INtervista
A
IVANO MUGNAINI
A CURA DI
NAZARIO PARDINI
N. P.: Mi dica un po’: quali
sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione
letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia
differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia,
essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi
argomento tratti?
I. M. :
Tutti i momenti della vita, anche quelli che percepiamo in modo
apparentemente distratto, possono diventare strumenti per esprimere un pensiero
o dare forma ad un’immagine. Nella mia poesia la figura umana è dominante, non è
mai una lirica puramente descrittiva, anche la natura è uno specchio per
indagare il mistero più grande, quello dell’esistenza umana, sempre sospesa tra
il sublime e l’assurdo, la bellezza e il fango. In quest’ottica posso dire che
sono stati determinanti per ciò che scrivo gli incontri, casuali o cercati,
rincorsi, sfuggiti, rinnovati. Quanto all’impegno, a mio avviso un autore che
scriva con il dovuto e necessario rispetto per la parola si colloca
immediatamente sul versante dell’impegno, qualunque siano i temi che tratta.
Rispettare la parola significa gettare le basi per la nitidezza dei rapporti
umani e sociali, per l’amore per la verità (anzi per le verità), per la ricerca
del senso e della bellezza.
N. P.: La sua poetica,
essendo un interprete della poesia contemporanea, è in gran parte nota
attraverso le recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la
vuole illustrare lei?
I. M.
: Parlare di se stessi non è mai
facile e quasi mai auspicabile. È molto più consono affidarsi a chi ha letto i
nostri lavori con passione e capacità. Sia per i miei libri di poesia che di
narrativa ho avuto il piacere di leggere note critiche di vario tono e
contenuto, a volte basate su pareri non del tutto convergenti, come è giusto
che sia, ma in ogni caso scritte con sincerità e acutezza, spesso da critici
che sono anche autori che stimo. Per una risposta articolata alla sua domanda
rimando chi eventualmente fosse interessato alle note critiche, alcune
rintracciabili in rete. Dovendo tentare una sintesi autonoma, potrei
confermarle ciò che ho già accennato nella risposta precedente: sia in poesia
che in prosa scrivo dell’uomo, del suo tentativo di trovare una collocazione in
questo strano e traballante pianeta, conciliando pazzie e ragioni, violenze e
sete di dolcezza, volontà e destini. Mi affascinano i personaggi marginali,
quelli apparentemente esclusi, in realtà paradigmi essenziali di esistenze e
resistenze.
.
N. P.: Quali sono le letture a
cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e
quindi predilige? perché?
I. M. : Collaboro come “lettore” con alcune case
editrici: quindi ricevo molti libri sia di poesia che di narrativa. Alcuni li
leggo per dovere, ma spesso capita che qualche libro che non avrei letto se non
mi fosse stato inviato mi scopro ad esplorarlo con gusto, con piacere. È come
rinascere nella folla un volto affine, iniziando un dialogo, un’appassionata
conversazione. Accade con autori già molto noti, sia con altri, emergenti o già
ampiamente emersi, ben oltre la superficie. Farei torto a molti se facessi dei
nomi, escludendo tutti gli altri. Anche in questo caso posso rimandare chi
fosse interessato ad alcune note critiche che ho scritto per sillogi e romanzi,
anch’esse rintracciali nel web. A livello generale, posso dirle che la varietà
dei toni e dei generi che mi appassionano è ampia. La discriminante è il
rapporto dell’autore con la scrittura, con il linguaggio: originalità,
intensità, e, ancora una volta, rispetto per la parola, sono i cardini, a mio
avviso.
N. P.: Fino a che punto le
letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se
sì, in che modo?
I. M. : Ci sono alcuni incontri, anche nel settore
delle letture, che sono assolutamente folgoranti. Dopo avere letto un libro la
nostra visione cambia per sempre. Non solo per il modo di scrivere, ma anche
per la maniera di pensare e di vivere. L’influenza è indubbiamente presente, e
la sua ansia ci assilla, ci modella, ci forgia. Ma, e questo è fondamentale, la
reazione a tale scombussolamento deve essere altrettanto vivida, in ciascuna
età, in ogni fase della vita, non solo letteraria. Riemergere dall’abisso
inebriante delle letture cardine è necessario. Rinascendo ogni volta trasformati
ma ancora, nell’essenza, autonomi, individui unici, autori con una propria
strada, una traccia personale, un percorso riconoscibile.
N. P.: Che cosa pensa della
poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si
contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci,
quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure
dettate da una rigida metrica?
I. M. : Anche in questo
caso mi rifaccio a quanto ho risposto in precedenza: al di là della presunta
novità, o dello sperimentalismo, ciò che conta è la forma e la sostanza della
scrittura, secondo me. Possono esserci poesie nuovissime che non dicono niente
di nuovo e poesie di impronta più “classica” che in realtà contengono una forza
scardinante, sia a livello di contenuto che di espressione. Voglio dire che non
sono le etichette che fanno la differenza. Rima o non rima, metrica o non
metrica, la vera discriminante è la capacità della scrittura di emozionare. di
coinvolgere, di chiamare in causa. Tutto ciò prescinde da qualsiasi categoria e
forma. È una caratteristica del tutto individuale, da percepire volta per
volta.
N. P.: Cosa pensa dell’editoria
italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di case
editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il
territorio nazionale?
M. : Questa è un’altra domanda impegnativa:
l’editoria italiana è un universo molto ampio e vario. Contiene alcune stelle
luminose e vari buchi neri. E in alcuni casi non è la dimensione del corpo
celeste a determinarne la natura. Ho letto i resoconti e i diari di alcuni
scrittori di qualche decennio fa. La situazione era differente. Non era l’Eden
neppure allora, ma i rapporti, sia tra gli autori che con gli editori, erano
più intensi, più umani. Esistevano anche allora conflitti, rancori, invidie e
via dicendo, ma era minore la mercificazione che oggi è imperante. Allora
considerare un libro un oggetto da supermercato paragonabile ad una bottiglia
di shampoo o ad una frittura di scampi surgelata sarebbe stato comicamente
impensabile, oltre che blasfemo. Oggi molti si sono adattati a questo stato di
cose: o si collocano fuori dal supermercato oppure confezionano pagine e pagine
di fritture surgelate. Ma esiste una reazione a tutto questo. Presente, in
atto, in movimento. Si tentano alternative, si prova a percorre altre strade,
meno centrali, meno trafficate. Il web non è forse la panacea, ma aiuta a
percepire la speranza della differenza. Chissà che, almeno in parte, alcuni
lettori non possano tra qualche anno tornare a scegliere, influenzando in tal
modo anche chi allestisce gli scaffali dei supermercati. Un discorso simile vale anche per i Premi
Letterari, a mio parere. Se un Premio non diventa uno scambio reciproco di
targhe e strette di mano osannanti ma una reale selezione per scoprire testi e
autori degni di essere letti, allora ha un senso, una funzione.
N. P.:
Certamente sarà legato ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi
più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale,
alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in
un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti di un’analisi
interiore?
I.
M. :
Sono legato a tutto ciò che ho scritto. Non perché ritenga tutti i testi
di valore assoluto, ma perché ognuno in quell’epoca, per l’uomo che ero in quel
momento, per il modo di vivere e vedere il mondo che avevo, rappresentava il
mio modo di esprimere presenze e assenze, realtà e fuga. Tra i libri di poesia
mi viene in mente “Il tempo salvato”, un libro che racchiude poesie scritte nel
corso di vari anni, e poi selezionate e raccolte, quasi a testimoniare il
mutamento e la persistenza, dei significati, delle speranze e delle
verità, e del loro contrario. Per quanto
riguarda la narrativa, “Limbo minore”, un romanzo di formazione, in senso
ampio, una vicenda sospesa tra adolescenza e età adulta, tra la volontà di dare
misura a tutto, perfino all’amore, fino a scoprire che la sola misura possibile
a volte è la poesia dell’abbandono.
N. P.:
Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con
quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia
può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo
disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente
cultura politica per questi problemi?
I. M. : Mi ricollego alla
domanda riguardante l’editoria. La letteratura italiana, se confrontata con
altre, quelle in lingua anglosassone ad esempio, ma anche quella spagnola, mi
sembra più assestata su terreni stagnanti, per così dire, tra accomodamenti e
compromessi. Ma è possibile forse, di sicuro è necessario, sperare in qualche mutamento,
auspicabile. Non è molto realistico sperare in interventi miracolistici,
tuttavia. La sola via sarebbe una rivolta pacifica ma risoluta da parte dei
lettori autentici. Quelli che potrebbero un giorno stufarsi dello status quo,
mutando realmente le cose. Nella letteratura e non solo. In quest’ottica il
dialogo telematico potrebbe avere una funzione. Non solo scambio di foto
simpatiche, ma anche scambio di opinioni e presa di coscienza della forza del
cambiamento.
N. P.: Se potesse cambiare
qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se
avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe
sostanzialmente?
I. M. : Da solo chiaramente
potrei fare ben poco. Posso sperare di far parte un giorno del movimento di
idee a cui ho fatto cenno.
N. P. Potesse tornare addietro
negli anni, cambierebbe qualcosa nelle opere che ha scritto? a livello formale,
lessicale o contenutistico? o è dell’idea che ogni opera partorita è figlia del
suo tempo e degli stati d’animo di quel momento?
I. M. : La sua domanda in
questo caso contiene già un’adeguata risposta: ogni epoca è figlia del suo
tempo. Quel tempo che vorremmo e dovremmo provare a salvare, e a modificare,
tramite la parola, attraverso la scrittura.
La ringrazio per la sua
disponibilità.
La sua intervista verrà
pubblicata sul blog “Alla volta di Leucade”
Nazario
Pardini
13/07/2012
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