Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade |
DA:
POEMA
MINIMO
Della razza di chi rimane a terra
ben presto
addio dicemmo ai sogni della
notte,
consunti all’aprirsi dell’alba.
Ma dura
fu la vita,
cozzo
di tuoni, di violenza grido.
Attenti
a solchi, a lune, a sani semi,
lavorammo
alla vite, a fare vino,
riccio
di sole, infante di possente
terra,
dove portò
d’Africa
il sale quel corsaro ch’era
mio
padre sotto vesti contadine
(approdo
fisso a via
Ritola,
trentacinque). Fieri verdi
ruppero
nelle vigne da sudate
zolle,
dal sordo canto della zappa:
così cogliemmo grano e biondo vino
maturò
nelle botti, irruppe sulle
nostre
povere mense di coloni,
i
cuori rallegrò, canto divino.
Questa poesia rileggendola mi fa venire in mente il viaggio dorico dei coloni. Nella Magna Grecia, trovarono la terra buona e con l'arte bucolica, il vino, i giochi funebri seppero onorare le fatiche dei padri - forse il poema e' minimo....oggi....anche le migrazioni sono povere e meno fortunate.....chissa'. Miriam Binda
RispondiEliminaUn poema minimo intriso del succo della vita. Nel verso incipitario risiede l'essenza del poema, il diventare grandi troppo presto, assumersi responsabilità e lasciare il gioco per il lavoro. La vita nei campi è così, è dura ma generosa. Si inizia presto a lavorare non solo nella vita ma anche nel giorno, all'alba il contadino ha già svolto la maggior parte delle faccende. Poichè è soltanto con la fatica che si porta a frutto la terra la quale, offre generosamente pane e vino per le mense quotidiane con la benedizione del canto divino.
RispondiEliminaUn bel canto poetico nello stile tipico del poeta Balestriere, che sa esprimere un alto panismo ed amore per la terra, attraverso una seducente musicalità nell'alternanza di endecasillabi e settenari.
Grazie per questo dono
Un consuntivo non melanconico, bensì elegiaco e architettonicamente ben strutturato, come la cultura classica che lo anima gli suggerisce:
RispondiEliminaMa dura fu la vita,
cozzo di tuoni, di violenza grido
La vita. Lavoro, duro, - sudate zolle, canto sordo della zappa- eppur gratificante, guidato dal corsaro-contadino che fu il padre amato: sogni che si consumano, come ben si conviene a chi rimane a terra…
Mi commuove questo POEMA MINIMO, ben consapevole di misura ed eleganze, come la lettura dei classici latini insegna…
La civiltà contadina è la sola civiltà possibile per esseri che stanno purtroppo dimenticando la propria "terrestrità", il celeste scoglio che è stato loro dato in dono. Balestriere canta con finezza d'animo il tempo in cui il "sordo canto della zappa" rallegrava i cuori offrendo "biondo vino" e grano; il tempo in cui si era felici con poco, al contrario di oggi che siamo desolati e tristi con il tanto (troppo) che abbiamo. Si dirà che quello era il tempo di un'umanità bambina ed ingenua, malata di puerili incanti da cui era doveroso guarire. Grande menzogna: quello era il tempo di un incanto che, senza battere ciglio, sapeva portare sulle proprie spalle il disincanto, il dolore; il tempo di una spina dorsale fortissima, purtroppo oramai spezzata e gettata chissà dove. Grazie, Pasquale, per ricordarci con tratto leggero i tempi ed i luoghi in cui a lungo è vissuto quell'essere che meritava l'appellativo di "umano". C'è da augurarsi che questa lieve nostalgia sappia alimentare un forte desiderio di riscatto nelle fonti archetipe che non potranno mai morire.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Non ci si stanca mai di leggere (più volte) e di commentare un libro e anche una sola poesia di Pasquale Balestriere. Anche questa, che ha un'apertura niente affatto accattivante, ma ricca di una forte contrapposizione tra sogni e risveglio che d'improvviso annunziano "cozzo di tuoni, di violenza grido". "Il poeta-contadino", come spesso ci appare Pasquale Balestriere, non può non cantare l'uomo e la terra, il grido dell'uomo, il silenzio della terra. Un grido che diventa coscienza della durezza della vita e silenzio della terra che aspetta il duro lavoro dell'uomo:lavorare la vite per fare vino, tracciare solchi "avari"dove seppellire semi,vivere la gioia dell'esplodere delle piante dalle "sudate zolle", dal sordo canto delle zappe". Sembra di Leggere versi delle Georgiche virgiliane, ma senza la malinconia che connota la poesia del poeta di Andes. Chi ha letto e conosce Balestriere non si scandalizzerà se affermo che la sua poesia ha una più virile impronta umana, una maggiore passionalità.
RispondiEliminaCaro Pasquale, ti rinnovo i complimenti già da tempo espressi sul tuo libro per questa tua magnifica opera.
Umberto Cerio
Ringrazio voi -Miriam, Francesco, Maria Grazia, Franco e Umberto- che mi avete onorato del vostro tempo e dei vostri commenti. Un contributo davvero speciale.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Caro Pasquale,
RispondiEliminaquesto Canto minimo è il tuo “solito” colloquio - o meglio soliloquio - con il padre messo sulla carta in una miriade di poesie tutte belle perché vengono dall'anima. Tuttavia io ti penso spesso mentre tu parli veramente a questa vigna che è il tramite, il mezzo con cui tu ti avvicini ancora al tuo “vecchio” in un rito sacrale, anche se pagano, che ha il proprio culmine nel vino. Per almeno tre stagioni dell'anno ti si trova soltanto nella “terra” come tu definisci il tuo piccolo appezzamento, nome non casuale ma ancora richiamo a una primigenia divinità. Talvolta ti sgrido per questa tua abnegazione al lavoro agreste che ti affatica spesso oltre le tue forze - non sei più un giovinetto - ma poi penso che l'uomo non vive di solo pane. E la tua sorgente di vita sarà sempre quella vigna nella cui linfa identifichi il sangue di tuo padre. Poeta contadino? Forse sarebbe meglio dire Poeta sacerdote.
Carla Baroni
Pensavo di essere un "sacerdos musarum", ma Carla, riportandomi crudamente alla realtà, mi trasforma in un "sacerdos vinearum". Il che poi è abbastanza vero. Ma la mia "terra", cara Carla, non è "un" piccolo appezzamento, ma tanti piccoli appezzamenti, a coltura mista (viti e alberi da frutto).
RispondiEliminaGrazie per il tuo partecipe e amicale commento.
Pasquale Balestriere