Innocenza Scerrotta Samà: NEL TACIUTO LA GIOIA. Edizioni Polistampa. Firenze. 2013. Pp. 62
Innocenza
Scerrotta Samà:
Nel
taciuto la gioia
Edizioni
Polistampa. Firenze. 2013. Pp. 62
Nell’incontro
degli opposti la lucentezza della quiete
Poesia
schietta, sincera, libera, generosa, tutta volta a indagare sugli interrogativi
dell’essere e dell’esistere. E la parola, incastonata in nessi di grande
rendita etimo-fonica, è duttile e disponibile ad involucrare gli slanci di
un’anima cosciente della povertà delle ristrettezze umane. Una sottrazione che
sente e da cui vorrebbe fuggire. Sì!, cosciente della precarietà della nostra
permanenza di fronte a un tempo che scorre implacabilmente indifferente. Ed
ecco, quindi, tutte le dicotomie del vivere e la ricerca di equilibri che
mutino i quesiti del soggetto nell’universale senso dell’esser-ci. Ed è umano,
fortemente umano il discorso poetico di Scerrotta Samà. Percepisce che - col
suo linguismo frantumato in azzardi esplorativi - l’equilibrio può venire solo
dalla simbiotica fusione degli opposti: notte e giorno, Eros e Thanatos, Caino
e Abele. Sono questi opposti che convivono nel nostro essere; che ci rendono
coscienti del senso eracliteo del nostro breve segmento esistenziale, e che ci
fanno anche azzardare sguardi oltre i confini del nostro fatto, oltre i limiti
della nostra caducità, del nostro possibile, con risultati di pascaliana
memoria. Sì, perché è proprio dell’uomo cercare di sottrarsi il più possibile
da questo stato d’inquietudine, determinato dalla dualità del nostro essere
terreni con l’occhio rivolto al cielo. Ed è dell’uomo cercare il divino nelle
minuzie e nelle grandi espansioni della nostra vicenda: “Invito ad Eros
all’ombra del divino”; vedere nello stesso amore una categoria dello spirito che sa tanto di ultra/umano.
Per cui la stessa notte, illuminandosi d’ebbrezza, può rendere il tutto una
aspirazione all’eterno per tradire quel
tempo che ci rende vulnerabili. Emerge
da questo poema un sapido profumo di classicismo rivisitato, attualizzato, una
proteiforme apertura verso un mondo di miti che prolunga lo sguardo ad una
palingenesi rigeneratrice. Ed il mito non è fine a se stesso, ma si fa nuovo
messaggio, azzardo allusivo, cospirazione panica di rinnovamento di vita. Tutto
è attualizzato con freschezza di verbi, e di slanci emotivi. Una grande vis creativa per cui il verbo stesso non
è mai soddisfatto del suo etimo, del suo topos: si amplia, si scorcia, si
prolunga, si frantuma, pur mantenendo la sua autonomia ritmica, la sua unicità
nel verso, per cercare di appagare un sentire tanto zeppo di spleen alla ricerca
della sua dimensione. Ed il terreno con
i suoi palpiti sublimanti confonde la sua luminosità fra abbracci di dionisiaca
avventura stellare: “Non sapeva/ forse/ farfalla/ nel/ verde orchestrale/ delle
foglie,/ naviglio/ sull’onda/ della luna/ errante/ dionisiaco/ palpitio stellare”.
Questo mélange di tocchi panici e accostamenti di vaghezze mitico/semantiche
offre una resa poetica di particolare orfica tensione, non di rado, dai toni
epico/lirici.
Insomma
una ricerca del vero? Una scalata
verso le vette che miscelano nell’azzurro Eros e Thanatos? Un tentativo di fare della poesia una scalinata
di agili gradini per forare le nubi? Il fatto sta che la Nostra ama questa
poesia e ricorre a tutti gli stratagemmi formali (sinestesie, metonimie,
enjambements, anastrofi, ossimori…), a variegati giochi etimo allusivi in
tracciati linguistici secchi e rapidi, per renderla unica e liberatrice.
Catartica, direi. E forse la Nostra la ottiene questa libertà estetico/esistenziale. Proprio con la bellezza di questa antica arte
che lei riesce a fare nuova e, se si vuole, anche rivoluzionaria. Proprio
perché nel taciuto, nel silenzio che parla con voce ultra/umana, ritrova parole
non dette, parole chiave, anelli mancanti, per aprire quello spazio dove,
appunto, nell’incontro degli opposti brilla la lucentezza della quiete:
Nel
taciuto
la
gioia
dell’incontro.
Nazario
Pardini
Nessun commento:
Posta un commento