo nei momenti difficili, se lui realmente lo vuole. Così l'esortazione di Sergio Bambaren, posta ad esergo di questo racconto esemplare, sembra l'esortazione dell'alter ego: "Sii come le onde del mare che, pur infrangendosi contro gli scogli, trovano la forza per ricominciare".


                                         Franco Campegiani

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