Carissimo Cinnirella,
lei ha pienamente ragione. La poesia non è
uno scherzo, né può essere un passatempo. Ci sottopone a delle fatiche non
trascurabili; ad un lavoro attento e ad una autoptica revisione della parola e
dei suoi nessi. Sì, è vero che la prima fase della produzione artistica è fatta
di spontaneità ispirativa, di quello stato di grazia che gli antichi ritenevano
donato da una Musa. Ma non è sufficiente. Subentra poi una fase di attenta
perlustrazione. Ed è molto importante studiare, conoscere le regole, i vari stili,
e soprattutto arricchire il dizionario personale, perché quanto più grande è il
serbatoio tanto maggiore è la possibilità di dare corpo al nostro magma
interiore. O se si vuole alla nostra creatività. Ma una cosa è certa: il
denominatore comune dell'arte poetica esiste e va rispettato; e intendo per
tale alcuni fondamentali imprescindibili: sentimento, immaginazione,
musicalità, e memoriale; natura che si fa coadiutrice attenta del nostro dire,
prestandoci rumori e colori indispensabili alla cristallizzazione dei nostri
stati d'animo. E non farei una netta divisione fra antico e moderno. Non è vero
che tutta la nuova letteratura sia orientata verso una poesia/prosa. Io credo
che necessiti creare continuità. Il futuro non ha senso senza il piedistallo della
Storia. E ci sono tanti poeti che offrono un bel canto senza cadere nella
non/poesia. Il verso non si può permettere di andare a capo quando
vuole: deve rispettare quelle regole che sono insite prima nella parola poi nel
verso stesso. Se c'è una divisione netta da fare non è fra antico e nuovo (la bella poesia è sempre tale sia quella di Saffo, che quella di Montale), ma fra
versificazione e prosa. Questi sì che sono due stili da tenere ben separati e da non confondere con tanti sperimentalismi.
Lasciamo, comunque, al lettore valutare liberamente i diversi messaggi e trarre le dovute
personali conclusioni.
Nazario Pardini
POESIA O VERSI IN PROSA
Nell’edizione 2014 di un premio di poesia
svoltosi in terra Campana, la
responsabile della sezione -silloge edita- nella motivazione generale facente
parte della relazione conclusiva della giuria ha scritto testualmente : “
Nelle varie sillogi ho osservato, in
primo luogo, una grande diversità sia nella costruzione della -struttura
poetica- che del –verso- . Questo conferma l’ipotesi che la poesia
contemporanea si è molto allontanata dalla poesia “classica”, quella della nostra
tradizione letteraria. Questa seguiva sempre un metro regolare, utilizzava un
numero maggiore di figure retoriche ed ubbidiva a precisi schemi formali. La poesia odierna, al contrario, sembra che si sia sbarazzata delle regole
fisse, si fa sempre più simile alla prosa e sperimenta versi variegati, spesso
privi delle figure retoriche più tradizionali ( rime, assonanze, metafore,
similitudini, anafore …). Sempre più frequentemente si utilizza il “ verso libero “ e la “poetica della
parola” dove la frase si riduce e si
valorizza la parola, scelta per intensità ed essenzialità espressiva. Queste riflessioni
sono legate però ad altri
interrogativi: il primo è il seguente: è vero che la scarsa abitudine alla lettura
penalizza, in primo luogo, il testo poetico in quanto si considera questo un
testo particolarmente complesso e difficile da comprendere?
A metà
dicembre scorso ho conseguito l’ennesimo premio ( 3° Classificato ) in
un concorso letterario nazionale, sufficientemente rinomato, svoltosi nella mia Sicilia e, acquistatane l’antologia
(consuetudine oramai consolidata), ho costatato
che quanto di pensiero espresso dalla componente della giuria di cui sopra si toccava con mano non tanto perché venivano meno
quegli schemi formali, quelle regole
fisse (scritte o non scritte), quanto per la insipienza del dettato poetico
intesa come incapacità a calamitare l’attenzione dovuta del lettore. Sinceramente
ed obbiettivamente, mi duole dirlo, anche
su questo blog, delle volte, vengono
postate delle poesie che, a mio modesto avviso, rientrano nella valutazione di
cui sopra pur elogiate dal presentatore e/o dai vari commenti che ne seguono.
Dando per scontato che la produzione
poetica contemporanea italiana è tutta o quasi a “verso libero” ne deriva che sarà più facile varcare quella
linea sottile, conseguentemente venutasi a determinare, tra la poesia e la
prosa, baypassando o eludendo così quei paletti, quei punti fermi che ne
determinano quei limiti netti ed invalicabili per i quali un testo si definisce poesia e non prosa. Semplificato così al massimo il fare poesia
ne consegue che tutti possiamo cimentarci a scrivere poesie o, mi si perdoni, prosa in versi e non sarà certo molto faticoso
e impegnativo e, difficilmente necessiteranno di tempi lunghi e notti in veglia
per cogliere il massimo della propria espressività anelando
eccome quel momento felice di estrosità creativa
che raramente o non facilmente, purtroppo,
coglie l’autore nell’atto compositivo. Pertanto,
si può affermare che la poesia a -verso libero-, in un domani a medio termine, se
non da oggi, è sinonimo di prosa scritta
in versi. Se così è o sarà, quale sarà il nuovo strumento o metro di
valutazione di un testo poetico ? Quale la nuova scaletta dei valori ineludibili
perché di quel testo si possa dire che è una bella, eccellente o per niente poesia
? Fermo restando che la poesia non è definibile e quindi giudicabile, come
diceva Ungaretti, mi pare più che
penalizzante valutare un testo poetico con il solo metro dei bei vocaboli incastonati qua e la nel testo per
attirare l’attenzione del potenziale
lettore, non vi pare?. Il Prof
Pardini in una sua relazione sulla
poesia ebbe a dire e scrivere che: “ Anche la poesia così detta libera deve
attenersi a dei principi e chi la scrive non è libero da vincoli espressivi e
da conoscenze di armonia e fluidità; deve avere presente il valore del verso in
tutte le sue funzioni di forma e di regole che la poesia stessa contiene in
quanto tale. La regola è insita, non estranea alla espressione poetica”.
Pasqualino Cinnirella
DEBBO CAPIRE
Debbo capire
questi miei giorni a scalare
che senza
appigli mi rotolano dalle mani.
Debbo capire
perché
il tempo non
frena le stagioni,
perché la notte
non ha riposo
anche senza
luna che da lontano
svela al
plenilunio
segreti d’ombre
dagli anfratti
e abissi di
pensieri dalla mente insonne.
Profonda deve
pur essere la ricerca
se profondo è
l’arcano … quindi,
debbo ancora indugiare,
indagare,
chiedere allo
sciamano -quale il fine.
Sapessi aprire
gli occhi della mente
(come finestre
al sole del mattino)
potrei
scrutarne nitido il mistero
ché nel chiaro …
mi si sveli il tutto.
Consapevole
poi, potrei finalmente
-rivivere- il giorno che mi resta
come un tempo,
come fanciullo
che guarda
l’orizzonte ad oriente
e sorride … al
suo domani.
Pasqualino Cinnirella
Mag. 08-Gen. 09/22
La questione sollevata dal professor Cinnirella è oramai tema di discussione all’ordine del giorno.
RispondiEliminaPersonalmente evito le locuzioni “prosa in versi” o “poesia in prosa”, perché ossimori insignificanti, giacché prosa e poesia sono due espressioni artistiche nettamente separate come sottolinea il professor Pardini e mi associo, piuttosto, alla definizione di “non- poesia”.
La tendenza corrente è quella di “spacciare” per poesia ciò che in realtà è prosa e talvolta pessima prosa.
Dove sta la linea di confine tra prosa e poesia?
Credo sia sufficiente un esempio per capirlo.
Se proviamo a scrivere sotto forma di versi , andando a capo come capita o come ci sembra più adatto, un brano tratto dall’incipit de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, agli occhi dei profani e dei poco pratici di linguaggio poetico, apparirà una poesia.
Esempio:
“Per un buon pezzo, la costa sale
con un pendìo lento e continuo;
poi si rompe in poggi e in valloncelli,
in erte e in ispianate,
secondo l’ossatura de’ due monti,
e il lavoro dell’acque.
Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti,
è quasi tutto ghiaia e ciottoloni;
il resto, campi e vigne,
sparse di terre, di ville, di casali;
in qualche parte boschi,
che si prolungano su per la montagna.
Lecco, la principale di quelle terre,
e che dà nome al territorio,
giace poco discosto dal ponte,
alla riva del lago,
anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso,
quando questo ingrossa:
un gran borgo al giorno d’oggi,
e che s’incammina a diventar città…”(Alessandro Manzoni)
Ma, come si può notare, non è l’andare a capo che rende questo brano di prosa descrittiva, una poesia. Pur nella sua liricità, l’architettura del testo è tipica della prosa e il linguaggio utilizzato adeguato. La frase: “Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio…” è un dettaglio geografico inutile in una poesia, così come impoetiche sono espressioni come “al giorno d’oggi”, “nel lago stesso”, “è quasi tutto ghiaia e ciottoloni”. Anche camuffato con gli “a capo” il brano è riconoscibile come prosa e ad essa riconducibile.
Se, mantenendoci sempre nell’ambito descrittivo, analizziamo questa lirica di Mario Luzi, per quanto scritta in versi liberi, l’afflato poetico e la musicalità è subito individuabile:
Natura
DI Mario Luzi
La terra e a lei concorde il mare
e sopra ovunque un mare più giocondo
per la veloce fiamma dei passeri
e la via
della riposante luna e del sonno
dei dolci corpi socchiusi alla vita
e alla morte su un campo;
e per quelle voci che scendono
sfuggendo a misteriose porte e balzano
sopra noi come uccelli folli di tornare
sopra le isole originali cantando:
qui si prepara
un giaciglio di porpora e un canto che culla
per chi non ha potuto dormire
sì dura era la pietra,
sì acuminato l'amore.
La differenza non sta dunque in “ bei vocaboli incastonati qua e la nel testo per attirare l’attenzione del potenziale lettore”, né nell’ "a capo" selvaggio, ma nella proteiformità del canto e nella significanza delle parole. Come afferma Pardini nella sua introduzione: “Il verso non si può permettere di andare a capo quando vuole: deve rispettare quelle regole che sono insite prima nella parola poi nel verso stesso.” La lirica di Luzi ce lo dimostra.
Lorena Turri
Naturalmente sono decisamente (ma c'è bisogno che lo dica?) d'accordo con Nazario Pardini Pasqualino Cinnirella e Lorena Turri per il loro concetti espressi in questa pagina dello scoglio di Léucade. Come si fa a confondere la poesia con la prosa? può solo accadere a chi non ha nell'anima e nella mente la giusta conoscenza dei canoni e delle "regole" che stanno alla base della composizione poetica, e non mi riferisco soltanto alle regole già citate nelle note di chi mi ha preceduto, ma anche al senso della sintesi non solo linguistica che realizza (deve realizzare) la composizione poetica ed al senso di universalizzazione che deve avere la versificazione: cose profondamente diverse dalle regole della prosodia. Brava poi Lorena Turri ad aver proposto la prosa del Manzoni e la poesia di Mario Luzi, che contiene tutti i canoni cui ho succintamente accennato. Non se la prendano a male coloro che pensano che costruire un verso significhi tagliare una composizione in prosa disegnando una colonna di parole. Vorrei concludere con una domanda dopo un verso di Leopardi :"Era il maggio odoroso e tu solevi" chi può pensare che si tratta, qui, di una semplice citazione temporale di un mese dell'anno?
RispondiEliminaUmberto Cerio
RispondiEliminaCome non essere d’accordo con il signor Pasqualino Cinirella ed i concetti espressi dai commentatori. Il testo poetico ha le sue peculiarità che non sono quelle delle altre unità comunicative, ognuna di loro ha le proprie strutture e caratteristiche linguistiche. Non possiamo assolutamente considerare poesia quello che invece è prosa. Efficace l’esempio di Lorena Turri, dove è evidente quanto le differenze fra i due testi comparati siano notevoli. E come non capire quanto sia pregnante il linguaggio poetico all’interno del verso di Leopardi citato dal Prof. Umberto Cerio. Come cita il Prof. Nazario Pardini “ l’arte poetica ha un denominatore comune che va rispettato: sentimento, immaginazione , musicalità, e memoriale” sono gli ingredienti per creare un testo poetico capace di comunicare con l’umanità. Diversamente si ridurrebbe ad un’accozzaglia di parole senza identità. Il vero poeta considera le sue poesie come proprie creature. Ognuna di loro è connotata dal suo dna, ognuna è un pezzo del suo mondo in rapporto con altri mondi, ma nello stesso tempo c’è quel nucleo comune che è di tutti e permette al lettore di capire e percepire le parole scritte nel testo come fossero le proprie.