sabato 1 marzo 2014

FRANCO CAMPEGIANI SU "L'INTERVISTA" A GIORGIO LINGUAGLOSSA DEL 25/02 SUL BLOG

Alla luce dell'intervento di Pasquale Balestriere, nonché del commento di Ninnj Di Stefano Busà, entrambi incentrati sul concetto di "libertà interiore", sento il bisogno di intervenire nuovamente nel dibattito suscitato da Linguaglossa sul tema della "forma ibrida" in poesia, nella speranza di poter meglio chiarire i concetti da me già espressi nel commento precedentemente postato.
Doveroso è un chiarimento in via preliminare, senza il quale non si capirebbe il senso e la direzione del mio argomentare. Personalmente non condivido l'idea che la cultura rappresenti il piano delle libertà e che la natura sia invece il piano delle schiavitù istintuali. Niente di più falso, a parer mio. Necessità e libertà coincidono perfettamente in natura, dove ogni essere è quello che è, libero e felice di esserlo, senza possibilità di deviazione alcuna. Nel piano culturale, invece, libertà e necessità si divaricano tra di loro, perché l'uomo inizia a pensare che libertà significhi affrancarsi dall'ordine di natura. Ed è qui che ha inizio la storia delle sataniche separazioni (etimologicamente Satana significa "il Separatore"). E' qui che avviene la cacciata dall'Eden, con l'avvento di quel raziocinio che distingue e divide, dando corpo al corso degli schematismi, dei pregiudizi e di tutte le aberrazioni umane. Con ciò non intendo incitare ad astenersi dal "peccato" della cultura e della storia, spegnendo asceticamente il nefasto lume della ragione che è in noi. Se abbiamo questa facoltà la dobbiamo usare. Dobbiamo anche capire, tuttavia, che esiste una libertà più pura del libero arbitrio: la libertà di non approfittare della libertà e del libero arbitrio. La libertà di astenersi dai frutti proibiti: quelli che fanno acquisire la scienza della separazione (a iniziare dalla separazione tra il Bene ed il Male). E sottolineo che sto parlando di libertà, non di imposizione. Se facessimo ciò, rientreremmo difilato nell'Eden, pur continuando a viverne fuori. Si dirà che è impossibile, ma è tutta una metafora dell'armonia: di quella capacità, ossia, di sentirsi interiormente liberi pur vivendo nei condizionamenti collettivi.
Concordo con Linguaglossa quando sostiene che oggi l'uomo non è libero (e non da oggi a mio modesto parere). Ritengo tuttavia che sia proprio su questa negazione culturale e sociale della libertà che si fonda la possibilità di sentirsi liberi sul piano interiore. E' nell'interiorità che l'uomo può riscoprirsi figlio del creato, facendo finalmente esplodere l'animale che è in lui. E' nell'interiorità che può sentirsi selvaggiamente libero, visto che la libertà gli viene negata (o ridotta) sul piano della vita pratica, esteriore. Una poesia di libertà può nascere nel momento in cui l'uomo prende coscienza della propria vita interiore, ovvero del proprio Eden, liquefacendo le panie razionalistiche come cera al sole. Ma ricostruendole anche, a proprio piacimento, senza più timore alcuno. Il divino può fare questo ed altro: parlo del divino che è in noi. E qui vorrei rispondere alla domanda cruciale di Milosz: "Quale uomo ragionevole vuole essere dominio dei demoni / che si comportano in lui come in casa propria, parlano molte lingue, / e quasi non contenti di rubargli le labbra e la mano / cercano per proprio comodo di cambiarne il destino?". Alt! Qui occorre un chiarimento fondamentale. I demoni o gli angeli che ci vivono dentro non sono altro che metafore della natura più vera e profonda di noi stessi, della nostra essenza incontaminata che canta la nostra libertà, del nostro alter ego disincarnato che ci cammina accanto e che vuole viaggiare con noi.
Il poeta che si professa libero senza sentirsi invischiato nei condizionamenti collettivi, è sicuramente uno sciocco. Ma non è meno sprovveduto il poeta (come anche l'uomo) che pensa di non potersi salvare in nessun modo dalle menomazioni e dalle maledizioni collettive. Si vive nella libertà e nel condizionamento, ma non è lecito capovolgere la realtà, affermando che i condizionamenti provengono dall'ordine naturale (o cosmico, o divino), mentre la libertà sarebbe esclusivo appannaggio dell'essere umano. E' vero il contrario. Ma è fuori di dubbio che entrambe le sfere ci appartengano e che noi dobbiamo imparare a "dare a Cesare e a Dio". Fuor di metafora, dobbiamo imparare a dare unicamente a noi stessi, vuoi sul piano dello spirito che su quello della cultura. Non c'è Forma senza Sostanza, per cui si vive in entrambe le dimensioni. E se la Forma è anche Sostanza, allora ogni Forma è ibrida di per sé, di sua propria natura. Non occorre ibridarla ulteriormente, anche se a priori non si può escludere la validità di un tale percorso espressivo. Bisogna vederne ed esaminarne in concreto le singole manifestazioni o epifanie.


                                               Franco Campegiani

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