Chiara
Mutti: Scatola Nera. FusibiliaLibri.
2016. Pg. 88. € 13,00
Scatola nera il
titolo di questa plaquette editata per i caratteri di FusibiliaLibri, 2016.
Chiara Mutti affronta un percorso ampio, vitale, a volte piano, altre collinare
e altre ripido da salire con scarpe da montagna. Sì, ogni ambito del vivere
viene toccato con elasticità epigrammatica: ora con dolcezza lirica, ora con
melanconica riflessione, ora con leopardiano risentimento, ora con sfiducia
esistenziale:
Non posso parlare alle cose
che non conosco
se credessi nel fato, in
qualcosa
che la vita o dio o il cosmo
è in se stesso: assoluto,
infinito,
tutto acquisterebbe un senso
e avrebbe forma
potrei forse frugare negli
angoli
di questa scatola nera
trovare le note
di qualche vecchio motivo… (L’equilibrio).
E già ci fa da ingresso quel tocco di nero di
per sé significante per il prosieguo dell’opera. Vale a dire che l’Autrice con
questo titolo secco e conclusivo ci dà da subito l’opportunità di penetrare nel
suo animo, nelle sue intenzioni odeporiche, nel suo ontologico viaggio, fatto
di andate e ritorni, di meditazioni e riflessioni, di speranze e delusioni, di
melanconie e cadute, addensate in albe scivolate in mare:
L’alba è scivolata in mare
e cadendo, fremente di
artigli,
ha sfilacciato il cielo
e il cielo mi è caduto addosso… (L’alba).
Tante
macerazioni interiori che contornano una vita. E si sa che la vita è fatta di
tante tappe, ogni tappa un sogno, ogni tappa una storia, ogni tappa una
scoperta; sono tutti questi segmenti esistenziali a comporre un viaggio di cui
ad un ceto punto vorremmo conoscere la rotta, la luce, il buio, il porto; un
indirizzo sicuro:
I miei piedi
non toccano più terra
nell’eclissi aperta
dell’incrinatura
scivoliamo Oltre…
(Passi).
Il
senso della forza del canto sta nel richiamare le tante immagini che tale iter
ha lasciate dentro di noi, nella scatola nera del nostro esistere; sta nel
riportare a vita quello che siamo stati: dimenticanze, ricordi sfumati,
presenze fuggevoli, speranze tradite, luoghi di amore, amore di luoghi; e le pagine
di tale racconto non sono certo sempre lisce; ci sono pieghe e sgualciture che
ci rendono difficile e problematica la lettura; a meno che non intervenga la
forza d’animo, una buona vista, a sopperire a finali che mai pensavamo
potessero chiudere la trama. D’altronde sono proprio i turbamenti e le inquietudini
a formare il sale, il focus del poema; lo stimolo a conquistare mondi che
avevamo lasciati a parte in questo nostro andare costellato di realtà crude; di
conflitti quotidiani; di sofferenze,
anche, per non avere concretizzato stati emotivi; per non essere riusciti a
toccare quella vetta verso la quale avevamo indirizzato le nostre brame; per
non essere riusciti a conquistare
postazioni sicure:
E’ infinitesimo
l’istante dell’eterno
ci trapassa, ruota
ci addolora
e in fondo al grido tace
e nel rimbombo intimo
ci nasce (La
notte).
Incertezze,
insicurezze, perplessità in una metaforicità capiente e intrusiva che detta le
regole del gioco.
Ma
è umano, fortemente umano, aspirare a travalicare quei confini che ci
costringono a terra. Rientra nelle nostre aspirazioni superare lo stretto
limite in cui siamo condannati. L’essere terreni è in contrasto con le fughe
verso l’azzurrità del cielo; è troppo umano questo voler andare:
Umano troppo umano
del cuore
questo volere andare… (Umano).
Questa è l’inquietudine del nostro esserr-ci.
Una lotta continua fra quello che siamo e quello che vorremmo essere. Il sogno
forse sopperisce a questa deficienza. E’ là che spesso ci rifugiamo per ovviare
alle nostre mancanze, alle nostre debolezze di fronte alle aporie della vita;
ai perché irrisolti e irrisolvibili del nostro andare:
Vorrei scrivere, del mare
la tempesta, il fragore
e le correnti
silenziose,
le abissali venature
del profondo
e la riva, e il porto
che racchiude
ma non ho che marmo bianco
senza occhi
storia
vanagloria di un abbozzo di
figure (Marmo).
Questa
la pluralità ispirativa del canto di Chiara; una complessità vicissitudinale in
cui ognuno di noi trova una parte di sé. E sono gli interrogativi a farsi filo
conduttore della compattezza, e dell’organicità del pensiero della Nostra. Un
pensiero che filtrato dal cuore si affida ad un verbo scattante, nuovo,
combinato in soluzioni stilistiche di pregnante resa poetica: coscienza del
tempo che fugge, della sua precarietà; azzardo di fughe verso spazi risanatori;
verso lumi che rischiarino il buio di un mare troppo vasto per i nostri miopi
sguardi. Sta lì la conflittualità pascaliana fra cielo e terra. Ed è proprio la
contrapposizione eraclitea fra il buio e la luce a dare un senso a questo
nostro soggiorno terreno. La Nostra ci sa offrire tutto questo groviglio epigrammatico
con versi asciutti; con stile energico; con ammicchi significanti che lasciano
al lettore spazi interpretativi; con una
versificazione, insomma, che cerca di agguantare gli slanci di un’anima volta a
togliere il coperchio a una scatola nera. E lo fa ricorrendo a un verbalismo
che superi con potenza icastica le ristrettezze della morfosintassi usuale.
Tanto richiede lo spirito indirizzato a cogliere il mistero di ciò che ci è
nascosto. Forse partire dalle cose più umili, da una realtà dal sapore
minimalista, da una quotidianità che
ogni giorno ci ruzzola attorno, ci rende più facile l’ascensione; l’analisi
anche della nostra interiorità; la percezione di un’assenza che scava, e che
frange la nostra quietudine:
Campeggerà il mio nome
nella tua bara chiusa
oh! Striderà
cigolio folle
in contrasto evidente
con la mia assenza…(In
memoria).
D’altronde
è la vita che ci corre dietro; che non ci dà un attimo di respiro in questo
viaggio a volte scabro, a volte cosparso di cenere
e morti, a volte di venti propizi;
e Chiara Mutti sa di non potersi aggrappare a una corda malferma, stonata; e sa che l’equilibrio non è mai stato il
suo forte; per questo:
… cammina (o) sicura tra
enormi abissi
e poi si ferma (mi fermo) improvvisa
alla prima salita le si fa (mi
si fa) il fiato corto
la voce roca
(L’equilibrio).
Una
voce che grida il suo disagio di fronte all’eterno
Nazario
Pardini 14/11/2016
DAL TESTO
In memoria
Campeggerà
il mio nome
sulla tua
bara chiusa
oh! Striderà
cigolio
folle
in contrasto
evidente
con la
mia assenza.
Vaghi,
opachi
fantasmi
del mio io
si ergeranno
nel vuoto,
grideranno
il mio rifiuto
Oh
deplorevole!
Il brusio sommesso
3
agosto 2009
Sono stati eliminati commenti offensivi nei confronti di persone. Il blog è prettamente letterario e si basa principalmente su un dialogo corretto costruttivo ed educato fra commentatori. Non è da escludere il ricorso alla polizia postale.
RispondiEliminaNazario
Ringrazio il prof. Pardini per questa sua profonda e attenta analisi della mia "Scatola nera", per la generosa stima e per avermi accolto nel suo blog, che costituisce per me una ulteriore gioiosa fonte conoscenza!
EliminaChiara Mutti ci offre il suo vertice lirico disteso nell'universale con "in memoria", versi che testimoniano la sua ricerca più intima e sofferta. Ricercarsi sulla tomba in un nome che si trasforma nell'assenza e traduce il rumore più stridente ("cigolìo folle"...) in urlii di fantasmi in protesta: è l'impegno invisibile di un artista lacerata dall'inferno parole. anche il momento estremo dell'io qui si oppone disperatamente al mistero del "vuoto" che né i fantasmi, né un brusìo sommesso dei viventi può risolvere (...vaghi opachi fantasmi del mio io...) è la croce di un profondo essere ferito sino al top esistenziale di un termine infinito che si rammemora nell'opacità della più vaga presenza.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari
Grazie Marco per questo bellissimo commento alla mia poesia "in memoria". Come sempre è illuminante il punto di vista di chi "legge dentro" i nostri versi, a volte esprimendo quello che sarebbe, per chi scrive,altrimenti inesprimibile. Grazie!
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