Clara
Nistri: Come voce errante. Blu di
Prussia Editrice. Monte Castello di Vibio (PG). 2017. Pgg. 88
Questa
la poesia incipitaria della plaquette che, prodromica al tutto, ad un evolversi
di euritmica sonorità, ci prende per la sua grande duttilità spirituale:
Un’anima
che non ha più sogni
da vivere
annega,
come la foglia appassita
nelle oscure acque di un lago,
nei vuoti spazi
tra cielo e cielo.
Un verseggiare che permette, da subito, di entrare nel mondo poetico della Nistri:
anima che annega, foglia appassita, spazi
vuoti, cielo terra, tanti riferimenti di natura psicologico-introspettiva
atti ad aprire un percorso di ricerca attraverso pensamenti e suggestioni di
forte tensione contemplativa; di impatto meditativo-esistenziale attraverso composizioni,
che, introdotte da citazioni di grandi
autori, evidenziano la cultura
letteraria della Nostra; il suo amore per questa antica arte che ognuno si porta
dentro senza saperne il perché. Sì, ognuno di noi è un po’ poeta, e davanti ad
uno squarcio di cielo, ad un orizzonte
marino, o ad una passita primavera, prova brividi che dicono di un’innata sensibilità;
di una vita che palpita o sfiorisce; che esplode o geme. Ma essere poeti è ben altra
cosa: le sensazioni, le emozioni, le
passioni, i turbamenti… sono sicuramente l’alimento primo; il focus del canto,
dacché ogni realtà fenomenica ha bisogno di essere filtrata dall’anima per
farsi immagine. Ma, soprattutto, occorre che trovi il vestito adeguato per farsi
corpo; colore per farsi viva. La parola. Il verbo che con tutta la sua
icasticità ci viene incontro predisposto a dare forza a tali subbugli; se ne fa
compagna, e con estrema disponibilità offre tutto il suo bagaglio
lessico-fonico a ché tali input emotivi trovino posto sufficiente a contenerli.
Questo il cuore della scrittura. Questo l’elemento basilare per trasmettere le
nostre vertigini esistenziali; le nostre epigrammatiche inquietudini. E tutto ciò per dire della importanza che
assume la verbalità nel discorso poetico della Nistri. La sua parola si fa
elemento portante nella struttura del testo: adegua il suo potere lessicale ora
alla dolcezza ora alla nostalgia ora alla melanconia ed ora al mistero che
circonda il Creato. Una simbiotica fusione fra dettato eufonico e substantia
significante. D’altronde, partendo dai versi testualmente citati, si capisce il
valore dell’ego di fronte all’importanza dell’onirico. Intendendo per tale ogni
obiettivo che l’uomo si ripropone nel tragitto della sua navigazione; ciò che spinge alla ricerca
dell’isola agognata, che alimenta il desiderio di superare la precarietà
della vicenda umana: “Un’anima che non ha più sogni da vivere
annega, come la foglia appassita nelle oscure acque di un lago, nei vuoti spazi
tra cielo e cielo.”. La poetessa è cosciente della precarietà del vivere,
dei limiti che frenano i suoi voli; della impossibilità di toccare l’azzurro
con mani nate per razzolare a terra. Ma ciò non toglie che non possa azzardare
la sua navigazione in cerca del faro che illumini il porto. Lunga la navigata,
lontana l’isola a cui ambisce, il mare è immenso e carico di trabucchi; da ogni
parte si levano scogli a ostacolare il percorso: imbatterci in quegli aguzzi
speroni non è difficile; è umano,
immensamente umano. Tutto sta nel trovare, dopo l’impatto, la forza per
continuare coi resti che permangono, pur fragili; e sono proprio i sogni a
costituire la vèrve del viaggio; le memorie a incalzarci a proseguire dacché
sono la storia del nostro vissuto. Un patrimonio che teniamo ben stretto,
sempre più folto, sempre più denso, ricco e fertile per i canti del nostro
poema. Forse è proprio con i nostri ricordi che possiamo superare in gran parte
l’idea della brevità del soggiorno che ci è toccato; della futilità di una
sacrosanta storia. Mi diceva un mio vecchio professore che la memoria è uno dei
pochi sistemi per vincere la morte. Senz’altro
allunga la vita con tutta la sua carica vicissitudinale. E attingere da quel
serbatoio, da quelle vicende che si sono trasformate in immagini durante un lungo
riposo fattivo, vuol dire alimentare il terriccio della poesia; renderlo
fertile per allunghi di poematica valenza. Dacché la poetessa sa che scrivere
significa analizzare fino in fondo il nostro essere; scrutare con perspicacia
nei meandri più reconditi dell’esistere. Questo è il messaggio della poetica
della Nistri: amare, vivere, soffrire, meditare, volare e credere: una vita;
sì, una vita intera consegnata a versi di polisemica intensità: rapporto con la
morte:
Sul luogo della mia infanzia
-
odore
d’erba
di pane cotto nel forno.
(…)
Portami via.
Forse la morte
altro non è che sonno
saudade e nostalgia di un
tempo:
Oh! poter ripercorrere il
cammino,
tornare alla meraviglia di un
tempo.
Come pesa sul cuore
il tuo silenzio…
attesa:
Oggi ho solo ferite
E strappi nelle vesti,
oggi, nel crepuscolo dei
giorni
vivo l’attesa.
C’è stato un tempo…
verità indistinte:
E’ l’acqua
la mia sola salvezza,
sorgente di trasparenza
che slabbra
verità indistinte.
Sorriso.
Tempo immobile:
Mi sporgo nel silenzio
in ascolto del buio della
notte,
in attesa di un sorriso
di questo tempo immobile.
attaccamento
alle radici:
Qualcosa d’irreale la casa,
una creatura di pietra
distesa nel prato innevato
come un disegno senza
prospettiva.
Tra cielo e aria l’ombra di
una nube
-
una
zona bianca
come il volo della colomba,
un tratto scuro
come la tristezza.
metafisici
abbrivi di un silenzio che appartiene a Dio:
Sarà la solitudine del luogo,
il respirare del vento,
a preparare l’istante
quando riuniti pezzi e rovine
sarò di nuovo me stessa
nel mistero del grande
silenzio
che appartiene a Dio.
Una
pluralità di congegni interiori che dilatano a ventaglio il fatto di esistere,
sviluppandosi in un climax di umana pertinenza,
dove il silenzio abbraccia il gioco del canto: tre le sezioni: LUOGHI
D’ANIMA, STORIE DI VITA, IL SILENZIO E L’ATTESA.
Una
indagine attenta e analiticamente approfondita che l’autrice attua alla ricerca
di se stessa; una metaforicità tesa a superare il lemma per toccare gli àmbiti
più nascosti della psiche, sono gli accorgimenti stilistici che emergono dalla
silloge, e che dànno compattezza ed organicità all’impianto tematico.
Nella
prima parte del viaggio Clara si affida ad una natura loquace e fidente; ad un
silenzio vivo per dare risposte vaghe a interrogativi inquietanti: “Forse quel luccicare/ di foglie,/ forse
questo silenzio vivo/ sono ancora l’essenza/ della grazia”, in cerca di una
umanità lungo la linea di confine fra il tutto e il niente: “Per ritrovare la mia umanità/ mi inginocchio
alla presenza di Dio/ - un uro di silenzio/ lungo la linea di confine -/ Forse
il cielo è al di là”. Un continuo azzardo verso orizzonti escatologici che
rivelano la pochezza del nostro essere; il disagio della terrenità di fronte a
quel tutto verso cui ambiscono le nostre forze umane e disumane. Nella seconda
parte continua questa navigata verso un porto di non facile ancoraggio. Questa
volta attraverso tappe che toccano ambiti esistenziali; interrogativi di
difficile soluzione sulla vita, la morte, Longino, tante storie che dicono di
Dio, di fede, di incontri, di notti fonde, di nubi di fumo che annodano il
cielo, di luce vera dove si intravede la mano di Dio. Questioni che bruciano
dentro: “Quando comincia/ quando finisce la
vita?”. A introdurre la terza parte brillano quattro versi di Roberto
Carifi che, con tutta la loro pluralità significante, fanno da antiporta
all’ultimo canto del cigno; quello d una Poetessa che vive in silenzio la sua
trepidante attesa: “Trepidante attesa/ di
una visione di luce/ che arretri in noi/ la paura”. L’attesa di poter
giungere ad una verità che forse non ci è dato scoprire tanto con la ragione
quanto con slanci di intima spiritualità che dal corpo si elevano all’azzurro. E
l’attesa è sperdimento, ma anche meditazione, raccoglimento di un’anima tutta
volta a raggiungere il faro che illumina il porto: “L’acqua ritorna all’acqua/ il suono torna al suono,/ luce alla luce./
L’anima torna a Dio/ e si fa eterna”.
Una immersione nella luce accecante. Un gioco di rinascita, di rinnovamento, di
fusione con la potenza divina per farsi anima eterna.
Nazario
Pardini
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