lunedì 14 novembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "SCATOLA NERA" DI CHIARA MUTTI



Chiara Mutti: Scatola Nera. FusibiliaLibri. 2016. Pg. 88. € 13,00


Scatola nera il titolo di questa plaquette editata per i caratteri di FusibiliaLibri, 2016. Chiara Mutti affronta un percorso ampio, vitale, a volte piano, altre collinare e altre ripido da salire con scarpe da montagna. Sì, ogni ambito del vivere viene toccato con elasticità epigrammatica: ora con dolcezza lirica, ora con melanconica riflessione, ora con leopardiano risentimento, ora con sfiducia esistenziale:

Non posso parlare alle cose
che non conosco

se credessi nel fato, in qualcosa
che la vita o dio o il cosmo
è in se stesso: assoluto, infinito,
tutto acquisterebbe un senso
e avrebbe forma

potrei forse frugare negli angoli
di questa scatola nera
trovare le note
di qualche vecchio motivo… (L’equilibrio).

 E già ci fa da ingresso quel tocco di nero di per sé significante per il prosieguo dell’opera. Vale a dire che l’Autrice con questo titolo secco e conclusivo ci dà da subito l’opportunità di penetrare nel suo animo, nelle sue intenzioni odeporiche, nel suo ontologico viaggio, fatto di andate e ritorni, di meditazioni e riflessioni, di speranze e delusioni, di melanconie e cadute, addensate in albe scivolate in mare:

L’alba è scivolata in mare
e cadendo, fremente di artigli,
ha sfilacciato il cielo
e il cielo mi è caduto addosso… (L’alba).

Tante macerazioni interiori che contornano una vita. E si sa che la vita è fatta di tante tappe, ogni tappa un sogno, ogni tappa una storia, ogni tappa una scoperta; sono tutti questi segmenti esistenziali a comporre un viaggio di cui ad un ceto punto vorremmo conoscere la rotta, la luce, il buio, il porto; un indirizzo sicuro:

I miei piedi
non toccano più terra

nell’eclissi aperta
dell’incrinatura
scivoliamo Oltre… (Passi).

Il senso della forza del canto sta nel richiamare le tante immagini che tale iter ha lasciate dentro di noi, nella scatola nera del nostro esistere; sta nel riportare a vita quello che siamo stati: dimenticanze, ricordi sfumati, presenze fuggevoli, speranze tradite, luoghi di amore, amore di luoghi; e le pagine di tale racconto non sono certo sempre lisce; ci sono pieghe e sgualciture che ci rendono difficile e problematica la lettura; a meno che non intervenga la forza d’animo, una buona vista, a sopperire a finali che mai pensavamo potessero chiudere la trama. D’altronde sono proprio i turbamenti e le inquietudini a formare il sale, il focus del poema; lo stimolo a conquistare mondi che avevamo lasciati a parte in questo nostro andare costellato di realtà crude; di conflitti  quotidiani; di sofferenze, anche, per non avere concretizzato stati emotivi; per non essere riusciti a toccare quella vetta verso la quale avevamo indirizzato le nostre brame; per non essere  riusciti a conquistare postazioni sicure:

E’ infinitesimo
l’istante dell’eterno
ci trapassa, ruota

ci addolora

e in fondo al grido tace
e nel rimbombo intimo
ci nasce (La notte).

Incertezze, insicurezze, perplessità in una metaforicità capiente e intrusiva che detta le regole del gioco.
       Ma è umano, fortemente umano, aspirare a travalicare quei confini che ci costringono a terra. Rientra nelle nostre aspirazioni superare lo stretto limite in cui siamo condannati. L’essere terreni è in contrasto con le fughe verso l’azzurrità del cielo; è troppo umano questo voler andare:

Umano troppo umano
del cuore
questo volere andare… (Umano).

 Questa è l’inquietudine del nostro esserr-ci. Una lotta continua fra quello che siamo e quello che vorremmo essere. Il sogno forse sopperisce a questa deficienza. E’ là che spesso ci rifugiamo per ovviare alle nostre mancanze, alle nostre debolezze di fronte alle aporie della vita; ai perché irrisolti e irrisolvibili del nostro andare:

Vorrei scrivere, del mare
la tempesta, il fragore
e le correnti
silenziose,
le abissali venature
del profondo

e la riva, e il porto
che racchiude

ma non ho che marmo bianco
senza occhi

storia
vanagloria di un abbozzo di figure (Marmo).

Questa la pluralità ispirativa del canto di Chiara; una complessità vicissitudinale in cui ognuno di noi trova una parte di sé. E sono gli interrogativi a farsi filo conduttore della compattezza, e dell’organicità del pensiero della Nostra. Un pensiero che filtrato dal cuore si affida ad un verbo scattante, nuovo, combinato in soluzioni stilistiche di pregnante resa poetica: coscienza del tempo che fugge, della sua precarietà; azzardo di fughe verso spazi risanatori; verso lumi che rischiarino il buio di un mare troppo vasto per i nostri miopi sguardi. Sta lì la conflittualità pascaliana fra cielo e terra. Ed è proprio la contrapposizione eraclitea fra il buio e la luce a dare un senso a questo nostro soggiorno terreno. La Nostra ci sa offrire tutto questo groviglio epigrammatico con versi asciutti; con stile energico; con ammicchi significanti che lasciano al lettore spazi  interpretativi; con una versificazione, insomma, che cerca di agguantare gli slanci di un’anima volta a togliere il coperchio a una scatola nera. E lo fa ricorrendo a un verbalismo che superi con potenza icastica le ristrettezze della morfosintassi usuale. Tanto richiede lo spirito indirizzato a cogliere il mistero di ciò che ci è nascosto. Forse partire dalle cose più umili, da una realtà dal sapore minimalista, da una quotidianità  che ogni giorno ci ruzzola attorno, ci rende più facile l’ascensione; l’analisi anche della nostra interiorità; la percezione di un’assenza che scava, e che frange la nostra quietudine:

Campeggerà il mio nome
nella tua bara chiusa
oh! Striderà

cigolio folle
in contrasto evidente
con la mia assenza…(In memoria).

D’altronde è la vita che ci corre dietro; che non ci dà un attimo di respiro in questo viaggio a volte scabro, a volte cosparso di cenere e morti, a volte di venti propizi; e Chiara Mutti sa di non potersi aggrappare a una corda malferma, stonata; e sa che l’equilibrio non è mai stato il suo forte; per questo:

… cammina (o) sicura tra enormi abissi
e poi si ferma (mi fermo) improvvisa
alla prima salita le si fa (mi si fa) il fiato corto
la voce roca (L’equilibrio).

Una voce che grida il suo disagio di fronte all’eterno


Nazario Pardini   14/11/2016


DAL TESTO


In memoria 

Campeggerà il mio nome
sulla tua bara chiusa
oh! Striderà

cigolio folle
in contrasto evidente
con la mia assenza.

Vaghi, opachi
fantasmi del mio io
si ergeranno  nel vuoto,

grideranno il mio rifiuto
Oh deplorevole!

Il  brusio sommesso

3 agosto 2009

4 commenti:

  1. Sono stati eliminati commenti offensivi nei confronti di persone. Il blog è prettamente letterario e si basa principalmente su un dialogo corretto costruttivo ed educato fra commentatori. Non è da escludere il ricorso alla polizia postale.

    Nazario

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ringrazio il prof. Pardini per questa sua profonda e attenta analisi della mia "Scatola nera", per la generosa stima e per avermi accolto nel suo blog, che costituisce per me una ulteriore gioiosa fonte conoscenza!

      Elimina
  2. Chiara Mutti ci offre il suo vertice lirico disteso nell'universale con "in memoria", versi che testimoniano la sua ricerca più intima e sofferta. Ricercarsi sulla tomba in un nome che si trasforma nell'assenza e traduce il rumore più stridente ("cigolìo folle"...) in urlii di fantasmi in protesta: è l'impegno invisibile di un artista lacerata dall'inferno parole. anche il momento estremo dell'io qui si oppone disperatamente al mistero del "vuoto" che né i fantasmi, né un brusìo sommesso dei viventi può risolvere (...vaghi opachi fantasmi del mio io...) è la croce di un profondo essere ferito sino al top esistenziale di un termine infinito che si rammemora nell'opacità della più vaga presenza.
    Marco dei Ferrari

    RispondiElimina
  3. Grazie Marco per questo bellissimo commento alla mia poesia "in memoria". Come sempre è illuminante il punto di vista di chi "legge dentro" i nostri versi, a volte esprimendo quello che sarebbe, per chi scrive,altrimenti inesprimibile. Grazie!

    RispondiElimina