mercoledì 7 aprile 2021

NAZARIO PARDINI: "VAGHEZZA" DA ALLA VOLTA DI LEUCADE

Vaghezza

DA: "ALLA VOLTA DI LEUCADE"



Una vaghezza, mentre sulla soglia

miravo tracimare

il sole sopra l’orto, mi assalì

con tutto il suo sopore. Mi gustavo

le stille dei rubini che dal vetro

pungevano occidente. Il cinabro,

sortito dal bicchiere trasparente,

somigliava al rossore in lontananza

svariato negli svoli. Incantamento.

Mi perdevo confuso tra i colori

di pesca e di susina nella scia

che in fondo lievitava.

Il pensiero parlante partoriva

un’imbarcazione avvolta nella porpora.

Tu eri là. Nascesti dalle zagare.

Dai tuoi serici veli mi apparivano

forme rosee di ninfa come petali.

Li germinava il cielo generoso

con le dita iridee. Sorridevi.            

Io ti raggiunsi celere e parlammo

tra il disfarsi totale della sera

nel carminio che esplode quando serri

le palpebre alla luce. Era il viaggio

che sempre ti promisi sopra un’arca

veleggiata dal vento dei sospiri.

Parvenze tutt’intorno. Le più belle,        

le più pure, quelle magiche. Ed il blu

che ci veniva incontro dall’oriente

le vestiva profondo. - Non temete. -

Noi restavamo avvinti. - Non temete.

Si accenderanno stelle e dalla luna

gocciolerà su voi nettare vago

avvezzo a far sognare. Basta amare

e tutto sarà d’oro, e azzurro il cielo. -

Rutilavano i sogni sul velluto

dell’arca al ritmo lieve degli stormi 

tremuli. Al giogo del tuo carro i frulli

profumati di sepali di rosa.

Raggi tardi e restii si staccarono

dal sole e differirono la notte.

Era il viaggio di un’intera vita;

una storia, una morte, quella vita

portata sempre in anima. Volare

sopra la terra bigia, oltre la notte,

avanti che l’oscuro partorisse         

staticità massicce alle memorie,

avanti che l’oscuro senza stelle       

continuasse nero il suo silenzio.

 

 

10 commenti:

  1. Amico caro. Versi che conducono per mano a emozioni profonde e suonano come sinfonia. Sono miele per il mio palato, scendono diritti al cuore del mio sentire e danzano a ricamare immagini. Grazie di tanto dono.
    Ti stringo forte in un abbraccio.
    Lino D'amico

    RispondiElimina
  2. POESIA stupenda!

    Splendida la parola e la sua espressività. Goderne l'essenza è dono sublime. Grata, emozionata saluto con affetto.
    Fulvia.

    RispondiElimina
  3. L'ho letto da poco questo testo, che ci riporta alle origini del Sogno e riconosco l'incanto di questa lirica, che evoca il grande Dino Campana nell'incipit e nello svolgimento ricorda i toni di D'Annunzio, amante delle zagare, e dei grandi della nostra letteratura. "Nascesti dalle zagare"... quale creatura non vorrebbe essere figlia di questo fiore, che è il nome arabico che la Sicilia saracena dà al fiore d'arancio... e quale Poeta sa celebrare l'amore con toni e tocchi così poco terreni da permetterci di vedere i profumi, udire i colori, di mettere in essere sublimi sinestesie? "Basta amare/e tutto sarà d’oro, e azzurro il cielo"... il bimbo futuro l'ha scritto con note inimitabili e lo pensa ogni giorno. Sul carro della sua vita, che ci traghetta nel sogno di Lefkade esiste solo la luce! Io m'inchino a lui e all'aura che lo pervade. Ogni volta tornano i brividi, ogni volta mi commuovo, ogni volta sento di poter essere Delia. Grazie Nume Tutelare, il mio cuore è tuo!

    RispondiElimina
  4. Questo canto di Nazario Pardini non è un sogno, come verrebbe di pensare, ma una visione. Che differenza c'è tra un sogno e una visione? Innanzitutto la visione avviene ad occhi aperti, mentre il sogno non è che un anarchico commiato della mente dormiente dalla realtà. Il sogno è un gioco evasivo, una vacanza onirica della mente, mentre la visione è una veggenza che penetra nei gangli segreti della realtà, un viaggio dello spirito alla presenza vigile della razionalità. I lettori di Nazario Pardini sono abituati da sempre a questi suoi viaggi nella Memoria, che è come deire nella Vita, a queste sue "vaghezze" compiute, come suol dirsi, tra il lusco e il brusco, sul far della sera, che rappresentano" il viaggio di un'intera vita; / una storia, una morte, quella vita / portata sempre in anima... / ... / avanti che l'oscura senza stelle / continuasse nero il suo silenzio".
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  5. Poesia bellissima in tutte le sue sfaccettature e angolature. Dire altro è superfuo e inopportuno. Grazie di questo DONO Caro Prof. Pardini Pasqualino Cinnirella

    RispondiElimina

  6. RICEVO E PUBBLICO

    In risposta a "Vaghezza"
    Ah, caro amico! quanta più luce ci avvolge in queste tristi giornate, ora che entriamo nel caleidoscopio dei tuoi colori, Magnifico Aedo!
    Siamo con te nella terra edenica, tra i profumi delle zagare, a sorridere e sognare in un viaggio sempre sognato.
    Il "tu" abbracciato al poeta dell'amore vive e gioisce in mezzo ai frulli dei petali di rose, alla danza degli stormi...e si bea al suono delle magiche parole---Non temete---
    Un sogno continuo, una paradisiaca vaghezza, una festa dell'anima, prima che tutto si faccia silenzio e buio..
    E' un'altra perla preziosa che hai forgiato, carissimo Nazario, per la infinita collana della tua magica Poesia.
    Ti ringraziamo, Magnifico Vate, perché ci insegni a non dimenticare di sognare.
    Un forte abbraccio, Edda


    RispondiElimina
  7. “Vaghezza” è una lirica inserita nella prima sezione del libro del nostro carissimo Nazario “Alla volta di Lèucade”, M. Baroni Editore,1999. Non appaia datata la distanza dalle ottiche odierne in cui il Pardini continua a svolgere la sua vasta opera poetica. In questa lirica si trovano, infatti, la vicinanza a Pavese dei “Dialoghi con Leucò”, a Baudelaire e a Saba. Non ci meravigli annotare come il Poeta, nel contemplare dalla sponda di una versificazione dolce e musicale, pregna di vitalità interiore, preluda al mondo poetico che sarà tracciato nelle successive tappe del viaggio poetico. E mi piace risentire gli echi dei poeti amati come avviene nel libro “Dagli scaffali della biblioteca”. Di cosa ci parla il Poeta? Forse di una concretezza dolcemente assopita? Dove ci introduce, se non negli scenari solubili di una memoria visionaria fatta di sole, mentre la fisicità si dissolve nel vago languore della sera? E c’è sempre l’amore in ogni squarcio di luce, in ogni metafora di vita e di morte:
    “Una vaghezza mentre sulla soglia
    miravo tracimare
    Il sole sopra l’orto, mi assalì
    con tutto il suo sopore”.
    La vaghezza è pacata compenetrazione con ciò che torna a manifestarsi nell’impressione del ricordo, rarefatto, della stessa sostanza dell’anima. Questa è la meravigliosa Arte del nostro Nazario Pardini, perso “tra colori di pesca e susina” e il disciogliersi nella sera. Meraviglia per il mio cuore!
    Marisa Cossu

    RispondiElimina
  8. Poesia splendida, ricca di colori, sapori delicati di frutti, profumo delle zagare.

    Un sogno di lirica che mette le ali a chi la legge.

    Un abbraccio al caro Nume tutelare e agli amici su Leucade.

    Loredana D'Alfonso

    RispondiElimina
  9. RICVEVO E PUBBLICO

    ("VAGHEZZA")
    Le magie cromatiche di Nazario Pardini
    La "vaghezza" di questa narrazione in versi di Pardini è un tripudio cromico di sensazioni, memorie, situazioni, sentimenti.
    I "colori" qui parlano, vivono concrete spiritualità estetiche e liriche tra fiori, frutti, pensieri, presenze.
    E' il viaggio della vita e della morte che l'amore sigilla (...eravamo avvinti...) nel sostegno di un'arca volante nel vento dei cromi.
    Dalle stelle dei rubini all'incanto del rossore solare, dai colori di pesche e susine che comunicano nella porpora, dalla ninfa del cuore con le sue forme sciolte nelle zagare al sorriso del carminio esplodente...
    Un viaggio permanente tra la Natura e la magìa dell'aldilà (il nettare vago...) che il poeta interpreta nella profondità dello "Spirito" onnipresente per ogni dettaglio lirico che si concretizza oltre l'oniricità dei sospiri e delle "parvenze".
    Il materico prevalente tuttavia stordisce il "volo poetico" e lo riporta alla drammaticità dell'esistere: i colori si affievoliscono, l'anima si ritrae rabbuiata da una notte infinita fucina di "...massicce memorie...", il giorno vacilla e si arrende al buio che scivola nel silenzio del colore più scuro (il nero), la "memoria" del corpo non è più una sensazione esterna, ma si trasfigura nella vibrazione psicologica dell'immanenza.
    E' il tormento di una "vaghezza" insidiata dalla nebbiosa e confusa percezione di una brevità esistenziale predeterminata dallo "spirito" dell'Essere insapore e insonoro.
    Pardini ne è consapevole e narrativamente si avvale della sua massima "spiritualità" poliessente per descriverne gli effetti nascosti da flussi energetici ricorrenti in sinestesie mascherate.
    Lo stato d'animo si scinde e dalla "vaghezza" (indescrivibile estasi incompiuta) si trascina all'incanto impossibile di un edenico "status" amoroso che l'inconscio coltiva di verso in verso.
    Tutto poi termina nel "silenzio" stellare e lunare che anche l'amore subisce nel germinarsi cromatico di blu, carminio, azzurro, iridio, nero...
    Ma la "promessa" di Pardini ne salva l'obiettivo in una condizione temporale (sia pur limitata) universale che l'inconscio collettivo di Junghiana traccia si incarica di trasmettere.
    E la memoria pare riacquistare il suo potere di supporto esistenziale tra un apparire e una scomparsa, in una dialettica sorprendente dell'essere poetico che non può trovare una sintesi unitaria in quanto portatrice di una sublimazione catartica dicotomica e parziale.
    I sentimenti non sono sufficienti alla immensa necessità spirituale del Poeta, non possono colmare il "vuoto" che il buio dell'infinitudine sottrae alla luce dei cromi naturali: al Poeta serve la suggestione della propria potenzialità creativa che ne illumina ogni spazio vitale e lo conduce dal magico scenario della compiutezza incompiuta alla coscienza di "essere" apparso senza soluzione di continuità nel fantasmatico "collegato" delle realtà associate.
    Non esistono scorciatoie, ma solo "strumenti" utili per resistere al flusso incontrollabile degli eventi spazio-temporali dove la "criticità" digitale non conta nulla perché destinata al tracollo complessivo della fine di ogni espressione umana.
    Come interpretare la totalità di una "fine"?
    Il sorriso, il pensiero, i veli, la luce, la sera, i sogni, la notte sino all'anima: è un raccordarsi di speranze occulte nella suprema sublimità di un immaginario simbolico, sincero, nudo: l'amore per l'Essere del destino di un Poeta che si supera nella continuità dell'umano presente, senza allora nè ora.
    Marco dei Ferrari

    RispondiElimina
  10. Direi che sia già stato detto molto su questa splendida lirica. Meravigliosi commenti che fanno riflettere, ai quali non posso esimermi di aggiungerne uno, se pur piccolo e semplice.
    Capita che i ricordi, in un ambiente magico pieno di colori, di profumi e di quella luce, che con il passare del tempo si fa sempre più soffusa, indossino la veste incantata del sogno. E che il poeta, solo lui, possa descriverne la meraviglia per offrirla in dono. Tale a calice di cristallo colmo d'incanto, lenitivo per questi giorni troppo bui. Grazie Nazario per i tuoi splendidi doni. Serenella Menichetti

    RispondiElimina