di Ninnj Di Stefano Busà
E' tempo di ripensare, di ripensare e ancora ripensare al
percorso fatto, dove dobbiamo andare, come arrivarci. La nostra civiltà è
arrivata ad una svolta letale: continuare così a brancolare nel buio di una
perenne contraddizione, di una inamovibile incapacità di proseguire, appare
peggio. E' più che evidente che siamo in una impasse secolare, vaghiamo,
persi in una nebbia che ci ostruisce le facoltà mentali, c'inaridisce lo spirito;
disorientati e increduli annaspiamo in una palude che non ci fa vedere la luce
di domani, il percorso da fare per raggiungere mete precise, finalità di
salvezza.
La svolta che ci ha trasferiti alla postmodernità è di stampo
paradossale, ci ha condotto attraverso un percorso impervio e difficoltoso ad
uno sbocco dal quale non sappiamo più uscire. La filosofia, la scienza, la
tecnica, le trasformazioni scientifico-sperimentali dei secoli appena trascorsi
ci hanno catapultati troppo in fretta e troppo lontani da una realtà
umana che davvero i ns. limiti non ci consentono.
Si è andati troppo oltre, nell'ansia spasmodica di allontanarci
dalla civiltà medievale, si è perso ogni facoltà di discernimento, ogni senso
della misura. Per alcuni secoli, la spinta propulsiva del progresso ha svolto,
per così dire, una fase mediatrice tra la scienza e la coscienza, la
civilizzazione e il progresso sono andati avanti quasi alla pari: tot
programmi di ampliamento, di rinnovamento, di scoperte e tot in risultati
umani, in termini di progresso, di libertà, di garanzie sociali.
Ora il meccanismo si è inceppato, non corrisponde più, o quanto
meno, si è allontanato troppo dall'obiettivo dei popoli, delle genti che hanno
confuso tutto: progredire non vuole significare mai andare oltre l'umano,
danneggiare il progresso ottenuto, inquinarlo, mistificarlo.
Le aspettative dell'individuo sostanzialmente sono rimaste
immutate, quel che è cambiato è il volto del mondo, si è trasfigurato, ha
assunto contorni repellenti, ha innescato il sistema del libero arbitrio fatto
a suo completo piacimento, senza più interpellare la morale, che è decaduta, si
è spenta, sono venuti meno i principi sacrosanti, le verità inconfutabili.
Tutte le contraddizioni religiose, culturali, storiche,
sociali sono venute alla luce in un sistema di vasi comunicanti che è
impossibile ormai arginare: ad ogni contatto avviene un'esplosione, il
clima risulta talmente incandescente da provocare asfissia, degenerare in lutto
e disperazione per gli abitanti del pianeta.
Oggi è proprio questa faglia a presentare la più grave
pericolosità, non è nulla chiaro, tutto continua a scivolare in un terreno
melmoso, infondato, senza via d'uscita,
Di conseguenza ogni giorno la situazione diventa più confusa e
complessa.
Da una parte la cultura postmoderna va compiendo la sua opera di
nichilismo: università, arte, giornalismo, scienza, letteratura per giungere
alle masse si fanno perentori, abusati, pronti ad offrire sempre più luccichio
di specchi per le allodole, che valori e significati atti a rinnovarci, a
rassicurarci sul progetto-uomo.
Ma oggi, alla luce dei fatti, le grandi narrazioni su come
eravamo e come saremo, non hanno più senso. Scivoliamo ogni giorno di più: dove
finirà la nostra storia? E avremo una storia? Il ritornello continua a ripetere
che la storia non possiede verità assolute, e l'unica verità è quella che non
c'insegna "nulla", nient'altro che le grandi favole, qualche volta le
più grandi fandonie, fallaci e (ir)ripetibili.
Si va senza alcun senso direzionale, in un tempo ciclico di
naturalismo permissivo e mordace, e perciò sostanzialmente privo di principi,
di valori, insensato e becero, pronto a prendere qualunque direzione
errata, a invadere ogni più piccolo frammento di lealtà, di coraggio, di buon
senso.
D’altra parte però il percorso da fare diventa ogni giorno più
ostico, soprattutto per quanto riguarda morale e politica (più in
particolare), imperversa la becera cultura dell'utile che utilizza strumenti letali e tristemente illegali per
giungere ai suoi lucrosi fini. La società continua ad utilizzare le
categorie del progresso, a suo uso e consumo, tende ad un modello che non è più
in auge: quello dello sviluppo, della crescita, del benessere comune, senza mai
più trovare la sostanza che li renda attuabili, soprattutto senza
ben delineare quali sono i presupposti.
Tutto è diventato senza regole, senza luce di
programmazione. Quali allora i sistemi per progredire, andare avanti? Quali
le condizioni fondamentali di un possibile progresso, avanzamento o
rallentamento in generale?
A questo quadro mancano le capacità orientative, mancano le
visioni in prospettiva, i numeri di fondo per essere credibile.
Ecco perché la società del ventesimo secolo è così malata, così
ottusa, senza remore, sfilacciata e presuntuosa, reagisce alla sua fine
imminente con sarcasmo e perfidia, con scatti di pauroso lassismo e (apparente)
disinvoltura, ma in realtà è disperata, annoiata, tragicamente oppressa da una
pseudolibertà che non detiene, da una morale che non rispetta, da un credo che
non è corrisposto da Dio perfino nella religione. Ecco perché non ha più
orientamenti, stimoli, simboli o miti da ostentare e voci autorevoli
e salde ad indicare itinerari e sventolare vessilli.
Restano gli strilli e gli strilloni a profetizzare la fine del
mondo.
In ogni periodo storico abbiamo assistito ad un decadimento, ad
una crisi d'identità: quando il motore umano è andato molto oltre le sue
possibilità, c'è anche motivo di stanchezza, di rifornimento delle energie
disperse, ad ogni arresto, può e deve esserci una ripresa,
può accadere che si verifichi una sorta di fermata per fare il pieno,
una sosta per raccogliere nuove forze vitali e proseguire con
nuova energia.
Dovremmo fare un'operazione di revisione della mente, traendo le
conseguenze che l'esperienza del passato ci ha messo dinanzi, cioé: che le
spinte evolutive dell'era moderna passano sempre attraverso fattori
distruttivi, per giustificare la presenza del male tra gli umani.
Soprattutto dovremmo prendere atto che queste forze fomentano la
recrudescenza dell'uomo a comportamenti abietti.
Dobbiamo imparare a fermarci in tempo davanti a catastrofi imminenti,
come l'inquinamento dell'aria, il buco dell’ozono, le risorse d'acqua che si
esauriscono sulla terra, lo scioglimento dei ghiacciai, il clima che modifica
l'assetto del pianeta, ridefinire le ricchezze planetarie, essere parsimoniosi,
non incrementare sprechi che potrebbero essere letali per gli abitanti della
terra, imparare a padroneggiare le risorse con oculatezza, a favore degli esseri
umani, non a favore dell’edonismo e dell’egoismo più interessati e malvagi.
La sfida allora è ridefinire i contorni e i contenuti di
un'umanità diversificata, ma pronta a progredire con nuovi parametri, con nuove
regole e possibilmente con spinte evolutive diverse.
Ninnj Di Stefano Busà
Uno scritto nel contempo accorato e asciutto, pienamente condivisibile e da non farsi sfuggire.
RispondiEliminaAndrea Mariotti
Carissimo Andrea, grazie di cuore...che bello ritrovarti! Ci siamo un po' persi di vita, ma ti ricordo con grande stima e amicizia.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
E', uno di quei tanti ormai -sermoni laici- che la prof. Busà ci impartisce, dall'alto della sua iper sensibilità sociale, a ognuno di noi su cui meditare profondamente al fine di incarnare nel proprio DNA tali valori e principi per poi praticarli giorno dopo giorno, non foss'altro per il domani dei nostri figli dei quali abbiamo un oneros debito morale. Auguriamoci sempre che la voce della Prof.ssa Busà, insieme a quella di tante altre della stessa tonalità, non sia e non resti " una voce che grida nel deserto ". Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaPienamente d'accordo con l'analisi svolta dalla Busà. La crisi che investe il mondo intero è, prima d'ogni altra cosa, crisi etica, crisi di moralità. I problemi sociali sono in realtà problemi morali e, come tali, investono innanzitutto i singoli nei loro comportamenti quotidiani. E' l'individuo il cuore della cultura e della società. Per bonificare il mondo (non per santificarlo, ma per renderlo più vivibile) occorre pertanto bonificare le individualità. Domanda: chi può bonificare l'individuo se costui non accetta di bonificarsi da sé? I limiti imposti dalle leggi non sono sufficienti, se è vero - come purtroppo ci insegna l'esperienza quotidiana - che "fatta la legge è trovato l'inganno". Occorre andare oltre, perché i codici imposti non ottengono il risultato sperato. Moralità non è moralismo, per cui non c'è via di scampo: gli individui devono trovare dentro se stessi la forza, arrivando a comprendere che la vera libertà consiste nel non approfittare della libertà. Può sembrare utopistico, ma è l'unica strada realmente percorribile, ed io non ho dubbi che, prima o poi, questo accadrà. Durerà quel che potrà durare, ma intanto si potrà tornare a vivere una vita più umana.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Carissimo Franco, io non sarei così ottimista sul ravvedimento dell'individuo a fronte del suo male (anzi lo definirei piuttosto maleficio) perché è la peggiore sventura che possa aver coperto d'infamia il genere umano della postmodernità. In ogni modo, la speranza esiste, che in fondo al tunnel l'uomo "moderno" possa tornare "a riveder le stelle..." ma sarà solo la consapevolezza a inibire l'uomo, nessuno potrà aiutarlo a venire fuori dalla palude, se non si tira fuori sa solo, e per giungere a ciò, c'è bisogno di legalità, di purezza, di moralità , di ordine, di pulizia interiori, altrimenti non ha alcun senso neppure sperare...la differenza tra me e Franco è nell'opinabile dissidio tra l'uomo e la sua anima, lui crede ancora nella bonifica, io sono più scettica, per il resto concordiamo. Saluti a tutti.
EliminaNinnj Di Stefano Busà