giovedì 27 marzo 2014

SALVATORE D'AMBROSIO SU "I SIMBOLI DEL MITO", DI N. PARDINI




Recensione
a
Nazario Pardini: I simboli del mito
1° premio Città di Pomezia 2013
Edizione Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013

   La silloge di Nazario Pardini , vincitrice del 1° premio Città di Pomezia 2013, è una raccolta che non trova difficoltà ad essere collocata nella categoria dell’atemporale, dell’aspaziale.
   Nella lettura si evince subito che il poeta è legato all’ieri dal cordone ombelicale dei ricordi di una scolarità, a sua volta legata ad una lirica che esalta anni in cui l’etica è il perno fondante dell’umana specie. Coltiva il Pardini la mistica di fare versi conservando certi preziosismi verbali radicati nella più profonda ed originale delle forme classiche:



Mori i capelli
sulle bionde guance
………………
I tremiti dell’onde
sulle selvagge sponde….

   Forme queste inaccessibili oggi forse, a chi si è fatto sempre più intimorire nell’usare la parola come mezzo e strumento per narrare le pulsioni più intimistiche.    
Il poeta che in apparenza subitanea sembra impiantare la sua poesia su di uno schema da tragedia classica, in effetti sconvolge questo schema facendo macerie di quel lessico ma conservando, ed è qui la preziosità, quella tensione emotiva che, sebbene nella modernità, fa del suo verseggiare una poesia classica:
Spirava la radura
fra nebbie pallide
zefiri divini
a ingannare fanciulle
e sotto vesti la luce
traspariva le forme….

   Il poeta Pardini fa in questa silloge un’operazione di rinnovamento e di riciclo della classicità.
   La sua creatività non mette da parte la realtà storica del verseggiare, anzi diventa  nuovo strumento per raccontare, parlare alle masse, perpetuare il legame tra vita e letteratura:

Ti puoi immaginare dolori
grandi, smisurati
che la Storia ripete
su spazi che si perdono nel tempo.

   Il Poeta dimostra che si può parlare ancora al mondo, anche se la realtà è allo sfascio, con protezionismi, nepotismi, sofismi che tendono a piegare ai pochi le intelligenze dei tanti.
   Con l’aggravante della scomparsa di eroi 
del calibro di Ettore, Achille, Ulisse che sebbene sanguinari, perseguono obiettivi estranei a qualsiasi mistificazione politica. La storia e la sua memoria vivono di eterna attualità nei suoi versi. Sembrano dire :”il passato non si dimentica”. È così. Non c’è futuro senza storie del vissuto:

… guardo la piana
rianimando versi
di Scuola Siciliana…

   Non sfugge al lettore acuto, quanto sia attento il poeta Pardini nell’annoverare tra i simboli del mito, anche tutte quelle terrene presenze che all’ apparenza sembrano banali ma che nella loro continua perpetrazione rappresentano invece, l’ indecifrabilità del mondo. Ecco allora la motivazione della lirica dedicata alla pianta mito tra i miti e scrigno di tutti gli odori e i simboli della classicità: il lauro.

… racconta al sole il luccicante lauro……
… freme la bocca tra le foglie tumide……
… nei lucidi riflessi dell’alloro…………….
... recido per forgiarne una ghirlanda……

   La sua poesia è come la musica Jazz, che senza rinnegare il passato costruisce nuove forme musicali le quali nascendo dal mito classico, diventano loro stesso mito. L’impianto stilistico riecheggia senza diventare decadente classicismo. Ne è la riprova la lirica, L’ultimo dono, dove il ricordo dell’ esordio di un amore adolescente contiene il tutto della vita : .. e il lento incedere vedeva/ del nuziale corteo. Della morte: .. già filtravano i raggi/ dentro l’ Ade …   Dell’oblio: ma il tempo non avesti, Orfeo, /di gridare Euridice / che l’immagine svanì … E infine dell’eterno perpetuarsi: … ed un sorriso di pianto,/è l’ultimo dono che mi resta/tra i simboli dei miti/che uniti noi ascoltammo/fulgenti di bellezza.
   E si chiude con un mito tra tutti assoluto, ineguagliabile, irrinunciabile: il mito della bellezza, che qui non è solo riferito a quello della sua giovane compagna e a se stesso, ma anche alla bellezza degli antichi eroi della classicità a cui noi tutti popoli mediterranei ancora oggi ci sentiamo indissolubilmente legati.

                                 Salvatore D’Ambrosio


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