Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade |
Rosa Elisa Giangoia, che ha al suo attivo
numerose pubblicazioni, tra cui un’edizione
delle Bucoliche di Virgilio con annotazioni in latino, nelle
sue liriche, fluide, armoniche e avulse da ogni tentazione ermetica, asserisce
che la Poesia non presenta, nel tempo, alcun progresso o mutazione, e
che i sentimenti vengono espressi dai Poeti negli stessi modi da
duemila anni. In realtà si potrebbe affermare il contrario: se é vero che
i sentimenti umani restano identici dall'età della pietra, è vero, anche, che
sono enormemente mutati nel modo di esprimerli.
Lo dimostra Rosa Elisa con le continue
variazioni stilistiche delle sue poesie, che testimoniano un'assidua e continua
ricerca del verbo, delle tecniche, e degli accorgimenti fonosimbolici.
"Nell’immenso vuoto dei secoli
possediamo solo parole
frammenti scampati al silenzio" - versi tratti dalla lirica "Parole".
Il poeta, ( uno come tanti, "operaio
dei sogni", per dirla con Pasolini),
concretizza l'emozione e la quotidiana resurrezione umana finalizzandole all'immortalità:
il linguaggio é simbolo della sua libertà e dell'utopia delle speranze
individuali. Al di là della finitezza umana, della morte fisica, del nulla che
tutto fagocita, sta la poesia, strumento d’indagine e di vita.
"Nei giorni della sua vita
in visione d’eterno
contemplava luce di pace
e mormorava parole di preghiera
mentre la sua carne
riposava in speranza" - versi tratti
dalla lirica "Rosa da Lima"
La seconda lirica, quanto mai attuale e
ricca di pathos, si distende su un registro semantico diverso.
Chiede in un mormorio lieve, simile alla
fiaccola della candela, l'ascolto del silenzio impregnato di preghiera della
donna peruviana, che si fa simbolo di un nuovo Cristo. Il suo sacrificio, nel mondo
diviso, resta annuncio o attesa di Resurrezione. E l'Autrice evidenzia, in
questo componimento,
quanto si possano mischiare gli echi della
poesia novecentesca con le realizzazioni forti e moderne di pienezza ontologica
personale ed esistenziale. Una sorta di religione della parola, una forma di
poesia pura, così assoluta da apparire quasi astratta. E per astrazione intendo
la maniera uniforme e perfetta di creare versi, di trasformare in lirismo ogni
sentimento, come se la realtà cessasse di esistere e ne prendesse il posto una bruma
musicale, un'ombra e una cadenza fascinosa.
"Tu ed io
ci ritroveremo nel nostro giardino
tra il melo e il ciliegio
quando saranno fioriti
e i petali si disperderanno
nel tepore della brezza
capace di confortarci." - versi
tratti dalla lirica "A Mino"
Mentre la terza lirica ci avvicina ad un
registro intimisto-allusivo, analitico-introspettivo, fuori da ogni
epigonismo, che non va interpretato come 'intimo', in quanto universalizzabile ed espresso con linguaggio di
rara, raffinata dolcezza. Dacché la poesia va al di là dell'individuo che
finisce, oltre la ristrettezza del nostro vivere, e la pochezza del nostro
esser-ci. Un dire tanto vicino al focus della metaforicità delle Muse
foscoliane, che con il potere del canto vincevano il silenzio della morte.
"Con i frammenti della mia vita
vorrei costruire i gradini
della mia scala a Dio". - versi
tratti dalla lirica "Vita"
Questo breve Canzoniere, che cristallizza
con i suoi versi tutta l’intimità più profonda della Giangoia, tutta la potenza
artistica di un'anima vaga, dispersa e inafferrabile, include la Lirica
"Vita": un verseggiare apodittico, una voce che penetra nella
spiritualità della Fede, intesa nell'accezione più calda ed intensa. I tre
versi citati, pur ridotti all'essenzialità semantica, toccano vertici di luce abbaglianti.
L'Autrice sembra invitarci, nei suoi
componimenti, a penetrare nella parte più profonda della nostra essenza: una
parènesi a ritrovarci o forse solo a meglio conoscerci. Insomma a individuare
quale strada intraprendere per il domani; un cammino che avvicini ai gradini verso Dio. L'onda musicale, dolce e avvolgente, non
vanifica mai il significato letterale, venato di dimensione speculativa e di
intuizione filosofica...
Maria Rizzi
Maria Rizzi
(Narratrice, poeta, saggista, organizzatrice di Premi Letterari)
ROSA ELISA GIANGOIA |
Rosa
Elisa GIANGOIA,
piemontese d’origine, residente a Genova, insegnante,
scrittrice e saggista, ha pubblicato tre romanzi (In compagnia del pensiero, 1994; Fiori di seta, 1998; Il
miraggio di Paganini, 2005), un prosimetron
(Agiografie floreali, 2004), un
saggio di gastronomia letteraria (A
convito con Dante, 2006), un’edizione delle Bucoliche di Virgilio con annotazioni in latino (2008), la raccolta
poetica Sequenza di dolore (2010), il
volumetto di riflessioni sulla poesia Appunti
di poesia (2011) ed il testo teatrale Margaritae
animae ascensio (2014). Per l’Assessorato alla Cultura della Regione
Liguria ha realizzato con Laura Guglielmi la collana (10 voll.) Liguria terra di poesia (1996-2001) e
per la Provincia di Genova, insieme a Margherita Faustini, i volumi antologici Sguardi su Genova (2005) e Notte di Natale (2005). Con Lucina
Margherita Bovio ha curato l’antologia di poesie-preghiere Ti prego (2011). Ha pure curato le antologie di poesie su Genova Tenui bagliori di pitosforo (2012) e
sulla Liguria Liguria schegge di poesia (2013)
e Tra l’ulivo e la mimosa, il mare (2014);
suoi racconti sono compresi nei volumi Il
delirio e la speranza (2012), Tra
parole e immagini (2013) e Amori
dAmare (2014).
E’ vicepresidente del Lyceum club di
Genova, fa parte del Direttivo del Centro Culturale Antonio Balletto. Ha
fondato l’Associazione culturale “Il gatto certosino” di cui è presidente.
Fa parte della redazione della
rivista “SATURA” e collabora a molte altre riviste. Ha vinto diversi premi
letterari ed è membro di numerose giurie di concorsi.
di Rosa E. Giangoia
·
9 gen. 1998
di Rosa E. Giangoia
IL MIRAGGIO DI PAGANINI |
LA VITA RESTANTE |
A CONVIVIO CON DANTE |
SEQUENZA DI DOLORE |
TI PREGO |
POESIE
Parole
Nell’immenso vuoto dei secoli
possediamo solo parole
frammenti scampati al
silenzio,
voci strappati alla morte
che sanno ancora parlare.
Anch’io voglio riempire la mia
stanza
con le parole che escono dalla
mia penna
prima che il silenzio le
corroda.
Rosa
da Lima
Nei giorni della sua vita
in visione d’eterno
contemplava luce di pace
e mormorava parole di
preghiera
mentre la sua carne
riposava in speranza.
Abitò il cammino dell’andare
sempre più in alto,
sempre più in fondo
dentro la sua anima,
dove una nube di buio
rischiarava la notte.
Per istanti d’estasi
pagò angosce
e desolazioni del cuore
con misura esatta
e trepidazioni sconvolgenti
nell’essere sproporzionate.
Il viso luminoso
si faceva testimone di Dio
per gli uomini.
Impregnò di dolore la polvere,
per darle un’anima
in ansia di riscatto
nello stupore dell’immensità.
S’addormentò nell’oblio
perenne
di travagliati ricordi
per entrare in un letto
d’eterna resurrezione
con lenzuoli nuziali
di gigli e rose di passione:
bevve con le pupille larghe
l’anima bianca della luce.
A
Mino
1.
Certo sarebbe più bello
saperti
dietro l’angolo della strada
seduto su una panchina,
ad aspettarmi.
Invece capiti nell’abbaglio
di un lampo di sole
che entra in casa inaspettato
all’improvviso,
forse per tenerti fuori dal
tempo,
ad un passo dal niente.
2.
Per questo sei stato:
perché io ti potessi ricordare
ora che appartieni alle
profondità
delle memorie mute.
Quando ti penso
vorrei penetrare dove tu che
non ti svegli
ma dormi in silenzio dentro
quella notte
che io non conosco ancora.
Di tutto quel che è stato
non rimane neppure il rumore
di un fiume che scorre veloce.
3.
Penso quanto tempo era passato
senza che noi sapessimo nulla
di noi due,
perché nessun oroscopo
aveva predetto il nostro
incontro
e il sole era fermo in cielo
anche quando tramontava,
quando sorgeva e in cielo
c’era la luna nella notte
con le stelle sentinelle.
4.
Tu ed io
ci ritroveremo nel nostro giardino
tra il melo e il ciliegio
quando saranno fioriti
e i petali si disperderanno
nel tepore della brezza
capace di confortarci.
Non avremo più nulla da dirci,
perché sapremo tutto
l’uno dell’altro
nella verità dell’eterno.
Le nostre mani si rianimeranno
stringendosi,
così riprenderemo a camminare
nel bosco,
dove eterna scintillerà
l’aurora
tra rosati bagliori
oltre la linea scura dei
monti,
e sentiremo una forza
sconosciuta
di slancio verso il cielo.
Tutto si ricomporrà
nell’armonia della perfezione
e la morte non ci farà più
paura
perché la vivremo insieme,
non più tra le pietre e le
spine del cuore.
DOMUS
PICTA
Casa in vendita
Una vena rosata
sta nascosta dentro casa
nella malinconia della polvere,
ospite affettuosa in attesa.
I ricordi opachi di chi
l’abitava
invitano ai risvegli
quando i candeggi facevano
svanire
le sagome lasciate dalle notti
sulla tela delle lenzuola.
Ora bisogna decidersi
ad uscire dal passato
ed innestare l’albero di mele
ormai troppo legnoso nell’orto
per lontana trascuratezza.
Acquistare è segno di fiducia.
A conforto l’ammiccante
intermittenza delle lucciole
nel giardino troppo buio:
palpitanti di vita
accendono nel prato
la speranza della luce.
Casa
nuova con giardino
Le radici del sofferto
desiderio
affondano in sogni lontani
di case e giardini fioriti
abitati e perduti
nell’infanzia,
in parole e immagini
inventate e tracciate
da poeti e artisti
per monti boschi e prati
di silenzi amici e complici
lungo taciti sentieri
con alberi erbe e fiori.
Comune ovunque è la luna
solitaria nella notte
sui segreti del cuore
che le stelle lontane
non bastano a consolare.
Scegliere una casa
è ipotecare il futuro:
nella riposta quiete
ho visto in Garaventa,
dritti i ciliegi fioriti
sul prato primaverile
di myosotis e aquilegie,
ruvide le siepi delle rose
prorompenti d’indigena vita
da far rifiorire
in cascate di polyante
a testimoniare
fiducia nella vita:
niente, al mondo, è divino
come il profumo delle rose
al fresco della notte.
La vita mi riporta le persone
che ho avuto, tutte qui,
già sognate nell’illusione
dell’assenza.
Di qui potrebbero partire
anche aquiloni,
non per me,
per i miei sogni.
Nel
bosco intorno al Brugneto
Quando al mattino nel bosco
la nebbia leggera d’argento
fiabeggia i monti lontani
dietro le cime più alte degli
alberi
la cascata variata di verde
disseta l’inquietudine
dell’animo
dall’arsura del vivere.
Allora cammino curiosa nel
sentiero
tra le muffe e i licheni
nel ricordo del poeta
mentre i rami si fanno
falsarighe del pensiero
e la luce illumina il poco
che mi è dato di conoscere.
Non temo gli uccelli notturni
che ancora incidono il
silenzio
con voci superstiziose,
ma cerco l’incomprensibile
ordine
quando l’odore delle foglie
sotto il sole che sale
fa venire voglia di attendere
la novità della rugiada.
Vita
Vorrei saper dirigere
la barca della mia vita
ad infilare la cruna
dell’eternità.
Con i frammenti della mia vita
vorrei costruire i gradini
della mia scala a Dio.
L’ape
regina
Chiusa nel brillio della sua
giovinezza
manifestava la volontà del suo
destino
ormai senza timore,
finché tra le infinite vie del
cielo
ne scelse una,
con l’immensa sapienza degli
esseri.
Dietro di lei la piccola
schiera brulicò
come una manciata di grano,
dileguandosi simile a un
nastro di scintille d’oro.
All’onda di un suono,
come un velo disteso lo sciame
calò
e si restrinse tutto in un
pugno
nel cavo di un olmo.
Sanno tutti gli arcani
gl’insetti.
Nasceva così la grande città
matematica:
in breve l’opera cristallina
sarebbe stata perfettamente
compiuta.
Nel gran vello eroico
i guerrieri aspiravano
indolenti
all’amore della giovane
regina.
Nel giorno in cui il cielo era
più azzurro,
quando il sole segnò l’ora
culminante del giorno,
lei s’involò rapida
e venne l’ora dei pretendenti.
Si scagliarono veloci
su per il raggio di sole più
corto.
Ciascuno, abbagliato dalla
luce,
s’illuse di essere solo.
Si voltarono, si videro:
si contarono, c’erano tutti.
Il rombo delle ali crebbe
compatto
e tra i fuchi s’accese la
lotta.
L’ultimo giovane guerriero,
rilucente come un dio,
raggiunse la regina
tremante sulla vertigine del
vuoto
e l’afferrò.
Lei s’abbandonò smarrita.
Volteggiavano a inseguirsi:
si univano in volo,
precipitavano insieme soffiati
dal vento.
Ed era tra i due una sola
dolcezza,
nell’inconsapevole ansia della
morte.
Poi calarono giù pian piano,
stretti e tremanti,
come voleva la terra,
ad ali chiuse,
quasi due gocce di miele
in un’unica goccia.
Quando la regina aprì gli
occhi
vide l’eletto ormai spento.
Restò sola nello spazio
immenso.
Smarrita, ritrovò l’olmo, i tigli vicini,
il roseto fiorito di bianco,
il rosmarino acceso d’azzurro.
Per terra, tra due fili
d’erba,
giaceva qualcosa che era
qualcuno.
Tutte le sue api le volarono
incontro festose,
simili ad un volo di scintille
d’oro.
IN
VIAGGIO
In Grecia
GRECIA |
In Grecia ho bevuto la fresca
acqua
che scorre in lago di memoria,
ho abitato l’azzurro immenso
del cielo e del mare
squarciati dal sole
nell’abisso dell’incanto
degli ulivi di Delfi,
dove la luce diffusa e
tagliente
rivela il passato
e ridisegna la storia,
mentre il pensiero fugge
in miraggi d’infinito.
Ho incrociato sguardi
di divinità e di uomini
di pietra e di metallo
vivi nel tempo
della loro assenza;
ho visto l’enigma del sorriso
dei kouroi e delle kore
distendersi nella perfezione
fino a estenuarsi
nella malinconia composta
del congedo dagli affetti
nel concludersi di un arco di
storia.
Ma alle Meteore ho incontrato
chi ha cercato
la purezza dello spirito
incarnandosi nell’aridità
della pietra dell’aria della
luce:
fuori dal mondo
per convincere e salvare.
A
Vaucluse
che infrange la pietra del
silenzio
siamo giunti qui
dove lo scorrere delle acque
fa vivere momenti remoti,
definitivi di un’età
mitica e assoluta
in cui eventi umani
di imprevedibili incontri
ridisegnati dalle parole
passano come figure vive
(nel dubbio della morte)
prossimi e lontani ad un tempo
per loro misteriosissima
virtù.
Nella consonanza del sentire,
ci si può anche illudere
nell’incanto tra realtà e
finzione
di ieri di oggi.
A Praga
i
fuochi alchemici nelle fucine
del
mistero della storia
e il
signor Kafka in bombetta
non
percorre più la Celetnà
e le
statue del ponte
non si
animano nel freddo
dell’avvolgente
foschia,
mentre
sopita sotto i martiri
vive
ancora intatta
la
truculenza delle favole ebraiche,
invisibili
mani rimenano
sulla
spianatoia dei marciapiedi
la
pasta dei turisti
illusi
nel loro andare.
Nelle
navate dei templi
con infinito
corale di dorature
schiere
foltissime di angeli
forse
discese da troppo antiche
insegne
di drogheria
fuggono
tra
l’incenso per lo Jezulàtko.
Offuscata
dagli
umidi e caldi vapori
dei
casamenti di periferia
ma
sospesa
in un
viluppo di raggi stellari
sta
ferma
nel
morto silenzio
che
ingombra le strade
la
città non più magica,
minacciata.
Solo
la Praga notturna,
intonacata
di livida biacca lunare,
resiste
alle dita di pietra
sotto
i denti del tempo
per
riscattare ancora
lo
scintillio dell’eterna bellezza.
Sulla grande strada fluviale
incontri tutta la Russia,
vecchia e nuova.
Tra passato e futuro
lo scorrere delle acque
trascina la storia.
Il viaggio è lento,
ma inesorabile
tra i quattro punti cardinali
di ogni esistenza vagante:
il cielo l’acqua il sole il
vento.
A poppa il tempo trascorso
disegna gorgoglii di schiuma
inghiottiti dall’oblio
dell’acqua.
La prua
fende la verginità
dell’ignoto.
Mentre il vento eccita
narrandoli sul volto
gl’invisibili approdi venturi,
la storia avanza
in cerca di futuro.
A terra
la vita quotidiana
è scritta sul viso
a quelli che incontri.
L'albero di Douze
quando asinelli magri
riportavano a casa
ragazzi allegri
su carretti veloci.
Sulla piazza ancora assolata
ho incontrato un albero
enorme.
Ho avuto paura ad immaginare
il groviglio delle sue radici
nell’abisso della terra.
L'ho fotografato
mentre la scena s'assopiva
nella luce calante.
Appena l'avevo superato
e gli avevo voltato le spalle,
già mi mancava,
quell'albero così grande,
scomparso nel buio del
deserto.
Ma io dovevo andare avanti
lungo la strada del tempo
che porta con sé
innumerevoli domani
verso luoghi che sanno
d'acqua.
In
viaggio
Lungo la strada tra le colline
il convolvolo fa volteggiare
il suo ultimo soffio d'azzurro
sulle siepi dei pömin d'amor:
il paesaggio si apre sereno
ampio sull'orizzonte
tra il Mon Viso e il Rosa
appena velato
nella tramatura sempre più rada
delle ultime foglie dei pioppi
alte contro il cielo,
mentre i gialli e i rossi accesi
dei pampini morenti
e delle foglie accartocciate
sfarfallano l'ultima illusione
della natura stanca
che stupita attende
di abbandonarsi
il convolvolo fa volteggiare
il suo ultimo soffio d'azzurro
sulle siepi dei pömin d'amor:
il paesaggio si apre sereno
ampio sull'orizzonte
tra il Mon Viso e il Rosa
appena velato
nella tramatura sempre più rada
delle ultime foglie dei pioppi
alte contro il cielo,
mentre i gialli e i rossi accesi
dei pampini morenti
e delle foglie accartocciate
sfarfallano l'ultima illusione
della natura stanca
che stupita attende
di abbandonarsi
al gelo dell'inverno.
con la sua eterna fiducia
nella vita
nella vita
Alla Madonna del Lago
Per Graziella
Ricciardi
In memoria
Avevamo attraversato
prati e valli di fiorita
primavera
per raggiungere l’anfiteatro
di ghiaccio e di pietra,
dove la vita si nasconde
(per durare)
nella fioritura degli
anfratti.
Ti soffermasti felice:
-Preferisco le pietre,
a loro è risparmiato il
dolore.-
E’ vero:
da millenni e forse ancora
per millenni innumerabili
esiste ed esisterà insensibile
la roccia del monte:
insensibilità ed eternità,
misteri,
forse vantaggiosamente
commutabili
con il sempre troppo breve,
sempre consapevole,
vivere umano.
Ma tu
non conoscevi ancora
quale
soffrire dovevi attraversare
perché
il tuo corpo
per
attingere l’infinito
si
inaridisse
fino
alla trasparenza della luce.
Parentum memoria
Mio padre e mia madre
seduti sul masso nel bosco
sono solo più una fotografia
in fondo ad un cassetto.
Ora che il tempo per voi
non esiste più,
al di là dei giorni, dei mesi,
degli anni,
ora che voi sapete tutto
di me, di voi, degli altri,
casualmente senza urgenze
e senza ragioni
possiamo ancora incontrarci
talvolta per illusione
(consolante o terrificante)
soltanto nel sogno.
Un’orfica smisurata
distesa bianca d’asfodeli
in un abisso di silenzio
ci separa
murando l’immensità del
rimpianto.
Ci si può ancora parlare,
ma solo
in un linguaggio esclusivo:
serve per saper resistere
nella speranza,
senza soffrire troppo.
Ai miei genitori
Le
parole che non vi ho detto
non
si sono perse
nel
tempo che mi è mancato.
Sono
rimaste assetate d'acqua,
senza
un perché,
lì
nella brocca vuota:
il
tempo distratto
ci
ha tradito
illudendoci
nella fretta.
Le
parole che non vi ho detto
staranno
qui ad aspettarvi,
sedute
sul bordo dell'anima,
custodite
dalla fiducia.
C'incontreremo
per
riannodare i fili spezzati
e
per tessere le trame interrotte;
recupereremo
le verità taciute,
con
le parole
rimaste
nella brocca vuota,
senza
avvizzire.
Carissima Rosa Gioia,
RispondiEliminail suo lirismo mi ha travolta e sono stata onorata di poter scrivere per una poetessa così talentuosa e ispirata. Devo, però, confessare per onestà intellettuale verso di Lei e verso i numerosissimi lettori del blog che il Professor Pardini ha ricamato sulla mia 'relazione', in virtù della conoscenza che lo lega a lei come donna e come artista e della competenza che Lo rende il colosso che sappiamo. La consideri una recensione a quattro mani. Mi complimento ancora e le rivolgo caldi, affettuosi saluti.
Maria Rizzi
ERRATA CORRIGE: Rosa Elisa...
RispondiEliminaMaria Rizzi