Luigi
Gasparroni: Voce di luna. Stampato in
proprio. Teramo. Natale 2014. Pg. 25
Nuova
plaquette (fuori commercio) questa di Luigi Gasparroni, che, pubblicata per il
Natale 2014, lega sentimenti,
sensazioni, abbrivi emotivi, e ricordi ad una natura che la fa da padrone in
questi versi tutti indirizzati a cristallizzare il senso della vita e
dell’esistere. Ad uno scavo interiore da redde rationem di grande soluzione
umana e di una inquieta meditazione sulla precarietà della vicenda terrena. Già
la copertina funge da prodromico avvio al messaggio introspettivo delle venti
poesie di cui si compone il volumetto. “Sulla copertina la collina con la casa
colonica abbandonata. È una visione che
ritorna spesso alla mente, perché la mia casa natale è in campagna a Cologna, Comune
di Roseto degli Abruzzi, che tra l’altro ricorda il paesaggio toscano…”, scrive
il Poeta. Quadri di una natura che incendia i suoi orizzonti al declinare del
sole. Immagini che tornano spesso a dare corpo a ricordanze di saudade spessore
emotivo: ora con La vecchia fontana:
Vecchia fontana che borbotti
ancora
il solito rosario di parole
confuse e senza voci,
accanto al tuo dolce fresco mi
siedo
e ricordo
notti di luna trascorse
tra un sorso e un bacio
quando l’anima dentro ci
ardeva
e inaridiva le labbra;
ora con sguardi vòlti alla notte:
Sopra la luna candida d’agosto
migrano le nubi.
Come è ferma questa notte!
(…)
Io veglio sul tuo caldo
respiro
e m’inebrio
(Notte),
dove
l’idillio iniziale si fa abbraccio totale di un forte ritorno erotico di
urgente profondità spirituale;
ed
ora in associazioni fra cieli azzurri ed occhi di una donna, fra rosso corallo
e tenero tramonto, o fra bianco lunare e notte chiara:
Azzurro come gli occhi di una
donna,
rosso corallo in tenero tramonto,
bianco lunare di una notte
chiara;
ogni uomo guarda il suo cielo…
(Cielo).
Voce di luna il
titolo. Ed è proprio la luna, questa magica e quanto mai romantica
accompagnatrice di rievocazioni
intimistiche a fare da sottofondo musicale a questo spartito di
euritmica sonorità. È ad essa che il poeta confessa tutto il suo pathos
esistenziale dettato dalla coscienza della fugacità del tempo:
(…)
Fanciulli seminudi sulla
spiaggia
attendono la luna.
Nel suono di conchiglie
la nostra breve estate s’è
disciolta (Breve estate),
o
dettato dalla inquietudine per la improbabilità di dare una risposta ai tanti
interrogativi della nostra vicenda:
(…)
Sono un uomo deserto
confuso da mille silenzi
e attendo un segno
da questo firmamento:
saprò mai chi sono?
(Guardo la luna),
o
dal contrasto fra la nostra terrenità e
lo sguardo rivolto all’oltre:
(…)
Un giorno saremo al di là
di questo magnifico cielo
e guarderemo con nostalgia
la terra ormai lontana (Terra
lontana).
Sì,
ma il Poeta pur affidandosi al Cielo, a quell’Immenso che ci sovrasta in cerca
di una risposta agli interrogativi che umanamente inquietano, crede così tanto
nella vita, in questa stupenda
avventura, che bramerebbe conservarne il ricordo in una:
Geometria di astri lontani,
musica d’angeli,
Dio remoto:
dacché
ogni uomo ha bisogno
del suo cielo.
Nazario
Pardini
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