domenica 17 aprile 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "I LUOGHI DELLA MEMORIA..." DI ADRIANA PEDICINI



Adriana Pedicini: I luoghi della memoria. (Racconti sul filo della memoria e altri racconti). Edizioni Il foglio. Piombino (LI).  Pg. 150. € 12,00


I luoghi della memoria il titolo di questa plaquette; due le sezioni in cui si divide l’opera: la prima eponima; la seconda Altri racconti, che narra di vicende umane, di ostacoli, vicissitudini, di un viaggio attraverso cui guadagnarsi la luce di un faro; la scopetta di se stessi: “… Il titolo del romanzo della sua breve vita era chiaro: “La prima volta che ho incontrato davvero me stesso”.     
Già avevo avuto occasione di scrivere sul libro dell’Autrice “I luoghi della memoria editato per i caratteri di Arduino Sacco Editore. Roma. 2011: “… narrazione agile, paratattica, apodittica, dove l’Autrice, con recuperi memoriali di grande intensità emotiva, riesce a trascinare il lettore nelle storie che si susseguono con incalzante fecondità; che ci dicono di vita, e soprattutto di immagini risultanti da una realtà rimasta a decantare nell’animo della Pedicini; che si fanno presenti con empito suggestivo e coinvolgente; tanto che naturale è seguire i contenuti delle storie, leggerne i risvolti, coinvolti da trame semplici nella loro complessità umana. I luoghi, i personaggi, gli ambienti, reali o immaginari, sono delineati con tratti ora gentili, ora forti, ora georgico-bucolici, ma pur sempre scaturiti da un’anima zeppa di vita e adusa ad una poesia di ricerca meditativa; e il tutto finalizzato a concretizzare la psicologia dei personaggi in gioco. Sequenze narrative, introspettive, descrittive si alternano vicendevolmente, affidate al supporto di una narratologia di pienezza ontologica…”. Una narrazione quella della Pedicini pervasiva e persuasiva che con una pratica adusa alla scrittura riesce a cantare storie che tengono in seno volti, fatti, profumi di campagna, amori, affetti, illusioni, delusioni; un viaggio che tanto ci dice della vita della Scrittrice, in tutti i suoi risvolti, in tutte le sue dilatazioni; ma soprattutto un recupero partecipativo di memorie che, unite l’una all’altra, si  combinano in una collana di perle rimasta in un cassetto per tempo e tornata verniciata di nostalgia, saudade, inquietudine; di voglia di vita salvata in tutta la sua interezza da un oblio che tutto annienterebbe. E’ questo il filo rosso che fa da focus coagulante delle storie: il memoriale. Ha una grande funzione, dacché è il serbatoio principale a cui attingere per il processo creativo di immagini di un travaglio intimo della realtà. Ogni fatto, ogni abbrivo, ogni paesaggio, ogni incontro, ogni vicenda ha bisogno di sedimentare nella mente di un pittore o di un musicista o di uno scrittore; ha bisogno di incrostarsi di tempo e di sostanza epigrammatica per tramutarsi in immagine; per farsi nutrimento del verbo, dei corpi lessicali che la devono concretizzare. Questo avviene in Adriana Pedicini; il suo è un repêchage armonico e autobiografico; una lotta continua contro il fluire della sabbia di una clessidra volta ad annullare i tratti emotivi a cui Ella è avvinta tenacemente. D’altronde l’anima dell’arte è il sentimento; la ragione, semmai, tende a freddare quegli impulsi emotivi che nascono improvvisi, imprevisti, e imprevedibili dentro noi: “Höldernin nove anni prima di essere ricoverato in una clinica per alienati mentali, chiede nella lirica Iperione o l’Eremita della Grecia, al “canto” che sia per lui “rifugio amichevole”, affinché la sua “anima, raminga e senza radici/ non smanî di oltrepassare la vita” e divenga “luogo di felicità (…) giardino curato con premuroso amore,/ ove aggirandomi tra fiori in perenne fioritura,/ in sicura semplicità io abbia dimora,/ mentre di fuori con tutto il suo ondeggiare/ il tempo possente, il tempo mutevole rumoreggia lontano”; e nell’elegia Pane e vino invita tutti i poeti a unirsi in un’universale fratellanza: “… e molto (buono) ascoltare dei giorni d’amore,/ dei fatti che accaddero un tempo/… Sono i poeti, a fondare quel che rimane (Was bleibt aber stinte die Dichter)”. Trovare la serenità là da dove siamo partiti è forse il sistema migliore per calmare il disagio che incontriamo misurandoci con il tempo e la morte, se non si vuole impazzire. Questo è il giardino della Nostra ed è in questo lembo di terra che crescono fiori policromi, soli straripanti, terre feconde disposti ad alimentare api per il miele della narrazione; disposti a un travaso di palpiti poetici in questo timbro di scrittura. E non è di sicuro azzardato parlare di prosa poetica, soprattutto in momenti in cui la Scrittrice ri-visita mura, stradette, orizzonti, o volti della sua storia. Ha intenzione di dar loro una iniezione di foscoliana memoria, ricorrendo al passato o all’onirico per vincere il potere del tempo; ricorrendo, epicamente, alla natura, a tutte le sue vertigini paniche, per farne una cornice in cui inquadrare gli impatti ontologici lievitati nella sacca dei giorni; a lungo andare tutto si fa degno di essere stato vissuto e di essere tramandato oltre lo spazio breve di un soggiorno; un leitmotiv che unisce indissolubilmente: emozione, scoperta,  meraviglia, sorpresa. Sì, la Pedicini sparge la sua anima in tutte le cose che tocca, tinge di sé ogni parvenza, ogni brandello del vissuto. Fantasia, immaginazione, realtà si susseguono, dandosi la mano in una simbiotica fusione di affetti e di speranza in questo spartito narrativo che poggia il suo stilema su un andare fresco e risolutivo; amabile e fluente; su un proporsi che riporta a memoria una pagina di un grande romantico:  “La ragione non ha mai asciugato una lacrima e la filosofia può riempire pagine di parole magnifiche, ma dubitiamo che gli sfortunati vengano ad appendere i loto vestiti al suo tempio…” (Génie du Christianisme di Francois-René de Chateaubriand).
“Noi siamo quello che ricordiamo/ il racconto è ricordo/ e ricordo è vivere” afferma Mario Luzi. E ricordare significa anche avere coscienza del tempo che fugge, della precarietà del nostro esserci ma anche l’unico verso di vincere la morte.  D’altronde sentirci umani vuol dire entrare in quella dualità fra luce ed ombra che logora e inquieta; è il nostro destino: piedi a terra e anima votata all’azzurro; un pascaliano “… milieu entre rien et tout” simboleggiato in un fiore reciso dalla falce del tempo. Questa è la storia umanamente complessa di Adriana Pedicini; una storia che richiama, con le sue meditazioni, ad una partecipazione, dacché ognuno di noi vi trova gran parte del suo vissuto; un desiderio che trova posto nel silenzioso grido di un canto:

Vorrei che l’ultimo bacio
sfiorasse le mie labbra  
come il primo,
quando petalo
di rosa odorosa umido posava
con lama di luna
sulla bocca mentre a stento
il pudore frenava
il carro impazzito del cuore.
Lacrime di ambra
saranno a me diadema
e lieve mi coprirai con coltre
di purpuree foglie
sazie di luce e
gialli petali stanchi di sole.

Nazario Pardini


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