NOTIZIE SULL’AUTORE
Tomaso Pieragnolo è nato a
Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice
Passigli di Firenze ha pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”,
finalista al Premio Palmi, Metauro, Minturnae, rosa finale del Premio Marazza e
vincitore del Saturo d’Argento – Città di Leporano. Fra le sue più recenti
pubblicazioni: “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di
Marineo e finalista al Guido Gozzano di Belgirate), “L’oceano e altri giorni”
(2005, già finalista ai Premi Libero de Libero inedito 2003, edito Guido
Gozzano di Belgirate e Ultima Frontiera di Volterra e vincitore del Premio
Minturnae Giovani). Una selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo
dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de
Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore
di poesia latinoamericana si svolge in collaborazione con alcune rivista
online, nelle quali dal 2007 propone principalmente autori del Costa Rica e del
Centro America, mai tradotti in Italia, e con alcune case editrici, che hanno
pubblicato la prima traduzione in italiano di Eunice Odio (“Questo è il
bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, Menzione Speciale Camaiore per
la traduzione) e la prima traduzione in italiano di Laureano Albán, (“Gli
infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”,
Passigli 2011, finalista Premio Internazionale Camaiore, rosa finale Premio
Marazza per la traduzione).
Invito a leggere una breve recensione a “nuovomondo”(Passigli 2010), pubblicata da una nuova e interessante rivista letteraria:
Nota
al libro:
In
un cerchio temporale e interiore continuamente aperto e concluso che comprende
in sé creazione e distruzione, stratificate pulsioni di un mondo quanto mai
reale e al contempo illusorio, il viaggio di ogni singolo essere verso
l’inconosciuto confluisce nel flusso eracliteo di un’umanità vitale, errante,
sempre più spesso incerta e confusa da esponenziali stimoli e vacui valori.
Questo breve quanto intenso poema restituisce la visione di un luogo urgente e
necessario, la consapevolezza che in questa epoca contraddittoria e cruciale
solo l’Amore nel suo senso più ampio e terreno possa condurci verso un
‘nuovomondo’.
pagina 14
Forse il primo uomo e
la prima donna
di colpo due colombe
nella fitta
orditura, due strappi
nella ripetizione
del castigo, scalzi
appena eretti allo sbaraglio
della precaria luce
immaginano
precipui un luogo
futuro, bestiali
e spaventati ancora da
improvvise
estinzioni e pazze
circolazioni
di stormi, metalli e
distanze;
così nudi addiacciano
in strapiombi di gole
indurite e nel prodigo
divenire
in frammento, mentre un
bilico rapido
d’urgenze minaccia la
disgregata
moltitudine e un
perenne vento verde
colma franate frontiere
e nascite
continuamente offerte.
Caparbiamente
avanzano fra tutte le
cose prescelti
con fortunale criterio,
erranti giorno
dopo giorno e
sopravvissuti al possente
stallo innescano
l’impronta numerosa
che l’aperta asprezza
muta, il corpo scricchiolante
contro l’ora e
l’ereditato disordine,
bruciando ancora la
netta cicatrice
che il giorno definisce
in precipitosi
vertici. Ma gioioso è
il creato nei suoi
molteplici fermenti,
dilunga lingue mute
e
selve commoventi.
pagina 50
E che nelle tue mani io senta stridere
il bosco, la stilla costante che appura
come un astro la crescita del movente,
l’odore che notturno arrampica d’invisibili
linfe, o il rigurgito dell’ape sulla lingua;
e un mattino di recente autunno siano
i tuoi baci lungamente attesi per notti
di solo una immobile stella, stordisca così
il mio grido contro il minerale del cielo
e precisati in questa folle rocca senza
sentinelle sull’albero cieche giungano
le vivenze ai tuoi piedi, donna
dolce la tua testa mi sfoglia il petto
come un’iride caduta al fondo, descrivi
petali con la tua saliva ed è
un paese intero l’amore, è un indugio
attraverso il tempo, possiamo
tornare ad essere i primi con solo l’ombra
un pudico abbraccio se percorrendo
il parallelo incolume un bilico riduce
la nostra distanza, così io avrei
più mani per toccarti, dita
per raccoglierti, braccia per accoglierti
e nomi per destarti, potremmo essere
dove i pesci lisciano via, raggiante mia,
salto di gioia se tu mi distrai,
come una sete mi abbevero a questa
sola stilla che non si stacca, considera
le mie parole come un dono e fanne
un fascio di rami verdi ancora, affinché
dal mio sonno io veda accomiatarsi gli
inganni.
pagina 60
Ma stride un rifiuto e snida luoghi
abbandonati, stringe nelle sue secche
mani contro la crudezza solo
una rosa che dissuona fin qui e l’equivoco
verbo a tutti sbraita con disabile
idioma, rivolge il suo costante
rovescio e in quantità trasparsa replica
al giorno una forma d’oblio che non termina,
uno stesso finale, la millesima
mostra di vana forza che divide
il colore, divarica il mese, istiga
il nesso e volge promesse; forse è il declino
di molti secoli, o l’arresa permanenza
nel senno di limiti e nella terra,
le età diversamente accumulate
in necessarie metà che sole
non s’aprono ed errando cercano
il disperso tatto. Ma è nello scoppio
rapido d’un seme la fronte del nitido
giorno, il frutto di fallibile
specie o forse solo il luogo che per te
voglio eternamente conservare.
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