IN RIFERIMENTO A DUE INEDITI DI GIORGIO LINGUAGLOSSA
DEL 05/03/2014 SU LEUCADE
Non conosco la poesia di Giorgio Linguaglossa, ma dai componimenti che oggi leggo credo di individuare anch’io (come egregiamente Balestriere nel suo intervento), la sua convinta adesione ai dettami poetici di Milosz, adesione che si traduce nella puntuale declinazione della “direzione di marcia” indicata dal poeta polacco. In queste due poesie Linguaglossa dà dunque sostanza e corpo a quella forma poetica più “spaziosa” e “capace”, “ibrida”, cioè a quella “forma ampia (…) che consenta l'ingresso nella forma-poesia della forza rigenerante della «prosa»”. Sulla scorta di questi dettami, il poeta riesce così perfettamente a “prendere le distanze dalla poesia dell'ego”, per approdare in quella del non ego(/non nego) e in tal modo realizzare quella forma poetica “tridimensionale” in cui “scompare il presente e il futuro”, e dove, quindi, “tutto diventa contemporaneo di tutto”. Scompare, come detto, soprattutto l’ego. Come in un sogno, infatti, quasi precipitati nelle atmosfere surreali di un Magritte o di un Dalì, si assiste ad uno spettacolo che non ha sequenze logiche, né un prima e un dopo, un perché o un senso, e dove le “immagini … escono l'una dall'altra e vi rientrano, come in un labirinto, come in un sistema di vasi comunicanti...”. Balzano così sul proscenio, impreveduti ma decisi protagonisti, “camion” e “bastoni da passeggio”, “una bellissima dama” e “una cornacchia”, “Rembrandt” e “Paganini”, “un quadro del Tiepolo”, “Johannes Vermeer” e “la ragazza con l’orecchino di perla”... Tutti ‘attori’ che recitano a soggetto, collocati in un ‘non tempo’ e in un ‘non luogo’, proprio come la “bellissima dama [che] esce da un quadro del Tiepolo”. Ecco, quella dama che “si volta verso di noi” è l’immagine plastica, il fotogramma abbacinante con cui Linguaglossa libera e “sdogana” la storia (e l’arte, e la cultura, “i piccoli fatti del quotidiano”…). E sembra proprio di sentirla, quella dama, mentre rimprovera il poeta (il lettore?, lo spettatore?, il ‘sognatore’?...) per essersi fatto vivo solo ora, dopo una così lunga, imperdonabile ‘latitanza’. Relegato così l’ego, per così dire, ‘fuori campo’, è stato però necessario dare ‘voce’ a quegli elementi finora privi di cittadinanza piena nella forma poetica; è stato dunque indispensabile trovare un ‘faber’ che animasse la scena, le desse vita. E il faber si è incarnato in quella stessa voce fuori campo del poeta, il polo decisivo per poter compiutamente realizzare la forma poetica tridimensionale, una sorta di direttore d’orchestra che ha sostituito il malefico “daimon” dell’ego, divenendo il provvidenziale ‘medium’ benigno, lo sciamano in trance che ha convocato/evocato quegli “spiriti buoni” di Czeslaw Milosz capaci di fare “di noi il loro strumento”.
Missione egregiamente compiuta, dunque, quella di Linguaglossa, a cui va tutta la mia ammirazione. Con l’avvertenza, però, che per ogni ‘concerto’ così realizzato, il successo dipenderà dalla ‘terzietà’ e dal talento del direttore d’orchestra; talento che, con la replica degli spettacoli, acquisterà via via visibilità e ‘riconoscibilità’, proprio come un inconfondibile ‘marchio di fabbrica’: non si tratterà forse di quell’ego che, cacciato dalla porta, tenterà di rientrare dalla finestra?...
Umberto Vicaretti
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