venerdì 22 novembre 2019

M.GRAZIA FERRARIS: "UN MONDO MIGLIORE" DI SILVIA SERENI



Un mondo migliore, ed Bompiani,  2019, di Silvia Sereni


Un titolo generico, purtroppo, frutto credo di una scelta editoriale, facile, neutra, che non mette in evidenza l’originalità del contributo dell’Autrice, Silvia Sereni, la figlia appena scomparsa di Vittorio, la seconda delle tre figlie di Vittorio Sereni, giornalista e collaboratrice di riviste letterarie, che tratteggia un periodo storico letterario, quello degli anni ’60-’70 e alcuni luoghi di incontri letterari, come Bocca di Magra, tra Liguria e Toscana, luogo di villeggiatura privilegiato di Vittorio Sereni e di alcuni amici di lunga data, come Bertolucci, Fortini, Vittorini…., posto tra Montemarcello e la piana dove inizia il paesaggio delle spiagge verso Forte dei Marmi, e gli inverni a Milano, dove il poeta Sereni per oltre un ventennio, a partire dal 1958, ha lavorato da editor  in Mondadori.  Il padre non compare fra i ritratti, ma viene evocato nella sua complessa personalità in più episodi.
Alcuni dei personaggi che compaiono nei 31 testi, in genere brevi,  - Bartolo Cattafi, Piero Chiara, Giovanni Raboni, Dante Isella,  Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Oreste del Buono, Giuseppe Pontiggia, Daria Menicanti, Lalla Romano, Mario Soldati…-, sono  ancora molto noti e citati: qui vengono tratteggiati in presa diretta, e resi incisivi dalle illustrazioni di Giovanna Sereni, l’altra figlia di Sereni, cui Luino, il paese natale, ha dedicato da novembre una bella mostra dal titolo “Gli amici scrittori”, curata da Chiara Gatti, storica e critica dell’arte. Sono ritratti dei protagonisti di una società letteraria della  prima metà del Novecento, espressione di una realtà amicale e letteraria che  non esiste più. La  vita intellettuale fu vissuta anche all’insegna della letteratura intesa come amicizia, oltre che come valore estetico-letterario, e il libro ricostruisce atmosfere, abitudini, incontri, personalità e ambienti vicini nel tempo e però lontani dallo spirito di oggi, in un’atmosfera giocosa, di una  rarefatta poesia della vita relazionale.
Silvia racconta  storie, che recupera dai suoi ricordi di bambina, commenta  immagini senza metterci di mezzo l’ego ipertrofico di chi, figlia di un Poeta riconosciuto e importante, ha vissuto una vita tra grandi personaggi della letteratura che lei conosceva bene, anche nel quotidiano,  per la loro frequentazione della casa paterna.
Racconta garbo, riservatezza, un pizzico di umorismo, con un  sorriso sereno, interiore, intimo. E non deve essere stato facile.
Le scene conviviali, si ripetevano in quei limitati paraggi marini, immerse in dolcezze casalinghe, fra pensieri intimi e familiari o lavori editoriali, nel “meriggiare assorto” di vacanze estive con  mogli e figli. Abitudini, simpatie che  il poeta Sereni coltivava per affinità e nostalgie, come si desume  rileggendo quel capolavoro che è il poemetto sereniano Un posto di vacanza.
Manca Vittorio tra i ritratti. Una decisione, una scelta di Silvia.
Ma  il rapporto col padre emerge nondimeno molto vivamente: “da un lato – scrive l’autrice – la distanza tra me e lui era, per via del nesso parentale, ravvicinata, dall’altro, nello stesso tempo, era smisurata. Il rapporto era esclusivamente quello che ci può essere con un padre. Un padre paziente, tenero, per nulla pedagogico o autoritario, estremamente rispettoso dell’autonomia che considerava giusto lasciare a noi figlie. Quindi una relazione fatta di consuetudine e di famigliarità ma che non contemplava un confronto diretto di idee o di modi d’essere”. 
La personalità complessa, problematica di Vittorio Sereni e il suo rapporto con la famiglia risultano anche da un episodio riportato poco più avanti: la moglie del poeta, Maria Luisa, legge una sua poesia alla figlia, e dà la propria interpretazione; poi chiede all’autore, che sta lavorando nello studio lì accanto: “Non è così, Vit?” Il poeta risponde: “Anche”. In quella risposta c’è tutto il Sereni che assume la categoria del possibile e della variazione del punto di vista come necessari per l’interpretazione della realtà. Ricompare la figura di Sereni poeta ancora di scorcio, nella presentazione di  Carlo Frutteto, che era spesso ospite a Milano in casa Sereni , ben accetto con la sua amabile, ironica disponibilità e col suo linguaggio  interessante, affabulatore.
Lo ricorda in particolare in un pomeriggio inoltrato  tra nebbia e acqua a Rimini, che cammina spedito con le code svolazzanti del loden alla Sherlock Holmes,  immagine che l’Autrice assocerà a un’altra occasione di incontro e poesia e che comparirà in ricordo in una poesia Addio Lugano bella di Sereni:
“Ne vanno alteri i gentiluomini nottambuli/ Scesi con me per strada /da un quadro/ visto una volta, perso/ di vista, rincorso tra altrui reminiscenze/ o soltanto sognato”.
Ricorderà ancora il personaggio in un  capitolo divertente,  quello che racconta un’intervista da lei tentata a Fruttero e Lucentini per il settimanale Epoca nel 1991, in occasione dell’uscita del romanzo Enigma in luogo di mare.
“Spero che avrà preparato delle belle domande”, esordisce Fruttero. “E soprattutto spero che non ci affliggerà anche lei con noiose domande sulla teoria del giallo, di cui non ce ne frega niente”.
Poi impartisce le sue istruzioni alla povera intervistatrice: “Quello che deve far capire ai lettori è che Fruttero e Lucentini fanno dei personaggi credibili cui la gente si appassiona. Giallo o non giallo, perché si leggono i romanzi di Fruttero e Lucentini? Ma è chiaro, perché sono fatti bene i personaggi…” 


Vittorini




Bo


                              Frutteto/Lucentini















Lalla Romano                            

















Pontiggia

I brevi capitoli  compongono un cosmo ideale d’intelletti poetici, partecipi, caldi, fatti di traversate intellettuali affettive e letterarie. Da questo libro può certamente partire il viaggio di lettura per ciascuno di noi e un approfondimento verso quelle pagine che i tanti scrittori rievocati hanno diffuso stemperandole nelle loro diverse opere.
Silvia ce li presenta via via.
Tra le donne presenta: Daria Menicanti, Lalla Romano,  Anna Banti, Laura Grimaldi, Maria Cumani… Il più riuscito mi sembra il ritratto di Daria Menicanti, la poetessa riservata, “esile magrissima, dallo sguardo  aguzzo e azzurro  dietro le lenti degli occhiali”, con la sua anima ambientalista, col suo cane Fuchs, che era tutta la sua famiglia, amica della famiglia Sereni, amica del padre  in particolare, da sempre, col quale condivise i lontani  studi giovanili a Milano facendo parte di quel gruppo di giovani intellettuali che uscirono dalla Statale negli anni Trenta e dagli insegnamenti di A. Banfi. Ma straordinario è anche quello di Lalla Romano, “sicura, per nulla timida, eppure per nulla aggressiva o arrogante…come scrittrice era temeraria. Scriveva liberamente di cose reali, di persone vere, …senza mai chiedersi cosa gli altri, e in particolare le medesime persone che dipingeva, avrebbero potuto pensare…”. Era uno spirito libero, che si univa idealmente al mondo settecentesco razionale e poco romantico che prediligeva, di grande modernità, originale e unica:  era lei, e basta.
Il  ritratto che più colpisce è  certo quello di Elio Vittoriani, presente sia a Bocca di Magra, dove aveva inaugurato  gli incontri per la villeggiatura, sia a Milano nell’abitazione davanti alla Darsena, dove riceveva e lavorava coi tantissimi amici: ha un sorriso  ironico sotto i baffi, in testa uno scolapasta.  Perplessi si va a leggere il testo: nel testo si racconta di una recita estemporanea dell’Orlando furioso a Bocca di Magra, in cui Vittoriani, spiritoso e giocoso,  si era truccato  con il più casalingo degli elmi. Ma si legge anche  del suo impegno, costante, del significato vero suo lavoro: “ scrivo perché credo in “una” verità da dire; e se torno a scrivere  non è perché mi accorga di “altre” verità che si possono aggiungere,  ..ma perché  qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla…”
Attilio Bertolucci (“con la sua aria da gentiluomo di campagna”), il primo dei ritratti di Silvia, l’amico di sempre del padre, è rievocato nell’atto di raccontare un aneddoto…..con stile, con sapienza narrativa, “non voleva che in alcun modo venisse guastato un certo climax che aveva deciso dovesse accompagnare la narrazione. Amava il romanzo, lo stile del romanzo, lo svelamento al momento giusto, il buon finale”. Ancora Bertolucci viene sorpreso mentre dichiara: “Io non ho amato altro al mondo che la mia famiglia” a commento della sua poesia.
“Eppure – annota l’autrice – dietro la facciata tranquilla, solare, c’era il male di vivere, un grumo oscuro di disagio, di inquietudine…. La sua poesia era fatta di rose, di erba, di acqua, di farfalle, di nuvole, ma era poesia, quindi era fatta di ombra, di dolore, di solitudine, di paure..”
Interessante il capitolo dedicato a F. Fortini “ l’uomo dell’altra  riva”,  sia in senso geografico ( passava la villeggiatura a  Fiumaretta, sull’altra riva del Magra, di fronte a Bocca, vicina e lontana contemporaneamente, dato che bisognava utilizzare il traghetto per arrivarci), sia per la sua sincera e talvolta burrascosa  presenza presso l’amico Sereni, che nonostante la differenza di carattere, di stile, era da lui profondamente stimato, e dal  quale  era assolutamente ed indiscutibilmente corrisposto. “..non siamo proprio simili, scriveva Sereni, che ci sono momenti e atteggiamenti (non calcolati) miei che ti irritano e tuoi che mi irritano… ma sappiamo anche che il reciproco giudizio globale non è mai stato scalfito da queste irritazioni.” Viene disegnato da Giovanna Sereni alla macchina da scrivere, che lancia aeroplanini di carta guardando l’osservatore da sopra gli occhiali con aria di sfida. Ironia ed amicizia.
 Di Giovanni Raboni – elegante, appartato, eppur impegnato, un po’ misterioso, che l’autrice conosce da sempre e che abitava nella stessa casa milanese di via Paravia dei Sereni, vicino allo stadio di San Siro – l’autrice racconta di quando scendeva la domenica dal settimo piano al secondo, incontrava il padre, poeta interista, per andare insieme a vedere la partita, del suo amore per Proust, del lucido e commosso discorso commemorativo tenuto a Luino per la morte del padre, della eticità non solo contenutistica, ma anche formale che lo caratterizza, e che rifugge da abbellimenti ad effetto della sua scrittura e del Poeta amico, della loro vicinanza sul tema della memoria e della necessità di “passare il testimone”.
Si capisce alla fine perché di quel titolo Un mondo migliore:   è il rimpianto di  una diversa umanità, più nobile, meno litigiosa, più amicale, lontanissima dalla volgarità corrente. Questo è, forse, il mondo migliore che il titolo propone.

M. Grazia Ferraris  (nov. 2019)

2 commenti:

  1. Cara Amica! Non solo è sempre un piacere leggerti, ma è anche un continuo arricchimento.
    I tuoi studi, recenti e meno recenti, si stanno avviando verso il completamento di una "storia letteraria" di cui non esiste l'uguale, per ricchezza di informazioni nuove, anche piacevolmente aneddotiche, segno di una appassionato e appassionante spirito di ricerca...
    Con la mia affettuosa amicizia i complimenti sinceri di profonda stima.
    Edda Conte.

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  2. Nel parlare di questo interessante, edificante, spaccato di vita letteraria narrato da Silvia Sereni, figlia del notissimo Vittorio, e illustrato dalla sorella Giovanna, Maria Grazia Ferraris avverte che "il libro ricostruisce atmosfere, abitudini, incontri, personalità e ambienti vicini nel tempo e lontani dallo spirito d'oggi, in un'atmosfera giocosa, di una rarefatta poesia della vita relazionale". Si tratta di un momento magico della vita culturale italiana, come ce ne sono stati altri (possiamo citare Via Margutta, negli splendidi decenni del dopoguerra romano) dove la cultura era vissuta all'insegna dell'amicizia e della convivialità, in quella condivisa visione del mondo che intende l'umanesimo innanzitutto come umanità. Dove sia finito, oggi, quel mondo nessuno lo sa, ma queste belle riflessioni della Ferraris, sulla scorta del "mondo migliore" ricordato da Silvia Sereni, ci aiutano a non disperare e a ricercare nei meandri nascosti del nostro spirito quei sopiti bagliori di autenticità.
    Franco Campegiani

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