venerdì 4 marzo 2022

NAZARIO PARDINI: "ALLA RICERCA DI VOCI"

 

ALLA RICERCA DI VOCI

 

 

Proverbi e detti raccolti

nelle campagne pisane


 

Quando la vigna è fredda

cerca la pigna altrove.

 

Se l’uliva trova posto

becca il tordo per l’arrosto.

 

Quando fa la goccia il fico

allo schidione il beccafico,

quando il noce spoglia il frutto

va nel bosco c’è di tutto.

 

Se dal campo senti il treno

prendi il carro e leva il fieno.

 

Troppe pigne nel tinello

sulla tavola il vinello.

 

Se il prosciutto è terminato

e la bigoncia ormai si lagna

prendi il pane e vai in campagna.

 

Se del rosso macchia i campi

se dal mare vedi i lampi, è una scena,

stai a guardar ne val la pena.

 

Quando il cielo rugge e frigge

vai in granaio con le pigge,

appendi l’aglio e il pomodoro

che d’inverno pesa oro.

 

Zolla secca e dura

anche al maglio fa paura.

Vale più un vecchio in un canto

che due giovani in un campo.

 

Se il tosto è nel campo

per ora non c’è scampo.

 

Quando ammazzi il maiale

regola le scale.

 

Se il tuo campo non ha il vettino

il filare non fa il vino.

 

Se la botte non gruma

in tuo vino sa di spuma.

 

Quando il ciocco brucia poco

spesso il vecchio viene fioco.

 

Quando la rapa mette il butto

è per il tordo un giorno brutto.

 

Tramonto vecchio, tramonto rosso

io guardo il campo finché posso.

 

La cincia nel fosso

la vigna a ridosso.

 

Quando l’uccello batte al vetro

c’è la fame che bussa dietro.

 

Vino in cantina, pane in granaio

al contadino non cal salario.

Vedo dall’alto il grano maturo

sento il mio giorno ancor più sicuro.

 

Quando il maiale grugna nel castro

cresce robusto il mio giovinastro.

 

Con il fico il beccafico

senza grano c’è il mendico.

 

Spauracchi nel campo

per il seme c’è scampo.

 

Se c’è la faina

piange la gallina.

 

Il merlo sulla proda

non ci resta che la coda.

 

Se il gabbiano viene al campo

per il mare non c’è scampo.

 

Quando il sole rompe il sasso

lascia stare il materasso.

 

Se c’è il gallo e la gallina

se c’è il papero e il covone

se nel ciel vola il piccione

stai sicuro c’è un boccone.

 

 

 

 

Pieno il pagliaio

vuota la biga

pulisci la stalla

se vuoi la spiga.

 

Il passero cresce

il raccolto mesce.

 

Quando il pero mette i fiori

lascia casa e corri fuori.

 

Quando il caco mette il frutto

cerca di stare molto asciutto.

 

Quando il campo è freddo o moscio

vai nel bosco a fare il fascio.

 

Se il libeccio scuote i pini

se ripiegano i vettini

le lor teste verso il monte,

lascia il fiume al proprio ponte

che ben presto le golene

d’acqua torba saran piene.

 

Quando la mucca bela il campo gela.

 

Se la massaia è esperta

con un fico ed una noce fa una festa.

 

Lo sguardo del veglio doma il toro

quello del giovane irrita il capretto.

 

Rumina alla greppia la vitella

si aggira nel tepore della stalla

il giovine garzone nell’attesa

che liberi la nebbia la distesa.

 

Quando piove giorno e sera,

il raccolto si dispera

e si lagna il contadino;

la cantina è senza vino

cresce il mucchio della fame

nella madia non c’è pane.

 

Metti i fichi sulla stoia

metti al sole il pomodoro,

se l’autunno dà lavoro

quando è freddo c’è la gioia.

 

Lascio, ancora scuro, il letto,

lascio il campo quando è sera,

dall’estate a primavera

poco resta per il tetto.

 

Stendo gli occhi sopra il grano,

liscio il bue con la mano,

della terra sono amico,

anche se non offre un fico.

 

Vai lontano dal paese

non ti può fare le spese.

 

 

 

Qui non c’è la terra mia

guardo il sole che va via,

ma non brucia come il mio,

cala giù da quel pendio,

ma mi mancano i miei peri

arrossati tra i poderi.

 

Prima la botte, la bigoncia, e la strettoia,

poi l’uva ultima cosa;

se ti prende la noia

prima di settembre,

il vino mal riposa,

acqua piovana a dicembre.

 

Pane, cavolo e fagioli,

fan la zuppa dei miei vecchi,

poi nel campo svelto voli

fra le rape e tra gli stecchi.

 

La fascina accende il forno,

l’uva secca e la schiacciata

ed i ciccioli dintorno

ti rallegrano la giornata.

 

Appostati qui al capanno,

con gli stampi sopra il chiaro,

sbatton le ali con affanno

i pivieri al nostro sparo.

Vanno i cani ammaestrati

per gli acquatici alla sponda,

si ritorna strapazzati,

ma la pancia si fa tonda.

Ricco non ti fare

ma nemmeno mendico.

 

Ama chi ti ama,

non amare chi fugge,

ama questo cuore

che per te strugge.

 

Il tempo passa

e l’età s’avanza

e così ci perdiamo di speranza.

 

Aprile dolce dormire

e cattivo sospirare

botti e cassoni

incominciano a suonare.

 

 

 

1 commento:

  1. Caro Maestro, conosco molto bene queste 'voci'... appartengono anch'esse, come "La Lettera al figlio" all'ultima tua Opera "Hoc mihi contingat", che ho avuto l'onore di prefare. Sulla scia delle elegie di Tibullo hai cantato il mondo campestre attraverso i motti e i proverbi della tua terra. Una sezione che funge da passaggio e che induce l'anima al riposo. La tua e quelle dei lettori. Si torna alle atmosfere delle Bucoliche e si celebrano i momenti in cui "La fascina accende il forno, /l’uva secca e la schiacciata / ed i ciccioli dintorno /ti rallegrano la giornata." Mi permetto di dire che tutte le sezioni del tuo Volume indottrinano con umiltà su situazioni dell'esistenza che tendiamo a dimenticare. Grazie Nazario mio. Ti stringo al cuore!

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