Guido
Zavanone: Percorsi della poesia.
Edizioni dei Giustiniani. Genova. 2017. Pgg. 96. € 15,00
Nel libro della vita non è lecito
saltare le parentesi:
i ripostigli ombrosi ove si celano
le quiete giornate senza storia, i sapidi
avanzi dei conviti, anche sovente
le sagge provviste del futuro.
Poesia
polivalente, generosa, pensosa, riflessiva. Direi una svolta verso nuove vie
che, con Viaggi, terrestre e celeste,
Guido Zavanone imbocca per dare sfogo ad un complesso e articolato pensiero. Due
gli odeporici azzardi strutturali: con la loro ampiezza offrono all’autore la
possibilità di estendere la sua filosofia e i suoi stadi emozionali in una
versificazione di poematica valenza.
E non
è di sicuro di secondo piano il fatto che il poeta si ricolleghi ai grandi della nostrana vicenda letteraria: da
Dante al Petrarca, dal Leopardi a Luzi sul tema del viaggio: un tema che
coinvolge ogni letteratura dagli esordi fino ai nostri giorni, considerando che
“la spinta alla fuga; ad andar lontano”, “a sognare mondi più giusti” ha fatto
parte della storia dell’uomo, forse perché questi ha sempre avuto in cuore l’intento
di scavalcare le micragne del contingente, o di approdare ad alcove rigeneranti
per compensare le carenze delle miopie umane. E qui sembra che lo scrittore
viaggi più attorno a casa che verso paradisi esotici. D’altronde ogni poeta
sente il bisogno prima o poi di intraprendere una navigazione verso un porto
che illumini col suo faro un approdo; è il miraggio di una vita scoprire la rotta,
il percorso da intraprendere per giungere a delle conclusioni, alla soluzione
di certi interrogativi, che hanno mostrato tutta la loro ostilità nell’aprirsi al
sapere; o alla giustezza della convivenza sociale. Mettere a fuoco tali carenze
con sottile virulenza vuol dire scalare una montagna attraverso sentieri
tortuosi e impervi. È qui il nocciolo della questione, il leitmotiv che dà
compattezza ai contenuti: sta nell’affidarsi alla metaforicità di un cammino
che tanto simboleggia la vita e i suoi
dilemmi. Cosciente il Nostro dell’improbabilità di risolvere le questioni
esistenziali con i mezzi umani, si affida ad un genere speculativo vicino sia ad
un impegno razionale che emotivo, ricorrendo a tutti i marchingegni che il
fatto di esistere ci offre: fantasia, immaginazione, cultura letteraria,
creatività, padronanza stilistica, dilemmi escatologico-teologici, amore,
thanatos, pentimenti e memoriale, significanza epica e narrativo-dialogica ex
abundantia mentis et cordis di uno scrittore che ha dato tutto se stesso al
mistero e alla attrazione della poesia. Si viaggia per terra e per cielo alla
scopetta del sapere; alla scoperta ardua e difficile del vivere. Ma
soprattutto alla scoperta dell’uomo, e
della sua collocazione in questo mondo tanto variegato; non di rado disumano.
È
necessario, fortemente necessario, inventarsi un nostos, farsi nostoi di
un’avventura che sappia tanto di ultra partendo da una realtà spicciola; che ci
porti tra ombre di viventi, ad assalti amorosi, a rive di onirici pentimenti, a
sentieri di perdoni, a regni che
governano il Potere divino e il Nulla eterno, a voli di piccole ombre rilucenti
di bambini che muoiono a milioni sulla terra per fame e sete; ad incontri con gli avi “ Ora vengono a te
persone care”; ad incontri con anime di
migranti “se torni – gridò piangendo - / in quel mondo ove l’uomo / si
affida all’amore di Dio/ chiedi al
signore vestito di bianco/ perché morì innocente il bimbo mio.”. Sì, è proprio necessario
per un poeta coronare la sua storia a livello etico, imboccando strade che si
aprono alla realtà e al sogno.
Un’opera
densa, zeppa di vita e di miserie; di peripezie dell’umana degradazione, ma
anche di miracoli rievocativi che giocano su richiami lirici, su personali
impegni sentimentali che si fanno oggettivi.
E il
tutto con una narrazione che spesso sembra tradire l’architettura portante del
linguaggio di Orfeo, per la sua stesura, “sempre a rischio dell’eccesso di
prosa”, come afferma il prefatore. D’altronde
Zavanone ha capito che la vocazione sintetica del canto, quella di una silloge in generale con la
segmentazione lirica delle pièces che la compongono, non sono sufficienti a
contenere cammini di francigena estensione; e per questo cavalca misure che
diano la possibilità di estendersi raccontando, affidandosi al poema, ad un contenitore di narratologica portata per soddisfare
ampiezze speculative: quelle accumulatesi durante gli studi e i pensamenti di
un’intera vita.
<<Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la
cosa più fragile del mondo.>>, afferma Blaise Pascal, nei Pensées. Quella vita tanto fragile che fa di tutto per
concretizzarsi in stesure sostanziose, in percorsi di valenza storica,
meditativa, contemplativa e, anche, suggestiva. E’ quello che attua Zavanone
con questa nuova opera che, oltre a rompere gli schemi della sua poetica,
lascia un rendiconto di fattiva intrusione umana, e di ricerca speculativo-ontologica,
che completa, non poco, la sua storia nel diorama culturale attuale.
Nazario Pardini
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