Carissimo
Nazario,
i
tuoi Canti dell’assenza non possono
assumere altro nome. Scivolano nell’anima come folate di vento e il vento ha
una sua melodia. Soffia sui luoghi, sulle cime, sulle persone, mantiene in vita
i ricordi.
Assenza: prelude a un ritorno di luoghi, di anime. La tua
parola risuona lungamente nella lettura: affascina, seduce, accompagna. “È
vesperale/ questo saluto a un frutto che alla sera/ riporta il suo profumo.
Coglierò/ Buca dei tassi i grappoli sanguigni/ dei sogni abbarbicati sui tuoi
tralci:/ quelli che ancora danno all’imbrunire/ metafisici suoni e dolci
essenze/ che la vita scolpì per non morire”. Tu canti la vita come quando canti la morte.
La morte non è fine se la mente tiene vivo il ricordo. Ci sarà compagno nel
dipanarsi del tempo. C’è sempre un ritorno “sull’imbiancata/ strada di gesso ai
meridiani soli/ girovago nei campi”. C’è sempre un’attesa produttiva e il
ricordo ricreerà attimi del passato; così “i trilli della rondine/ radente i
grani e i volti degli amici…”.
L’impressione che mi ha dato leggerti è
quella di una visione bucolica che rimanda a un lontano vissuto che ci
accomuna: “Poi è giunto ottobre a mietere le foglie/ di una stagione che ha
reciso il sole… Niente di più vicino… a me risulta che il palpito ottobrino… Il
frutto cade del giorno ormai maturo ed è
la notte”. Una notte metaforica che prelude al freddo, un freddo mitigato dal
camino che “schioccava” e dal calore del
ricordo della voce paterna, dalla visione di amici a bere il Chianti in quella
terra toscana coi suoi ciuffi di ginestre, coi suoi tramonti “porporini”.
Gli anni sono come la storia; si
allungano col tempo. Si parte dalla giovinezza, dal suo profumo “Ed i falò sul
mare, le nottate/ a cacciare la luce del mattino,/ le corse a piedi nudi sulla
sabbia/ arroventata. E tu che mi guardavi/ con aria sospettosa./ Andiamo ancora insieme in quel paese:/ …/ tu
ed io soli, giovinezza, andiamo… ma tu/
ti trattieni con aria indifferente/ sulla panchina della piazza verde/ a seminare amore”.
Nel tempo restano come inchiodate le voci
di chi non parla più ma permane la loro eco.
E tu, Nazario, ti rivolgi alla terra,
entità fattrice: “oh terra di novembre. Il tuo riposo/ sia vigile ai miei cari…
E ti rivivo/ novembre di dolore e di riposo… e i canti delle tortore mi
aiutano,/ che lugubri rintoccano nell’aria,/ a vivere la morte,/ con voi miei
cari,/ di questo mio novembre”.
Ogni tua poesia, Nazario, è diversa,
completa la precedente, aggiunge una emozione primigenia che accora.
Impossibile una scelta selettiva; solo cogliere quello che più si è radicato
nel cuore di chi legge. Ne cito alcune: Non
chiedermi perché, Mia madre si stupiva, Contro le lune, Se il tempo. “se
riportasse un giorno o solo un’ora/ le braccia disattese di mio padre,/ a me,/
colpevole di tante indifferenze/ di giorni macerati dall’inerzia/ di
sottrazioni d’albe/ a primavere scorse senza luce”.
Siamo con te ma non sapremmo dirlo; i
nomi si inseguono: Francesca, Delia…; in Contro
le lune “… chiedo solo/ al cielo a qualcuno, non so a chi,/ che mi mantenga
in seno la tua voce,/ che mi mantengo in cuore il tuo sorriso,/ il tuo sagrato profumato d’erba,/ e la tua
voglia, maledetta voglia,/ di seminare sogni anche nei giorni/ più neri della
notte./ Contro le lune”.
Ritorna il vento e tu vorresti cavalcarlo
“a pelo/ la mente alla criniera/ e l’anima con te alta nel cielo!”. Tu vivi, Nazario, e vivrai sempre perché ci
rendi partecipi dei tuoi ricordi. Vorrei non smettere mai di scrivere di te ma
è assurdo! È entusiasmante leggerti.
Voglio chiudere con i versi di Mia madre si stupiva.
È illustrata la sua vita faticosa “con in
mano un falcino per recidere foglie” e i suoi stivali così pesi che le
“stremavano i fianchi”. Il suo quotidiano sacrificarsi per gli altri: marito,
figli; ma la fatica non copriva nel suo animo puro e anch’esso ricco di poesia
l’incanto dei colori d’oro sulla mota
dei solchi:
… E mia madre
si
stupiva davanti a quei colori,
davanti
a quella volta iridescente.
Con
il falcino in mano, e il volto stanco,
ammirava,
stupita,
quei
giochi del tramonto sopra il campo.
Anna
Vincitorio Firenze, 20 settembre 2016
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