Lidia Guerrieri, collaboratrice di Lèucade |
Nazario Pardini
prefazione
a
Le
pallide dita della luna
di Lidia Guerrieri
La voce del mare nella melodia del verso
LIDIA GUERRIERI. LE PALLIDE DITA DELLA LUNA. MAURIZIO VETRI EDITORE. 2019 |
La mia
poesia è tutta nei tuoi occhi, è così che inizia l’opera, con
una poesia che l’Autrice dedica alla figlia: un sentimento tanto potente che
non sono sufficienti le parole a esternarlo, occorrono immagini naturali per
dare colore, forza, ed esplosione allo stato d’animo: l’edera, il corimbo, il
lattice, la luna...
A ROMINA
La mia poesia è tutta nei tuoi
occhi
d'edera
e di corimbo,
sulla
tua pelle
che a
lattice di luna eguaglia il lume,
piccola
donna mia che tutto sai del mondo
e di
cui il mondo non conosce il nome!
(...)
C’è il bisogno di ricorrere a configurazioni paniche, anche
nel resto della plaquette, per concretizzare le vicissitudini; un
antroporfismo delicato e gentile che
contribuisce non poco alla organicità dell’insieme: Marina, il mare, le viuzze,
il Maestrale o il Libeccio che si fanno simboli di una storia in un dire di
classica misura che tanto risente di studi umanistici e di ambiti culturali
letterari, ma soprattutto di un animo zeppo di cose da narrare:
La
giuncaia che fiuta il Maestrale,
l'onda
che passa al vaglio sassi e rena,
e le
pallide dita della luna
a
frugare nel vento siderale
non
sono poi lontani
dal
falco che scandaglia i fiumi azzurri
sopra
le creste d'oro. Nè è diverso
colui
che scruta l'anima o che annaspa
tra le
curve insondabili del cielo
dal
verme che da secoli rovista
testardo
i sottoscala della terra.
Sì, si
respira aria di salmastro, odore di pinolo, e si ode lo sciacquio della bàttima.
La Guerrieri è tutta qui, con la sua storia, con la sua terra, con cui torna sempre a dare
carburante al serbatoio del linguismo, del patema esistenziale.
Una
silloge, questa di Lidia, che abbraccia con melanconici abbrivi le fragranze
della vita; e lo fa scolpendo coi versi la materia da forgiare. Sì, la vita con
tutte le peripezie, con tutti i dilemmi, con tutte le aspirazioni spesso
tradite dal volgere della sorte. Ma quello che da subito risalta agli occhi e
alla mente è il verso: un’architettura di intrecci verbali, di iuncturae
simboliche assegnate alla grazia della melodia. E tutto si fa musica, euritmica
sonorità, romanza che prende e non molla; che arriva e convince; che allunga il
tiro a sponde di isole lontane, verso le quali la Nostra aspira, e a cui tenta
di approdare in cerca di mondi puliti dove i tramonti sfiorano coi loro colori
gemme pure e vergini, dove poter ri-vivere con volti amati e troppo presto
scomparsi, e dove i sogni, le presenze e gli affetti non vengano scalfiti dalle
mani del tempo. Un’isola, insomma, dove la vita è vita, l’amore è amore, e
tutto si svolge senza trafitte dolorose, senza provare solitudini di un
esistenzialismo esiziale:
(...)
Capita
allora che ti accorga come
sia il
cuore dell'Inverno solo un buco
grigio
di luce, e freddo d'inquietudine,
e che,
mentre il dolore graffia il muro,
ti
chieda se potessi un poco entrare
ed
asciugare al fuoco questi panni
intrisi
di rimpianti e solitudine.
Rimpianti,
ritorni, rievocazioni... in versi nutriti di sinestetici accostamenti o di
metaforici allunghi che tanto danno al cuore del canto.
Senz’altro
la Nostra non appartiene a quella corrente di avventure sperimentali che
tradisce il vero spirito della poesia; non appartiene di certo a quella cerchia che ha contribuito con
positure prosastiche a stravolgere l’anima del poièin. Direi piuttosto il suo “poema”
un racconto interiore, una confessione che tanto si avvicina all’empito di un
realismo lirico. E il tutto si fa dolce e fluente, amabile e nostalgico, vero e
concreto come lo è la vita nel suo corso di andate e ritorni. Spesso c’è il
tentativo di aggrapparsi a memorie di antiche primavere:
(...)
E sono
insieme, voci di bambini;
mi vedo con le trecce in mezzo a loro:
risa di cerchi e giochi,
e laggiù un echeggiare di campane:
“Io sono il tempo,
giro la ruota, tutto cambia intorno!
E
sempre vado avanti,
io non ritorno!
Mai più ritorno!”
E come in un ninnare di rintocchi,
ecco che le distinguo
e riconosco;
voci lontane, sperse nel profondo,
tornano a sussurrare dolci e piane
le parole sfogliate di anno in anno,
si smorzano ed in esse mi confondo;
ronzio che mi accompagna e che si perde
sulla porta del sonno...,
o il bisogno di ripescare volti e luoghi che hanno segnato
tappe fondamentali nel percorso dell’esistere:
L'avete
vista la ragazza bionda,
odorosa
di mare e di bucato
per le
vie alla Marina?
(...)
Va a
spolverare tombe, quasi all'alba.
e poi
di casa in casa,
fringuello
che sfaccenda gorgheggiando
e
dall'aurora torna al nido a sera.
Non
parrebbe, ma a casa ha una bambina
che ha
freddo ed ordinate vesti smesse,
oro di
nonne e baci,
vuoti
nel cuore, ma la bocca piena.
L'avete
vista, dite, la mia mamma?
Io la
ricordo appena!
Versi che ti prendono e non ti mollano; che dicono di dolore e sottrazioni;
di saudade e melanconiche intrusioni per ricordi che tornano vivi a stuzzicare
l’anima:
(...)
e
camminai fra genti, e mendicante
chiesi
pietà su quelle stesse vie
che
con violenza avevo insanguinato.
Io,
pensiero divino, io progetto
che
ancora deve compiersi.
È lì che la Guerrieri soffre e si fa triste
per una clessidra che ha fagocitato i
momenti più caldi dell’esistere,
reificando un’inquietudine che attraversa come filo conduttore il sottofondo
dell’opera, senza, comunque, volgere la rotta a un sentimentalismo mellifluo e
decadente, ma mantenendola dritta verso la robustezza del dettato lirico. È la
parola, il verbo, la spontaneità, a
volte vulcanica, a fare da padrona negli intrecci verbali, in quelli
rinvigoriti dal mare, dai venti o dai pini dell’amata Marina. Soprattutto
quando si dà all’anima la possibilità di girare libera fra gli anfratti dei
suoi luoghi, fra gli angoli più segreti della sua terra, fra le cospirazioni
emotive dei suoi dintorni; è essa che rincasando dalle perlustrazioni si porta dietro immagini di onde
verdeggianti, di case umide e fredde, solitarie, di piogge invernali, di
autunni velati di tristezza. Sono lì, in quelle occasioni, i frammenti di
un’anima tutta volta a cristallizzare i suoi abbrivi. Se poesia significa
sentimento, immagine, memoria, e parola; se significa un mix di tutto questo
con la poesia della Guerrieri ci troviamo davanti a pagine di vera intuizione
lirica; di vero abbandono estetico, d’altronde non era E. A. Poe a definire nel saggio postumo Il
principio poetico “ la
poesia “creazione ritmica della bellezza”, convinto che “il sentimento poetico
si ottiene nell’unione tra poesia e musica, giacché nella musica, forse,
l’anima raggiunge quasi interamente il grande fine per il quale, se ispirata da
un sentimento poetico, essa lotta… per raggiungere la creazione della Bellezza
Suprema…”.
Quello che Lidia ottiene con uno spartito di settenari,
doppi settenari, accessori di effetto contrattivo o estensivo, ipertrofie e ipotrofie
formali, interpunzioni a centro verso per emistichi: il tutto in funzione di
endecasillabi che risuonano come getti di corrente in cascate di musicalità.
Finché il cerchio si chiude con un
inno all’amore; a quell’amore verso la figlia con cui l’Autrice aveva dato il
via al suo racconto; e lo fa con una oracolare visione di forte impatto
emotivo:
(...)
E poi che sarà colma ogni
tua luna
e non avrai rifugio per accogliermi,
cercami più lontano, vieni, trovami !
Ti verrò incontro per deserti e rovi;
tu segui solo il filo del mio amore,
di là dai fiumi inutili del dopo,
dai folgoranti eserciti di Dio
fino a che non mi trovi, bimba mia!
non mi lasciare nell'eterno sola
e non mi dire,
non mi dire addio.
e non avrai rifugio per accogliermi,
cercami più lontano, vieni, trovami !
Ti verrò incontro per deserti e rovi;
tu segui solo il filo del mio amore,
di là dai fiumi inutili del dopo,
dai folgoranti eserciti di Dio
fino a che non mi trovi, bimba mia!
non mi lasciare nell'eterno sola
e non mi dire,
non mi dire addio.
Nazario
Pardini
DAL
TESTO
Dedico questo lavoro a mia figlia Romina,
il solo legame che mi resta con questa Terra
A ROMINA
La
mia poesia è tutta nei tuoi occhi
d'edera e di corimbo,
sulla tua pelle
che a lattice di luna eguaglia
il lume,
piccola donna mia che tutto sai del mondo
e di cui il mondo non conosce
il nome!
Sbircia, il mio verso,
per l'usciolino schiuso del
sorriso,
dentro gli orti leggeri del
tuo cuore,
dove tu benedici cespi azzurri
di spigo,
ciuffi bambini di menta e di
timo,
tra grovigli di more
polverose,
nell'arruffato, piccolo
giardino
traboccante di rose.
E tu, rosa d'Inverno,
che dolce vieni dentro la mia
casa
come pioggia d'Agosto,
gran prodigio mi fosti! e non so come
mi venne dato bene sì
giocondo,
piccola donna mia!
che tutto sai del mondo
e di cui il mondo non conosce
il nome.
In rammarico, inquieto si
contorce
il bacio che restò sulla mia
bocca,
ne' prese il volo
al labbro corrucciato
dell'amore,
o che alienò, qualche pudore
erroneo,
dalla tua
cara guancia.
E sa di amaro e polvere,
e sa di un frutto ruvido
che prosciuga la lingua e la
fa muta,
e che dentro il silenzio
graffia e geme
come nel cielo illune
le stelle in loro frangersi
dolente,
nell'inutile sforzo di colmare
l'incolmabile vuoto della
notte.
Non siamo che binari
lanciati su pianure
nude, di sale e polvere.
La vampa di una conca di
papaveri,
o la benedizione verdeggiante
di un letto di trifoglio
sono stupore che ci stacca un
attimo
dal chiodo fisso dell'ansia di
esistere,
ma sgomenta la duplice
intuizione
di un tutto, e di una faglia
fra il resto e questo guscio,
e della nostra
divisione ci afferra la
vertigine.
Solo l'amore, breve
un'esplosione
di luce, un abbandono,
graffia la catafratta,
o di un amico il tocco sulla
spalla
ci spigola un sorriso
e incide per un attimo la
scorza
di questa solitudine.
Non siamo che binari:
brevi incontri agli scambi,
e ancora si allontanano
dentro nuovi silenzi.
Un giorno ancora
per ancorarmi in te, alle tue
parole,
ripararmi alla gronda del tuo
tetto
proibito a pioggia e vento,
ora che tuona sul mio
capo grigio
e il sorriso è una scarpa
appesa al chiodo.
Questo azzurro serale, questa
placida
luna di valli d'oro,
questo silenzio chiaro che
interrompe
solo il coro immutevole dei
grilli,
altri giorni li ho visti, e
già sentiti:
(restano il grano e i sassi
sempre quelli!)
Potrei voltarmi indietro, e ci
sarebbe
l'ombra del tuo rimpianto
a cingermi le spalle in un
abbraccio.
Ma è troppo caro il prezzo.
Grazie, carissimo Professore per questo dono. Sicuramente le pagine più belle del mio libro sono quelle della Sua prefazione, senza dubbio le più preziose per me .
RispondiEliminauna bella prefazione ad una poesia stupenda che mi ha letteralmente sorpreso ed emozionato.
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