giovedì 10 novembre 2016

PASQUALE BALESTRIERE LEGGE: "LA LUCE" DI UMBERTO CERIO


Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade 



Umberto Cerio, collaboratore di Lèucade



UMBERTO CERIO: LA LUCE


O DEL GIOCO DELLE MEMORIE. ETS. PISA. 2016. Pag. 44. Euro 7.00


UMBERTO CERIO
LA LUCE
o del gioco delle memorie

Emozionato e partecipe, mi sono dato alla scoperta dell’ultimo parto poetico di Umberto Cerio, “La luce”, con sottotitolo “o del gioco delle memorie” (Edizioni ETS, Pisa  2016, pagg. 45, € 7,00) che integra ed espande, ma insieme definisce,  un titolo quasi fulminante nella sua brevità .  Coinvolto già da tale intestazione, vero e proprio ammicco al mio “Il sogno della luce”, ho immediatamente inteso quest’opera del poeta molisano come un ulteriore amicale contributo a un (bi)sogno di luce; e, a mano a mano che avanzavo tra i suoi versi pervasi dai freschi profumi di una vita intensamente vissuta, sentivo che  questa aspirazione, o meglio esigenza, di luce ci accomunava e ci rendeva ulteriormente fraterni e consonanti.                                                   È proprio vero: rampolla dall’immediatezza della  vita reale, con il suo carico di gioie e di dolori, la poesia di Umberto Cerio; proprio come il diamante emerge dalla cava penombra della miniera. E tuttavia dalla realtà si affranca; se ne solleva, depurandosi del torbido e delle scorie dell’hic et nunc  e cercando una dimensione spirituale dove più serenamente la riflessione si fonde con la memoria, il pensiero con gli affetti, in una recuperata misura di saggezza, in un perseguito desiderio di pace, in un cercato e realizzato equilibrio creativo.  È in questo spandersi nella vita, saggiandone e suggendone i fermenti più  intensi e talvolta inquietanti, per poi elevarsene, ma  portandosene echi e sentori e collocandoli nell’ atmosfera della memoria e del canto,   che risiede l’essenza artistica del nostro poeta. Che, qui, canta la luce: scoperta, inseguita, afferrata, posseduta,  perduta, ritrovata, di nuovo persa. Ma sempre risorgente in quella continua corsa a ostacoli che è la vita: “La luce che cercavo  / è quella che ho trovato mille volte”(La luce dove, vv.1-2). Si tratta quindi di un attingimento provvisorio, di un possesso mai perenne: come tutto ciò che appartiene alla vita, come la vita stessa. E mi trova perfettamente d’accordo  l’affermazione con cui Nazario Pardini apre la sua ottima prefazione: “Verità, vita che scorre, farfalla dolorosa, memoria; e luce. Una luce che ... rappresenta l’aspirazione della condizione umana  a quel fuoco che nutre i colori ma che, al contempo, ne segna la fine”. Perché la luce e il buio come la vita e la morte sono complementari, proprio come  facce di una  stessa medaglia.                                                              Al lettore non disattento è del tutto chiara la portata metaforica della luce: che a me pare incarnare soprattutto una dimensione eletta,  certo di sapienza, forse di appagamento contemplativo che segue lo svelamento (“Portami preziosa la luce / che segna la nostra esistenza, / che ci sveli l’ebbro canto dei giorni” Fragmenta animae, vv. 16-18),  un locus amoenus dell’anima; e, insieme, una condizione che va oltre la terrenità e si colora di accenni metafisici con venature metempsicotiche (“E un giorno forse sarò un gabbiano / o forse un airone / per volare in cieli sconosciuti...” Gabbiano e airone, vv. 7-9). Quella del gabbiano è una presenza fissa che entra, insieme al mare e all’abisso,  in quasi tutte le 26 liriche della silloge. Ed è figura in cui leggo il testardo tentativo di superare gli ostacoli, la vivificante speranza, la pazienza del vivere. Il gabbiano sorvola senza troppa fatica gli “abissi atroci” (La clessidra, v. 17) per gli umani e il mare in tempesta,  e riporta al giusto metro l’immensità visiva di una piana marina, che potrebbe apparire addirittura invalicabile. E soprattutto vede dal’alto: ciò potrebbe voler significare, per il poeta, mantenere la giusta, saggia e quasi epicurea distanza tra sé e le cose,  per mantenere la loro influenza entro onesti confini e per conservare serenità di vita e di giudizio.                                                                            E devo dire anche che ha il mito nel cuore Umberto Cerio: un mito che si alimenta non di sterili fantasie, ma di solida realtà, e quindi si riverbera e trova conferme nella nostra quotidianità o da questa si diparte, fino a diventare archetipo della condizione umana di sempre; un mito che trama fittamente la poesia del Nostro (che peraltro testardamente è volto alla ricerca di analogie e di risposte per giungere alla radice delle cose, cioè alla “luce” rivelatrice), rendendola ancora più compatta e unitaria e che le dà colore e calore.   Così il mito, qui,  ha sempre valore paradigmatico e, insieme, sintagmatico, giacché il poeta  intesse legami, e anzi costruisce ponti, tra l’antico e il moderno e viceversa, ben consapevole dell’immutabilità della natura umana, che trova in affetti e istinti i canali, i modi e   le forme per manifestarsi; sicché il mito abita, indifferentemente, nel passato e nel presente, vive  -in situazione di latenza-  in tutti gli uomini. Potenzialmente tutti possono incarnare un mito. In realtà solo chi ha consapevolezza di sé ne può attivare la vita, in un processo di affinamento culturale e morale, in un perseverato tentativo di migliorare se stesso e la società di cui fa parte.
Infine devo un ringraziamento pubblico all’amico Umberto Cerio che ha voluto coinvolgermi -in modo chiaro o velato- in ben tre  componimenti di questa silloge, che si connota per finissima sensibilità poetica e umana.                                   
                                                                                       
                                                                                                  Pasquale Balestriere




DAL TESTO





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8 commenti:

  1. Ho letto le due poesie di Cerio ed ho apprezzato il suo abbrivo esistenziale, la sua forza espressiva, la sua generosa offerta visionaria. E la energica illustrazione prefativa di Pasquale Balestriere aiuta non poco a penetrare nei meandri più nascosti del canto; nel valore più "accecante" della luce. Post di risolutivo e vibrante apporto letterario. BRAVI!!!
    Sandra

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  2. Pasquale Balestriere si riaffaccia su questa isola con tutta la sua possente e tecnico-fonica maestria. Complimenti.
    Prof. Angelo Bozzi

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  3. Sono felice anch'io di salutare l'amico Balestriere. Con questa acuta recensione a "La luce" di Umberto Cerio, egli dà veramente "luce" (il bisticcio di parole è voluto) a queste pagine, ed io mi auguro di poterlo leggere più spesso. Condivido l'approccio da lui suggerito alla poetica ceriana, la quale "rampolla dall'immediatezza della vita reale, con il suo carico di gioie e dolori", per poi sollevarsene "depurandosi del torbido e delle scorie dell'hic et nunc" a cercare una dimensione spirituale". Una luce appunto: "scoperta, inseguita, afferrata, posseduta, perduta, ritrovata, di nuovo persa. Ma sempre risorgente in quella continua corsa a ostacoli che è la vita". "Perché la luce e il buio sono complementari, proprio come facce di una stessa medaglia" (pensiero, questo, a me caro, che mi fa andare in brodo di giuggiole). Trovo inoltre estremamente interessante quanto Pasquale asserisce - riferendosi al poeta in oggetto - a proposito del mito; il quale "abita indifferentemente nel passato e nel presente", vivendo "in situazione di latenza in tutti gli uomini", anche se può essere attivato solo da "chi ha consapevolezza di sé... in un processo di affinamento culturale e morale". Persino al di là - vorrei aggiungere - dello studio e della conoscenza storica dei miti.
    Franco Campegiani

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  4. Cos'è mai la luce, se non una smania di colore che si allontana dalla noia che luce non è? Si trova, la luce, in ogni piega della vita, in ogni attimo ribelle, in ciascuno di quegli attimi che non si piegano al passo del tempo, ma che si dilatano, che rimangono per sempre fissi nell'anima, e che tutti insieme fanno il perché della vita. Questo però va chiarito: non è la memoria, ma l'anima che alberga quegli attimi, nostri o non nostri, non importa. Quando il dolore stana la tristezza e si predispone a farne un idolo, l'attimo non teme la sfida e si impone nella sua lucentezza, perché solo lui, ora, sempre, la fa da padrone. Non è la tristezza, ma la gioia che piega la vita alla sua volontà. Non è il buio, ma la luce che illumina le nostre volontà. Non è la morte, ma la vita che, pietra su pietra, muro a secco diventa. Ringrazio Pasquale per avermi dato la chiave che apre quella porta, e Umberto per la sua luce, alla quale ho voluto rispondere.
    Claudio Fiorentini

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  5. Ringrazio di cuore gli intervenuti per i commenti davvero qualificati e pregnanti: Sandra (che non riesco a focalizzare perché manca il cognome), la quale ci fornisce una breve, ma preziosa e densa, riflessione critica; il prof. Bozzi, ben noto su Leucade, non solo per la sua costante presenza, ma soprattutto per i suoi pareri sintetici e profondi; l'amico Franco Campegiani che, escertando, per condivisione, lacerti dalla recensione e componendoli e commentandoli, crea -da par suo- una nota compatta e sapida; l'amico Claudio Fiorentini che, in modo lucido e personale, ha ottimamente ampliato il discorso sulla luce.
    A voi tutti un amichevole grazie
    Pasquale


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  6. ... e, naturalmente, grazie al carissimo Nazario.

    Pasquale

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  7. Fare luce. E' questo che fa / dovrebbe fare la poesia: condurre a uno svelamento sostanziale e in profondità dell'esistenza in quanto "opera in divenire" aperta alla ricerca della verità. Che cosa è "fare luce" se non cercare di modellare dall'interno una dimensione nell'animo umano di verità e di bellezza non effimera, ma come osserva Pasquale Balestriere nella sua nota, "sempre risorgente"?
    Marisa Papa Ruggiero

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  8. Mi è gradito sempre ringraziare chi, col proprio commento, arricchisce ed amplia i limiti di un'opera proposta sullo scoglio di Léucade. Questa volta, prima di tutti, Nazario per la sua ospitalità e soprattutto per la splendida prefazione al mio ultimo lavoro; Pasquale per la sua eccellente recensione alla "LUCE", che ha messo in evidenza ed arricchito i temi poetici e umani, Franco, il quale si tuffa spesso (e con grande consapevolezza) nella "verità" dei miti e ne chiarisce il senso; Sandra della quale non mi dispiacerebbe conoscere il cognome; e gli altri che con la loro nota hanno colto il senso della luce;infine Claudio con una nota: (lontano da me ogni ombra di rifiuto delle sue opinioni, cosa che potrebbe apparire offensiva, ma per carità absit iniuria verbis!). Caro Claudio non ti è mai capitato di pensare che anche la morte appartiene alla vita? e che senza memoria non ci sarebbe vita? che nessuno sarebbe sciente e cosciente di esistere?
    A tutti, dunque, un cordiale e amichevole ringraziamento.

    Umberto Cerio

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