Cinzia Baldazzi: note critiche
su “Souvenir d’Italie”
Il testo seguente è stato
letto il 26 gennaio 2019, nella Sala Consiliare del Comune di Monterotondo, nel
corso della presentazione di Souvenir
d’Italie di Angelo Mancini.
Cinzia Baldazzi scrittrice, critico letterario, saggista |
«Non si scrive un poema con le
idee, ma con le parole».
Stephane Mallarmé, maestro del Simbolismo
francese, aveva ragione. La parola poetica autentica, nell’atto di essere
evocata, accolta, ben presto neutralizza la fondamentale natura di veicolo
comunicativo a vantaggio dell’ispirazione, della scintilla in grado di generarla.
In Souvenir
d’Italie, infatti leggiamo:
«il poeta / vuole, però, /
esprimere / sempre / liberamente / il suo pensiero / estetico / (e non solo) /
su ogni cosa / senza ipocrisie / opportunismi / o altro che sia» [XLII].
Quest’opera di Angelo Mancini, in realtà, si
mostra non tanto come un poema classico, quanto una silloge-poema. Lo
sintetizza Aldo Onorati nella prefazione:
«Un lungo canto in ipometri,
disarmante atto di accusa al mondo contemporaneo e dichiarazione di uno
smarrimento dell’io di fronte alla massa anonima se non acefala».
Dunque, la prima consapevolezza maturata è
stata di ascoltare una serie di messaggi trasmessi dall’Io in campo, anche se
nel caso di Mancini userei piuttosto il termine “Ego”. Messaggi coincidenti con
un’esperienza collettiva individuata dall’autore con rara coerenza, riflessiva,
non apodittica, completa, per niente occasionale, dove l’Autore dialoga per noi, con noi.
Il componimento è munito di un eminente taglio storico-filosofico.
Potrebbe iscriversi nel repertorio dell’invettiva,
nobilissimo genere letterario capace di attraversare la storia dell’uomo, il
cammino della civiltà, a partire dall’Apocalisse
di Giovanni: Friedrich Nietzsche la definiva «la più caotica di tutte le
invettive scritte che la vendetta abbia sulla coscienza». Un simile discorso è
stato magistralmente utilizzato nell’antichità da Marziale, Catullo, Giovenale,
quindi Dante Alighieri, qua e là da Petrarca e Foscolo, poi Savonarola, Bruno,
l’Aretino, a metà ‘800 Guerrazzi, fino al ‘900 dei nostri Pasolini e
Sanguineti.
Ma con una differenza: nella tipologia retorica
e narrativa, la struttura, nella maggioranza dei casi, assume un carattere
denigratorio contro il prossimo, di accusa e rimprovero, mentre in Souvenir d’Italie, citando ancora
Onorati, il contenuto esibisce «toni scattanti, nervosi, precisi, aguzzi, di
lancia preistorica che non fallisce mai il segno»: e il target di Mancini
riguarda tutti, non nel ruolo di singoli responsabili più o meno informati, ma in
una sorta di volo utopico del manzoniano «volgo disperso che nome non ha…»,
però all’estremo opposto della dinamica sociale.
Ne scaturisce un angoscioso itinerario di
stampo onirico, dove lo sdegno civile non ha appunto obiettivi con identità
circostanziate: esse sarebbero limitative del vasto piano di pertinenza del
discorso, anche se, è vero, i nomi, i cognomi, le date, le vicende specificate non
sono infrequenti.
La polemica, a volte irruenta, prende le mosse
dalla giovinezza. Sin da ragazzi siamo influenzati, rabboniti:
«in un clima, / giustamente, /
di serenità / e buon umore / tra battute / di spirito / e aneddoti /
divertenti» [XL].
Nella cultura, in particolare in una precisa categoria,
«si è fin troppo / delicati e
pazienti / permissivi accondiscendenti» (…) «molti scrittori / che accettano /
supinamente / per convenienza / (vendite libri) / e menefreghismo / (inviti di
vario tipo) / accettano, / ripeto, / ogni degrado / ogni nefandezza /
coprendosi gli occhi / tappandosi le orecchie / e turandosi il naso» [XL].
Su un’analoga famiglia umana, afflitta, snaturata,
mi accade di pensare a Edmund Husserl e alla sua condanna delle speranze. Il fondatore
della fenomenologia, membro della Scuola di Brentano, non credeva all’esistenza
di un Io puro: considerando proficua un’aura privata protratta sempre
all’esterno, cercava, nell’esperienza complessiva, un auto-estraniamento del proprio
iter individuale, necessario a costruire una coscienza del mondo.
In un’ideologia parallela, sarebbe dunque da
auspicare un ambito in cui i nostri consimili, per quanto tra loro estranei, possano
esplicitare un modus vivendi capace
di una profonda comprensione di sé: un Ego alienato, certamente, senza dubbio
soggettivo, sebbene all’altezza di schierare se stesso vicino agli altri.
Husserl scriveva a cavallo tra Ottocento e
Novecento, quando ancora non padroneggiavano i condizionamenti dei mass-media e
della politica: i due grandi nemici della Weltanschauung
di Mancini. Di lì a poco avrebbe dominato - cito le parole di Angelo - quella
«dittatura sotterranea voluta dal denaro, la quale fa pensare al “brutto /
poter che ascoso a comun danno impera” di leopardiana memoria».
Ma oggi, in che misura è consentito assolvere
al quesito di Husserl? Lo ripropone il suo maggior studioso, il tedesco Gerd
Brand:
«Come possiamo soddisfare ora,
in questa nuova prospettiva, all’esigenza del ritorno “alle cose stesse”? A quale dimensione dell’essere dobbiamo
operare la riduzione, quale essere provvisorio dobbiamo mettere tra parentesi,
da che cosa dobbiamo astenerci?»
Non siamo in grado di rispondere. Mentre nel
prologo di Souvenir d’Italie «vaga,
vaga la mente» con «sensazioni distorte / malate / strana energia interiore», in
seguito disperiamo dei mezzi attuali acquisiti: trasgredendo le aspettative, essi
non aiutano a proiettarsi in avanti per conoscere, conoscerci. Anzi, sono «come un veleno / che uccide, / lentamente,
/ la società intera» con «tutti quei costosi / giocattolini tecnologici / che
infestano il mondo».
Poi, se tentiamo di decifrare la vita e lo status naturali, viene in soccorso il
presagio di Husserl, la sua visione profetica. Scriveva circa un secolo orsono:
«Io posso agire come prima
quale padre di famiglia, quale cittadino, quale funzionario, quale buon
europeo, appunto come uomo immerso nella mia umanità, nel mio mondo. Come
prima, eppure non proprio come prima. Perché l’antica ingenuità non riuscirò
più ad attingerla, potrò soltanto comprenderla».
Se volessimo spiegare tale angoscia? Con un
salto di cento anni, Mancini commenta:
«…ma vallo a far capire / a
chi non vuole capire… / (masse belanti di tutte le età, / etnie, condizioni
sociali… e, / vorrei vedere…!, / Zuck vari ed eventuali…)» [XLVIII].
Ciononostante, il volere artistico di Angelo Mancini,
il suo Kunstwollen, analizzando le
false critiche odierne, seleziona lo strumento del ricordo non in chiave nostalgica. Il suo non è un “come eravamo”,
piuttosto “come dovremmo essere”: non una sorta di continuum antagonista al mutare della storia, invece suo complice.
Ciò avviene all’insegna e nel rispetto di un ancestrale hic et nunc capace, comunque, di nutrirsi dell’attualità vitale
umana, della difesa dagli abusi intellettuali, fisici, dagli attacchi
all’intelligenza e al libero arbitrio, contro il vuoto dei valori perduti,
tentando di cancellare tracciati disseminati di ansia e dubbi.
«L’io, in quanto l’uomo, è un
essere che si presenta nel mondo tra tanti altri esseri».
Le parole di Husserl sembrano dar voce al
concetto freudiano di “conscio” (Bewusst).
La necessità di conoscere, plasmare la coscienza di sé, è appunto il filo
conduttore di Souvenir d’Italie.
Il libro di Mancini elabora un’avvincente e fitta
rete simbolica con riferimenti realistici: la prova maggiore è nel poemetto
LXV, sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro, brano inserito nel testo dello
spettacolo teatrale Progetti di delirio
di Alberto Patelli. Forse il massimo e drammatico esempio della fiducia
dell’autore nell’eccezionale carico semantico insito nella parola.
Alla fine dell’800, il logico e semiologo
statunitense Charles Sanders Peirce scriveva, anch’egli in una previsione
stupefacente:
«La parola vive nella mente di
coloro che la usano. Anche se sono tutti addormentati, essa esiste nella loro
memoria. I simboli crescono. Un simbolo, una volta in vita, si diffonde tra la
gente. Con l’uso e l’esperienza il suo significato si arricchisce. Potrebbe non
indicare nessuna cosa particolare, bensì denota un genere di cose, e non solo, ma
è esso stesso un genere e non una cosa singola».
Torniamo così al senso ultimo delle invettive
di Mancini, indirizzate non verso singole personalità bensì rivolte con
irruenza a fatti o situazioni ritenuti biasimevoli: il consumismo, la gestione
politica, l’uso della tecnologia, il degrado della scuola, il circo mediatico,
la decadenza della famiglia.
Il condizionamento della società è il campo
semantico dell’opera di Angelo Mancini, il mezzo letterario è il veicolo su cui
fa viaggiare noi lettori. Vale per lui quanto scrisse il filosofo e poeta
statunitense Ralph Waldo Emerson, quando la Sfinge parla all’uomo:
«Dell’occhio tuo, io sono il
raggio».
Ecco, Souvenir
d’Italie è una luce chiarificatrice, l’autore la accende per noi tutti.
Ancora Peirce:
«Ogni esperienza, nella misura
in cui è cosciente e comprensibile, contiene elementi di memoria e di
anticipazione, cioè di interpretazione mediatrice tra i fenomeni del flusso
fenomenico. L’oggetto può essere illuminato solo a patto di essere
interpretato; l’interpretazione è frutto della mediazione creativa dell’uomo».
Ringraziamo Angelo Mancini per aver offerto una
preziosa occasione di concretizzarla. Dopo aver chiuso il suo libro, il resto tocca
a noi e a voi: ossia, appartiene al concetto universale più prossimo al senso
del presente in generale.
ADDENDUM
Aggiungo poche righe dopo aver
ascoltato con interesse gli interventi di Franco Campegiani, Sandro Angelucci e
Caterina Manco, citando ciascuno termini, personaggi e situazioni legati ad
alcuni nodi cruciali del mio bagaglio personale nel campo della cultura.
Campegiani ha parlato
innanzitutto di “melica”. Confesso di non aver più sentito, chissà da quanto
tempo, la parola con la quale si indicava la prima forma di verso cantato (μελικὴ
ποίησις),
accompagnato da cetra o flauto. Più tardi, in età ellenistica, il vocabolo
“lirica” avrebbe soppiantato e compreso quello di “melica”, conservandone le
differenze interne (monodica e corale, aulodica o citarodica). Campegiani ha
inoltre voluto rammentare Michel Foucault, un pensatore per me decisivo
nell’interpretare i complessi meccanismi del discorso nell’attuale circuito
delle comunicazioni di massa, incluso l’atto di parole poetico: le sue
ricerche sulla censura, sul non detto, sulle forme del sapere in generale, sono
uno stimolo impareggiabile a chiunque voglia addentrarsi nei meccanismi di
circolazione della parola, comune e polisensa, letteraria.
Da Angelucci ho recepito,
quasi lo avesse voluto sottolineare, il vocabolo “poetica”: non aggettivo di
“poesia”, bensì sostantivo, a indicare l’insieme dei problemi inerenti, sia con
riferimento a scelte individuali sia in qualità di esperienze letterarie ed
estetiche precedenti. Nella prima metà degli anni ’70, alla Facoltà di Lettere
de “La Sapienza”, le lezioni di Walter Binni arricchivano la fondamentale
nozione critico-estetica e storiografica: contro la metodica di Croce, la sua
idea di poetica si caratterizzava «per una diversa volontà di integrale
ricostruzione e delle personalità artistiche e della storia letteraria».
Seppure Binni abbia volutamente lasciato un margine di incertezza nella
distinzione tra “poetica” e “poesia”, il suo magistero rimane tra i più
incisivi del XX secolo, trovando sistemazione nel saggio Poetica, critica e
storia letteraria del 1963.
Infine, Caterina Manco,
Presidente della meritoria Università Popolare Eretina. Ricordando il sodalizio
di una vita con Angelo Mancini, ha parlato di una «lunga frequentazione». È tra
le mie frasi cult: proviene direttamente da un film eccelso, I duellanti di Ridley Scott, tratto da The Duel, racconto lungo di Joseph Conrad
del 1907. Nella sceneggiatura dello scrittore Gerald Vaughan Hughes, seguiamo
il generale D’Hubert, bonapartista schieratosi poi con la fazione vincente dei
realisti, recarsi dal plenipotenziario Fouché per salvare la vita
all’integerrimo napoleonico Féraud (ora in disgrazia e destinato alla
ghigliottina). Il Ministro chiede all’ufficiale come mai voglia intercedere e
soprattutto cosa lo leghi a Féraud: amicizia? legami di parentela? interessi?
L’inarrivabile risposta di D’Hubert è: «Una lunga frequentazione…».
Grazie
a Caterina, a Franco, a Sandro per aver condiviso queste suggestioni, vive nel
mio passato personale, ancora vitali nel presente.
Cinzia Baldazzi
Cinzia Baldazzi, da grande letterata ed umanista qual è, ha arricchito la silloge con citazioni forbite dall'alto significato simbolico e non solo. Una silloge "denunzia" immersa nei problemi contemporanei dell'Italia, alla quale il poeta Angelo Mancini suggerisce un "pronto soccorso". Souvenir d'Italie...
RispondiEliminaRingrazio, di certo anche a nome di Angelo Mancini, l'amico e collega Sergio Camellini per aver sintetiticamente individuato - grazie a confermata lucidità ed esperienza critica - uno dei leitmotiv cruciali del libro.
RispondiEliminaHo assaporato il testo di Cinzia Baldazzi nuovamente e con maggior riflessione (cosa che, purtroppo, quando si è coinvolti nella presentazione non sempre, e per diverse ragioni, riesce completamente).
RispondiEliminaSintetizzo in questo suo pensiero la sua prolusione perché lo trovo auspicabile e positivo per un futuro migliore:
"...In un’ideologia parallela, sarebbe dunque da auspicare un ambito in cui i nostri consimili, per quanto tra loro estranei, possano esplicitare un modus vivendi capace di una profonda comprensione di sé: un Ego alienato, certamente, senza dubbio soggettivo, sebbene all’altezza di schierare se stesso vicino agli altri.".
Con profonda stima,
Sandro Angelucci
Caro Sandro, hai ragione, l'aspetto umanitario di comprensione generale di noi tutti come collettività è fondamentale nella poetica di Mancini. Un "collettivo", come si diceva una volta, somma i tanti singoli, non isolati, ma parte di un tutto solidale, anche se differenziato. Sono onorata della tua stima.
RispondiEliminaGrazie.
Avevo promesso all’amica Cinzia che avrei letto volentieri la sua presentazione all’opera “Souvenir d’Italie” di Angelo Mancini. L’ho fatto con un po’ di ritardo e me ne scuso! Ciò però non limita il piacere dell’immedesimazione e del coinvolgimento sulla riflessione soprattutto umanistica della quale ci viene fatto dono. Percepisco da quanto scritto, il credo e la esposizione di Mancini così come tutta la capacità Cinzia di rendere pregnante e profondo ogni passaggio trattato.
RispondiEliminaC’è nella disanima dell’opera, tutto un excursus storico-filosofico-filologico-letterario che appassiona ed erudisce non trascurando citazioni dell’autore e rimandi a più illustri pensatori per validarne le idee.
Inutile dire quanto diventino positivi per questa opera i riferimenti trattati dalla Baldazzi, Cinzia con chiara conoscenza ed altrettanta profondità e preparazione, riesce a farci gustare il senso vero dell’opera dell’autore.
Ringrazio per avermi invitato a questa costruttiva lettura.
Caro Carmelo, siamo noi - Angelo Mancini e io - a ringraziare per l'attenzione riservata. Sperando, anche con il tuo aiuto, di continuare a divulgare l'idea che, in questo mondo illustrato nel "profondo" di "Souvenir d'Italie" come denso di contraddizioni e antinomie, la cultura sia viva e attiva.
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