Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
Oltre
il Postmoderno
"Il Bandolo", un nuovo Manifesto
culturale
(Frascati, Sala degli Specchi, 13 gennaio 2014)
Con il termine Postmodernismo si fa riferimento alla
crisi della modernità nelle società a capitalismo avanzato, dominate da una
finanza globalmente estesa, da uno sviluppo macroscopico delle comunicazioni, dall'invadenza
della pubblicità e dall'enorme flusso di informazioni provenienti dal web. Perché si parla di crisi? Il
riferimento non è in senso stretto alla crisi economica e politica da cui siamo
attanagliati, ma più in generale al concetto decadente di civiltà che abbiamo
creato. Crisi e Postmoderno sono in fondo sinonimi, sono la stessa cosa. Ci
troviamo nella stagnazione, nell'impossibilità di andare avanti. La cultura si
è avvitata su se stessa e noi siamo incapaci di immaginare nuovi scenari, ci
rifiutiamo di farlo. Ne segue che fra Modernismo
e Postmodernismo non c'è cesura,
ma continuità.
Il pensiero postmoderno dichiara la fine del Modernismo, ma rimane
nella scia della modernità. Rispetto a questa non c'è opposizione, né
superamento. C'è soltanto posteriorità, accettazione pedissequa di eredità. Il
Postmoderno è la fine della modernità nel senso che ne rappresenta la
conclusione, il compimento. E' il raggiungimento delle premesse poste dalla
modernità. Non c'è nulla di nuovo, ma solo e soltanto gestione ripetitiva e schematica
di modelli già noti di civiltà. Tanto che potremmo definire il Postmoderno come
Manierismo della Modernità. In
pratica non si esce dallo statu quo,
non c'è spinta propulsiva, ed è questa la sola e vera differenza. Il
conformismo del Postmoderno è radicalmente diverso dal carattere trasgressivo e
ribelle della Modernità.
In ambito creativo
non ci sono nuovi stili, ma citazioni di forme estetiche del passato miscelate
con spezzoni della moderna cultura di massa. Anacronismi ed elementi di cronaca
si presentano in totale promiscuità. Un manierismo eccentrico, dove si consuma
il trionfo del Nulla e si spengono i fuochi che avevano infiammato la mente ed il
cuore delle avanguardie all'incirca un secolo fa. Tuttavia fra quei fuochi e
questi carboni ardenti non c'è grande distinzione, ma continuità. Il Tutto e il
Nulla sono due facce della stessa medaglia assolutistica. Fuor di metafora,
intendo dire che la storia contemporanea, a partire dal Secolo dei Lumi, è la
storia della massificazione, dell'omologazione e del livellamento. E' la storia
del Pensiero Unico che ha trovato nell'odierna globalizzazione la sua realizzazione ottimale.
Cosa fare per uscire
dal pantano? Tornare indietro significherebbe tornare al Medioevo, ed è
un'assurdità. Non ha senso opporre alla cultura della globalizzazione una
cultura della frammentarietà. L'identità perduta è altrove. Non sta nel
passato, ma dentro noi stessi. Le radici non sono nella storia, ma nella patria
interiore. Le origini non si trovano all'inizio dei tempi. Non sono originarie, ma sono originanti. Sono archetipiche e non storiche, per cui stanno fuori
dal tempo, ed è per questo che sono sempre attuali. Sono qui ora, pronte a riaffiorare
in qualsiasi momento, a dare origine a nuovi e inediti percorsi creativi. Per
uscire dalla palude, allora, dobbiamo iniziare a cercare dentro noi stessi,
nella nostra humanitas, nella nostra essenza,
nei fuochi della nostra interiorità. E' questo che manca nella cultura
orizzontale e piatta che abbiamo creato.
Per bilanciare gli
eccessi dell'esteriorità, i rumori assordanti del mondo, le aggressioni del
vivere sociale, occorre coltivare il silenzio ed estendere la conoscenza del
profondo. La cultura dell'Apparire non deve essere demonizzata perché ha il suo
indiscutibile ruolo da svolgere. Bisogna stare attenti a non farla degenerare,
a non farla divenire patologica, e ciò è possibile soltanto bilanciandola con
un'adeguata cultura dell'Essere, ovvero della propria essenza, della propria
patria interiore. L'individuo deve approfondire la conoscenza di se stesso. Solo
così può migliorarsi e affievolire i danni di un ego tutto proiettato nel pubblico,
ovvero nel lato esteriore delle cose. Quegli eccessi non si superano facendo
ricorso al Noi (sostituendo l'Io con il Noi), perché in tal modo si resta comunque ancorati
all'orizzontalità, totalmente immersi nella cultura dell'Apparire.
Annullare l'ego è impossibile, ma superarlo si può. Come?
In un modo soltanto: riconoscendo e abbracciando il livello più profondo della
soggettività. Un conto è l'Ego, un conto è il Sé. Lo scavo interiore non deve essere
confuso con il solipsismo, con l’intimismo, con il ripiegamento dell'individuo
su se stesso. L’individuo non è una monade, appartiene alla comunità, è un
soggetto di relazioni. A partire però dalla relazione con se stesso. Se si
salta questo primo anello della catena relazionale, salta tutta intera la
catena e le relazioni si fanno inautentiche. E' da sfatare la leggenda che
l'individuo sia sempre e comunque egoistico, che l'individualità sia sempre e
comunque sinonimo di individualismo, di meschinità. Esistono individui aperti,
generosi, altruisti, aperti ai venti dell'universalità.
Ciò significa che
l'universale è dentro noi stessi e che non può essere avvilito ai livelli del
pubblico consenso. L'universale è quello che noi realmente siamo, è la nostra
originalità, la nostra identità profonda, la nostra creatività del tutto
singolare. E' facendo questi percorsi che la cultura e l'arte si possono
rinnovare. Ed è questo il capo della matassa che il Bandolo vuole trovare. Non ce l'ha in
pugno, ma lo vuole trovare. L'istanza fondamentale è questa, e molte altre se
ne aggiungono a corollario. Come ad esempio il risanamento del mercato, il risanamento
del professionismo e dell'imprenditoria culturale. Tutto ruota intorno
all'esigenza di rinnovamento, che è esigenza
di nuove risposte al bisogno ancestrale degli uomini di capire se stessi.
Ciò che occorre è uno sforzo generoso e grandioso di rifondazione del mito, una
reinvenzione possente del senso e del valore della vita. Non è vero che il
tempo dei miti sia finito. Finita è la mitologia,
non la mitopoiesi. Si sono estinte le
favole logore e stanche del passato, non la capacità di sognare, di dar corpo a
nuove cosmogonie, a sorgive rivelazioni del significato o dei significati della
vita. E sia pure facendo rivivere in modo nuovo le favole antiche. Noi artisti
dobbiamo tornare a farci ispirare dalle Muse, aprendo nuovi cicli di
passioni vitali, di avventure e stagioni culturali, di inedita energia
creativa. In assenza di ciò resta soltanto il
virtuosismo vanitoso di sciocchi mestieranti (quali siamo diventati) che
pensano a pubblicare i propri libri, a fare le proprie mostre, a vincere i
propri premi, a promuovere se stessi e i propri affari, le proprie consorterie
ed in breve la propria carriera, la propria affermazione personale, il proprio tornaconto
ed il proprio ego.
Franco Campegiani
Ero presente alla serata del 13 gennaio, nella Sala degli Specchi del Comune di Frascati e mi preme rinnovare il mio plauso al carissimo amico Franco per la sua relazione, che ha evidenziato i punti - chiave del Manifesto IL BANDOLO, promosso da lui e dall'altro caro amico Claudio Fiorentini.
RispondiEliminaCredo fermamente che solo se riusciremo a superare quella che definirei l'ipertrofia dell'io, potremo nascere nuovi, anche se nella stessa società o vita, che dir si voglia, mettendo in risalto l'uomo che opera umilmente accanto all'altro uomo ed asservisce il proprio compito alla Cultura, intesa come patrimonio di conoscenze, nozioni, tradizioni, fondamentali in primis per la formazione della personalità del singolo e, in secondo luogo, per l'innovamento della società. Da soli non possiamo sperare in una crescita culturale. Occorre andare verso le altre realtà, stringere sinergie d'intenti, 'camminare insieme'. E, paradossalmente, l'espressione 'andare verso' corrisponde al senso letterale della parola competere. Deriva, infatti, dal latino - cum e petere - e significa incontrarsi, non gareggiare...
Complimenti ai promotori e un grazie di cuore a entrambi per avermi voluta al loro fianco!
Maria Rizzi
Cara Maria, la tua vicinanza ed il tuo incoraggiamento sono fondamentali. Insieme a Claudio e ad altri abbiamo iniziato questo percorso che punta all'abbiccì, ai valori elementari della cultura e della vita. Camminare insieme, come tu dici, è importante, purché ciascuno sappia anzitutto camminare in compagnia di se stesso. Grazie
EliminaFranco Campegiani
Già dal primo enunciato una cosa mi sembra chiara: Franco Campigiani ha colto nel vivo la questione e lo fa con misurata accuratezza, comprensibilità/trasparenza, diversamente da chi condivide la stessa esigenza, quella di dover rinnovare cultura e arte, ma lo fa con impennate che oserei definire “strane”, con esasperata violenza verbale e insofferenza verso gli altri.
RispondiElimina“Estendere la conoscenza del profondo- sostiene Campigiani - per uscire dalla palude” Io sono assolutamente d'accordo e lo sono ancor di più quando afferma che “esistono individui generosi, altruisti, leale ai venti dell'universalità.”
Il Nostro Nazario Pardini è un esempio sotto gli occhi di tutti.
Complimenti Campigiani, Lei mostra di possedere le caratteristiche tipiche di chi può “rifondare”.
Ubaldo de Robertis
Sottoscrivo, caro de Robertis, quanto lei dice a proposito del Nostro Nazario, esempio vivente di generosità, di umiltà e di spinte universali. La ringrazio per la condivisione delle idee, anche a nome di tutti i miei amici. Nutro tuttavia dei seri dubbi sulle mie capacità personali.
EliminaFranco Campegiani
Quelli che Franco espone in questo intervento sono temi sui quali innumerevoli volte ci siamo confrontati.
RispondiEliminaNon starò, qui, a ribadire la mia totale concordanza: intervengo soltanto per esprimere la mia soddisfazione ed il senso di stima profonda in coloro che mi hanno preceduto nei commenti. Sia Maria Rizzi che Ubaldo De Robertis - a mio parere - hanno colto il cuore del messaggio: me lo fanno chiaramente intendere le appropriatissime citazioni, che denotano la comprensione profonda del pensiero, il suo punto-chiave: l'individuo e la sua relazione con se stesso, senza la quale "salta tutta intera la catena e le relazioni si fanno inautentiche".
Grazie, quindi, e vogliate scusarmi se lo faccio anche a nome di Franco: è questione di affinità elettive.
Sandro Angelucci
Carissimo Sandro, la tua testimonianza è molto preziosa e ti ringrazio per il riferimento che fai alle affinità elettive. E' vero, ne abbiamo parlato più volte, il punto-chiave è proprio quello. Non può esserci rinnovamento della società e della cultura senza il rinnovamento degli individui dentro se stessi.
EliminaFranco Campegiani
Complimenti a Franco Campegiani per l’esemplare chiarezza del suo scritto, radicato nel terreno dei valori umanistici. Uno scritto che mi ha spinto poco fa a riprendere in mano due libri di Sebastiano Vassalli: AMORE LONTANO (2005) e LA MORTE DI MARX E ALTRI RACCONTI (2006). In entrambi (editi da Einaudi) si legge, in sovracopertina: “ Per volontà dell’autore questo romanzo non partecipa a premi letterari”. Non capita spesso da parte di un autore…o sbaglio?
RispondiEliminaAndrea Mariotti
Ti sono grato, Andrea, per il richiamo all'umiltà e per il contributo, come tuo solito, coltissimo che fai. Hai colto giustamente l'intento umanistico della mia scrittura. Un umanesimo, vorrei aggiungere, dell'interiorità silenziosa, più che dell'intelletto logorroico, assordante e sempre fragoroso.
EliminaFranco Campegiani
Concordo pienamente con quanto afferma nel suo encomiabile articolo sulla postmodernità l'amico Franco Campegiani e su quanto fin qui espresso dai colleghi e cultori dell'intelletto su detta pagina. Franco ha sempre sostenuto la palingenesi dell'uomo attraverso il suo partecipativo valore umanistico. Non mi meravigliano più i suoi pensieri in proposito, perché sono dettati dalla sua ferma convinzione verso una sorta di chiarezza generazionale che l'uomo del ns. tempo deve, per sua necessità adempiere, se vorrà sopravvivere alle temperie storiche ma anche umane e dei significati valoriali nel vorticoso caos della massificazione e della disgregazione umanistiche. Ci troviamo in piena crisi mondiale che coinvolge le anime, le coscienze e i popoli: un grande revisionismo logico/ricostruttivo di forme e di significati si rende sempre più necessario per aiutare l'individuo ad uscire dalla sua "debacle" culturale, senza rimanerne sconfitto e schiacciato da un esasperato individualismo che finge da irresponsabile destino del mondo. Pertanto condivido gli sforzi e i tentativi del Bandolo (curatori e seguaci compresi) e li invito ad insistere sul tema previsto, con tutta la mia approvazione e sentimento di gratitudine. Grazie Franco e Claudio, auguri sinceri.
EliminaNinnj Di Stefano Busà
Grazie a te, Ninnj, per queste parole lusinghiere e generose. L'approvazione di un intelletto raffinato e creativo come il tuo, da sempre indirizzato verso il connubio dell'etica e della poesia, è motivo di grande orgoglio per tutti noi. Siamo in piena crisi autodistruttiva e non resta che credere nelle possibilità palingenetiche dell'uomo e della cultura. Accetto i tuoi auguri con vera gratitudine, unendo alla mia anche quella di Claudio e degli altri amici.
EliminaFranco Campegiani
Alcune riflessioni. La condizione postmoderna è un saggio importante di Lyotard che Campegiani riprende con sintesi efficace nella prima parte del suo contributo, fulminante nel suo giudizio conclusivo: “C'è soltanto posteriorità, accettazione pedissequa di eredità” .Dalla riflessione critica letteraria è proliferato un dibattito italiano (Ferroni, Ceserani, Luperini, Eco…) molto interessante e non solo storicamente. Varrebbe la pena di rileggerlo.
RispondiEliminaSe la riflessione sul Postmoderno riesce a ispirare- col dissenso o col consenso- nuovi ripensamenti, gusti, nuovi approcci alla scrittura, un nuovo ciclo di passioni, la ricerca di favole non solo individuali, possibilità di elaborare nuovi miti, avventure culturali e di energia creativa, una funzione cognitiva …sia il benvenuto. Non certo se il suo intento, anziché di attraversare lo stagno, sia quello di restarvi affogato.
Giulio Ferroni parla oggi, reagendo al citazionismo esasperato , al trionfo del Nulla e di un’etica della cultura, in modo da rispondere con responsabilità ad una situazione di eccesso e vanificazione al contempo, che rappresenta un “fenomeno di portata mondiale e di diffusa situazione di miseria culturale e umana. La letteratura è ancora necessaria, a patto che recuperi la sua funzione cognitiva in un orizzonte di responsabilità e di interrogazione del destino della parola e del mondo”.
Eppure la scrittura sembra oggi sprofondata in una palude culturale. ( palude, pantano dice F. C.)
Perché si scrive? Molti forse troppi scoprono una loro “vena”dilettantesca che credono appartenga al mondo della letteratura e contribuiscono in tal modo alla sua inconsistenza, giocano- consapevolmente o no- un gioco al ribasso “ancorati all’orizzontalità”(F:C.) e al degrado del gusto, riducendole al massimo a strumento di consolazione: “scuola dello scorrevole nulla”, come dice icasticamente Giulio Ferroni . Anche Franco Cordelli, in «la Lettura» ,2014, ha richiamato alcune di tali questioni. Ha perfino elaborato, in base ad una propria “percezione”, un Parlamento della Palude che, senza voler fare valutazioni di merito, suddivide una settantina di autori in sei gruppi. Li cito. A sinistra troviamo i Novisti: “Un che di simile a una casta di incerta memoria politica, erede di una tradizione di stile e rigore e i cui esponenti, per quanto sempre in prima linea, faticano a ritrovare l’antico vigore”. Esternamente a questi, i Dissidenti: “Sparuta e ideologicamente incoerente raccolta di nomi di irriducibili guardiani dell’hic et nunc”. A destra, i Conservatori: “Quanti mostrano un’orgogliosa indifferenza per il tempo che passa e sono spesso riconosciuti in quanto sempre reattivi a ciò che viene di sinistra presunto”. All’estrema destra, Vitalisti “si caratterizzano per un’aggressività verbale e una vistosa muscolarità”. Al centro, come pertiene all’ago della bilancia, i Moderati: “Una forza ad alta vocazione istituzionale pronta ad assumere sulle proprie spalle il ruolo che la società culturale gli riconosce”. Marginalmente, il Gruppo Misto: “Composto da minoranze, transfughi e orfani”. A parte, i Senatori a vita “Assisi nel distacco della loro indiscussa celebrità, guardano con relativa attenzione a quanto gli accade intorno.”
Una tassonomia severa e polemica, forse una provocazione. Lo scrittore, se vorrà essere tale, dovrà sottrarsi alle ossessioni dei target precostituiti e alla visibilità ad ogni costo. con esigenza autentica di confrontarsi apertamente con la confusione e l’eccesso della comunicazione, svuotandone le illusioni per la ricerca dell’essenziale, “ l'universale è dentro noi stessi”, l’impegno nell’ascolto del mondo, e disposizione a “toccare il cuore del linguaggio”:questo il compito che spetta agli scrittori. Ovunque possano essere, ma fuori dalla palude. Auguri al Bandolo.
M. Grazia Ferraris
Ringrazio Maria Grazia Ferraris per questo contributo estremamente chiarificatore ed incisivo. Partendo da Lyotard e dalle sue analisi sul Postmoderno, ella evidenzia le gravi lacune della cultura attuale sulla scorta di studiosi come Giulio Ferroni, che sottolinea la perdita della "funzione cognitiva" della letteratura, e di Franco Cordelli, con la sua provocazione tassonomica degli autori postmoderni. Lo scritto della Ferraris arricchisce la presente argomentazione di note critiche interessanti e vivaci, fino a concludere, in grande sintonia, che lo scrittore dovrà "confrontarsi apertamente con la confusione e l'eccesso della comunicazione, svuotandone le illusioni per la ricerca dell'essenziale". Ci troviamo sulla stessa lunghezza d'onda eovviamente non posso che gioire di tale convergenza di vedute. Un caro saluto.
EliminaFranco Campegiani
Caro Franco, mi piace molto questo stile, che caratterizza da tempo gli interventi sul blog, interventi impegnati ma empatici, che Nazario Pardini, titolare e gentlemen, si merita.
EliminaA proposito di Bandolo. Dove si può leggere dei vostri lavori, in modo da poterli seguire, per una che come me è tanto distante da Roma? Un saluto
M. Grazia Ferraris
Il Bandolo è presente, con il suo Manifesto, su alcuni blog, siti e portali di cultura. Ci sono traduzioni che stanno circolando all'estero e la sigla figura anche su facebook in una pagina gestita dallo scrittore-pittore Claudio Fiorentini. Di tanto in tanto si organizzano incontri presso centri e associazioni culturali, in particolare presso la galleria d'arte "Il Polmone Pulsante" (Salita del Grillo, Roma). La presenza più massiccia e prestigiosa è comunque su questo blog letterario, grazie alla generosa ospitalità di Nazario Pardini. Un centinaio di firmatari, fra artisti, scrittori e gruppi culturali diffusi su territorio nazionale, testimonia l'interesse intorno ai temi suscitati, ma Il Bandolo non è un'associazione, non ha una struttura organizzativa e non dispone di fondi di nessun tipo. E' e vuole essere una pura e semplice provocazione culturale, la cui promozione è affidata a coloro che spontaneamente sentono di poter aderire. Chiunque può farlo, e dovunque, concordando con i promotori le proprie iniziative, purché animato dal desiderio di uscire dalla palude.
EliminaFranco Campegiani
Come si fa per uscire dalla palude? Bella domanda. Vogliamo provare a delineare un cammino? In fondo, questa è l'idea del Bandolo, trovare l'identità di un movimento - che esiste, è vivo, ma disorganico - e unendo le forze che lo animano sotto una stessa bandiera di valori, colmare un vuoto, il vuoto di cui si va dibattendo. Secondo me ora occorre abbozzare una lista della spesa, questo per rendere il nostro lavoro più chiaro per tutti. Questa lista sarà criticata, modificata e completata, comunque sarà arricchito dal contributo di voi tutti. Alla fine forse riusciremo a definire un “metodo” che dovrebbe pian piano portarci alla depaludizzazione.
RispondiEliminaImmaginiamo, quindi, per un attimo che ci troviamo davanti un artista del post-post moderno, e che in una intervista ci dica ciò che lui ha fatto per diventare quello che è. Poniamogli domande e sintetizziamo le risposte. Vediamo:
• Fare un bagno d’umiltà.
• Imparare a riconoscere il richiamo del Sé e non confonderlo con il richiamo dell’Ego.
• Riconoscere la voce della Musa.
• Seguire la vocazione e non la necessità o la convenienza.
• Cercare la critica e praticare l’autocritica per evitare di crogiolarsi nel piacere effimero di vedere le sue opere pubblicate, esposte o rappresentate, fissando come obiettivo la crescita interiore.
• Condividere le idee invece di tenersele per sé, perché le idee vanno usate, consumate, sparpagliate senza paura, a questo servono, e comunque più le usiamo e più ne abbiamo, perché le idee non finiscono mai.
• Pubblicare meno, ma pubblicare meglio.
• Spingere chi gli è vicino a pubblicare meno, e pubblicare meglio (stesso discorso vale per esporre, rappresentare, etc…)
• Non curarsi dell'’autocompiacimento, o farlo durar poco.
Sembrano banalità, vero? Ma se le scriviamo, forse è perché tanto banali queste parole non lo sono.
Lascio a voi l’arricchimento o la semplificazione del codice dell'artista post-post moderno.
Claudio Fiorentini
Ovviamente, Claudio, mi trovo in piena sintonia. Questo, a mio parere, è l'abbiccì di ogni autentico spirito creativo e non ci sarebbe bisogno di ricordarlo se non lo avessimo dimenticato. Ma quante altre cose (elementari, non banali) abbiamo dimenticato! Basta, diamo ascolto ai lettori.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Hoelderlin fu il primo a chiamare "aperto" lo spazio che fu chiuso dall'oblìo dell'essere, quello spazio né "personale" né "impersonale", né "interiore" né "esteriore", dove la distinzione io-natura non aveva ancora avuto luogo. La grecità primeva esperì il senso dell'essere e creò quelle parole prime del pensiero occidentale il cui oblìo accade già nelle letture aristoteliche e nel tradurre latino. Con Hoelderlin, appunto, il richiamo dell'"Aperto" ri-evoca la possente Parola Prima di Anassimandro, il detto più antico del pensiero occidentale, quell'"Apeiron" che sente e pensa la verità dell'essere come infinita-indeterminata-incommensurabile. Dunque, ineffabile.
RispondiEliminaBisogna essere coraggiosi, Franco. Folli, se ci viene concesso, e capaci di dichiarare l'estinzione di tutto il bagaglio all'interno del quale continuiamo a pensare e parlare. Lo stesso linguaggio dichiara le parole "termini", "definizioni", suggerendoci che la storia del linguaggio non è che l'immagine di una progressiva frammentazione del mondo e della perdita del senso dell'essere come "periechon", "onnicomprensivo". Questo è problematico, Franco. In una storia che dimentica cosa le cose siano perché pensa a valutarle, forse il compito dell'artista non è proprio recuperare e riproporre le cose per quello che sono e non per quello che valgono?
L'otre vecchio non può contenere vino nuovo. L'ammonimento di Gesù va oltre il marciume in cui la sua figura è stata confinata e conduce chi ha orecchie da intendere alla destrutturazione di tutta la "conoscenza" fino al silenzio. Nessun bambino dovrebbe più essere costretto all'"istruzione" che ne fa solo uno "strumento" per la "struttura"; solo così si apre la possibilità di un nuovo senso dell'essere, di parole mai dette e pensieri mai pensati. Ma questo la nostra civiltà non è neanche in grado di immaginarlo.
L'infanzia psichica della nostra specie, poeticamente chiamata "volontà di potenza", si sente padrona, dominatrice, vincitrice. Pensa la morte come fine della vita e vuole "sconfiggerla". Ha paura. Pensa che i numeri e il denaro siano valori stabili e incorruttibili e trasforma tutto nella loro apoteosi. In questa impresa, quella che sembrava essere la funzione di punta, la tecnica, si rivela invece l'orizzonte dell'annichilimento di ciò che dell'essere umano avevamo concepito finora, perché l'apparato scientifico-tecnologico fa dell'uomo un funzionario e null'altro. Storia, verità, senso, significato, fede, dubbio, cultura, pensiero, e quant'altro sentivamo essere i tratti certi della nostra identità, si dissolvono nella logica dell'autopotenziamento assoluto della Macchina, che compie così il percorso della volontà di potenza eliminando chi l'ha posta in essere. Il mitologema del Golem e dell'apprendista stregone suona come avviso. Forse lo sapevamo già.
In questo contesto va pensata e vissuta la missione della mitopoiesi. Ma chi può cogliere il prezzo da pagare? Qual è l'entità reale del superamento? Parlare della necessità del superamento con parole logore e consunte, esse stesse da superare, non è perpetuare il pantano potenziandone così l'azione dissolutrice? Quali "avanguardie" non sono altro che funzioni accelerate di una autodissoluzione necessaria? Hanno già spiccato il volo gli uccelli possenti capaci di volare oltre? Si tengono lontani dai nostri sguardi o restano ancora nascosti in attesa della notte?
Ascoltiamo e ascoltiamoci.
Vito Lolli
Caro Vito, condivido profondamente la tua esortazione all'ascolto. La mitopoiesi non può spiccare il suo volo al di fuori di questa condizione essenziale. Bisogna disporci all'ascolto della verità, alla ricezione dell'onda che viene dal mistero dell'Oltre e che impropriamente chiamiamo Essere ("impropriamente" perché è innominabile ed impensabile; ma ascoltabile si, in rivelazioni che avvengono nella più privata confidenzialità). Era questo il "daimon" socratico, ed era questa la cosiddetta "musa" dei poeti e degli artisti: termini simbolici che, se diventano feticci, come purtroppo accade, smarriscono ogni valenza di arcana verità. Ciò che a mio parere è indispensabile per disporci all'ascolto di quel mistero che ci intride e ci avvolge, generandoci e rigenerandoci nella vitalità, è il silenzio, il vuoto mentale, la distruzione della superbia, la demolizione dei pregiudizi, degli schemi e delle gabbie dove ci rifugiamo per il timore che abbiamo della libertà. Ma fin quando non abbattiamo questa diga (mentalmente, va da sé), le acque nuove e torrenziali dell'Oltre non potranno invadere la valle della storia, avviando inediti e creativi percorsi di civiltà. Grazie per questo ulteriore contributo.
EliminaFranco Campegiani