PREFAZIONE
Nazario Pardini. I dintorni della solitudine. Guido Miano Editore. 2019 |
Nazario
Pardini ha al suo attivo molte raccolte
di poesia. È un personaggio, noto, da decenni nel campo della scrittura. Sulla
sua produzione hanno scritto i più
qualificati critici letterari. Alla sua poesia sono state applicate varie
chiavi interpretative, dalla motivazione esistenzialistica a quella
psicanalitica alla religiosa a quella naturalistica. Ad essa egli perviene in
maniera quasi inconscia, o meglio, sulla scorta di un cammino empirico, di
sofferenze vissute e ben radicate nel quotidiano.
Il
suo pensiero non conosce la freddezza dell’astrazione filosofica. È piuttosto
un’analisi che scandaglia gli abissi della coscienza, una sorta di speleologia
dell’anima che procede per constatazioni. Un narrare per sottrazione, incarnato
in una lingua nuda e spinosa, che mira allo svuotamento e alla esasperazione
delle forme implicite nella realtà. Un’essenzialità ascetica anima il lessico
di Nazario Pardini, quasi retaggio atavico della sua terra di Toscana come nella lirica La solitudine del mare: “Sono solo e
l’inverno mi percuote / coi suoi venti freddi e burrascosi” o nella lirica E venne sera: “La luce crepitante
dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato d’erba
stanca.” O nella lirica Vis à vis con la sorte: “Sono troppi i ricordi. / D’altro lato / non
è che il vento li possa disperdere / come fossero foglie”.
Irrompono
gioiose esplosioni di eventi naturali… “Erano vive le stagioni / dei biondi
girasoli” (È arrivato l’autunno), così
la sua poesia è percorsa da accecanti apparizioni che squarciano la
monocromia dell’angoscia in violenti chiaroscuri. È lo spazio per così dire
lirico di un percorso intellettuale non circoscrivibile in un orizzonte
destrutturante “Verranno giorni neri e dovrai scendere / dal limbo in cui accedesti
/ per riposare i sogni; la tua isola / sarà deserta senza gli abbandoni / che
ti resero uccello migratore.” (Verranno
giorni neri).
Sarebbe
fuorviante definire Pardini mistico dell’essenza, perché si verrebbe inevitabilmente ad intaccare quella razionalità
di pensiero e quella misura che caratterizzano il suo fare poesia. Eppure non
gli sfugge il senso della sproporzione essenziale dell’uomo, la macerazione
spirituale che deriva dalla consapevolezza di essere un frammento sospeso nel
vuoto del tempo ma anche di rappresentare qualcosa di unico grazie al pensiero.
La natura così ritorna e riecheggia spesso sovrana e con lei i vecchi
sopravvissuti di un tempo non alienato e non urbanizzato in cui “La luce
crepitante dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato
d’erba stanca. / Sortivano i rumori dalle scaglie / di sterpaglie corrose.” (Venne sera).
Ritorna
anche l’infanzia dei ricordi come nella poesia In una immensità che ti rapina: “Lasciatemi almeno le memorie / di
questo sacro fiume; il verde canto / delle acque moriture; il fluire / delle immagini fioche di stagioni / che si
affidavano a un guado indagatore / di sponde misteriose”, come il microcosmo di
valori che incarna, tenace nel suo perpetuarsi tra padre e figlio, la metafora
della speranza sempre presente nell’uomo. Si leggano i versi della struggente
poesia Disatteso: “Disatteso mi è
apparso questa notte / il campo di mio padre. Una vigna. / Sicuramente in
sogno. Lui che sfrasca / ed io che apro, di ritorno da scuola, / le braccia al
genitore”.
Ma
sono la speranza e l’amore i cardini della poesia di Nazario Pardini: infatti
anche davanti allo spettro della morte il poeta trova sempre l’urlo della
rivincita. Egli vive in ogni uomo e dell’uomo scruta la trasparente caducità e
per questo il poeta esalta le cose più semplici. Per lui è essenziale fermare
il tempo ma anche penetrare nella mobilità mentale dell’uomo per scoprirne i
disagi e la parte più creativa della sua odissea, per potere poi cogliere
quegli aspetti che spesso sfuggono anche all’osservazione più attenta. “Ti
posso solo dire dell’inquieto / mio essere. Del suo bramare invano; / del suo
microscopico restare / davanti a un mondo che non ha ragione / di essere tanto
immenso e così estraneo / al pensiero di un uomo troppo umano.” (Non chiedermi). Il messaggio della
poesia deve contenere i valori più intimi della vita e dell’esperienza umana.
Per questo il poeta trascende con i propri versi la realtà e nella meditazione
e nella densità dei concetti egli vive la propria odissea di uomo, di cronista
della propria storia ma anche di quella degli altri, che vede compagni di un
viaggio senza ritorno. Proprio per questo Pardini avverte nella sua libertà una
simbologia che costruisce i caratteri esteriori dell’essere, così soffocato da
un dinamismo moderno senza precedenti.
Il
suo non è un canto illusorio, poiché sogno, realtà ed illusione si fondono con
la sua identità presente e pienamente raggiunta con il pensiero e con l’azione.
Si legga la lirica La poesia si scrive:
“… non pensare / alla miseria umana, al suo degrado, / fingi che quel momento
sia per sempre. / È l’unico sistema per fregare / lo scettro imperituro della
sorte.”
La
poesia di Pardini rivela anche la preoccupazione per quanto della vita rimane,
di ciò che egli ha vissuto e sofferto nell’iter terreno e comprende che
soltanto l’opera del pensiero individuale può continuare a vivere dopo
l’annullamento fisico. Pardini enuclea con disinvoltura la bellezza della
stessa creazione nella quale s’immerge per raccoglierne i frutti della chiara
odissea di uomo ma anche di spirito libero. Meditazione, recupero, densità dei
concetti, abilità evocativa e psicologica del profondo sono le componenti
essenziali della sua ispirazione, specchio di un’anima non inquinata, dotata
com’è della capacità di comprendere e di cercare nell’uomo ciò che spesso
sfugge alla maggior parte di chi affronta una ricerca tesa a rilevare le
problematiche esistenziali che in ogni tempo lo hanno condizionato. Il recupero
di questi valori dell’anima e del pensiero affiorano nei suoi versi, e se vede
nel passato qualcosa che non può essere rivissuto e ne potenzia la carica
trascendentale: il vissuto è qualcosa che non va perduto e il suo valore resta
immutato; si evidenzia in una densità di concetti che il poeta riesce a farci
rivivere sia metaforicamente che liricamente, in una concezione in cui l’uomo
nulla di nuovo ha da scoprire di sé se
non il limite di sé stesso.
Ed
è forse qui che il poeta rispecchia la sua amarezza: avverte la sottile presenza
non della morte fisica ma dell’essenza dell’intelligenza umana che si perde
nell’infinito cosmico, in questo ritrova se stesso e l’amarezza di non poter
creare, di non potere sentire ed esprimere quella poesia del suo stesso
pensiero che lo porta a vibrare all’unisono con la totalità umana. “Ci sono
cose molto più feconde / a riempire il fondo della sacca: / il dolore di un
figlio che ti lascia, / l’inquietudine che provi nella vita, / la gioia per un
mondo ritrovato, / il senso di una noia che ti assedia, / lo smarrimento in
cieli senza fine.” (L’ incendio dei
papaveri, I).
Se
la musicalità del verso e il fluire delle immagini sono le componenti più
significative, è necessario aggiungere che sulla via della chiarificazione
interiore e della conquista spirituale, il poeta non è mai solo; va oltre la
suggestione crepuscolare nonostante alcune liriche appaiono il riflesso amaro
della meditazione sull’esistenza, soprattutto sulla morte, contro la quale alza
la bandiera della stessa poesia piena di vita e amore. E il tema del ricordo
non è mai fine a se stesso ma è strumento per accedere a una sorta di dominio
ancestrale della terra, in una componente solare. Il ricordo del padre e della
madre diventano così indicazione di un nuovo percorso da raggiungere: “… forse
non era luce, / forse non era / quella che io bramavo, / ma pur sempre la luce,
quella chiara, / quella di casa mia. /
Chi dice che non fosse / quella che io cercavo.” (Verso la luce). La vera strada del ritorno, che è poi l’essenza
pura del nostro vivere.
Michele Miano
Verso la
luce
Cercavo
la luce. Camminavo,
e
camminavo sempre, e camminavo,
per
monti valli e fiumi. Per campagne,
per
boschi. Mi infilavo tra i rovi e
le sterpaglie: il mio corpo sanguinava:
ogni
parte: le mani, le ginocchia,
il
viso, e le speranze. Quando fuori
da
tanta solitudine, mi apparve
un
filo di chiarore per condurmi
al
flebile messaggio: “Eccomi giunto,
sono
oramai vicino”.
Ma un
muro della tenebra più nera
affiancò
il mio impavido viaggio.
Aprii
un grande squarcio
tra il
folto divorare di ogni tratto.
È lì
che mi prostrai dinanzi al cielo,
che
chiesi a quelle nubi di svanire
e
indicarmi la strada della luce.
Apparve
mio fratello poi mio padre,
l’uno
col volto carico di gioia,
l’altro
col volto sorridente e pio.
In
coro di sussurri mi si volsero
ricordandomi
percorsi ormai smarriti
nel
tempo divorati dalle brume:
“Devi
ricostruire la tua vita,
devi
portare a galla le memorie
di
quando assieme stemmo sulla terra
ad
imbastire giochi di speranza,
a
ribellarci a squallide presenze
uniti
nel vessillo dell’amore.
Continua
il tuo cammino rafforzando
con i
ricordi il resto della vita.”.
C’era
dinanzi a me uno stradone,
che mi
portava dritto a un focolare
di una
casa stretta di campagna
che conteneva
tutte le mie cure.
Lo presi svelto con un nuovo ardore.
A metà
via vidi che mia madre
mi
attendeva come ai tempi andati
con in
mano le vesti fresche e nuove
da
porgermi al ritorno dalla scuola.
Poi
incontrai un amico un po’ velato
che mi
portò sul fiume ove fissammo
un
patto d’amicizia: “Caro amico,
dammi
una mano a ritrovare ancóra
le
parole che usammo in quella sponda.”.
“Io
posso solamente ritornare,
-questo
mi è dato- sulla riva del fiume,
per
squarciare la tenebra invernale
e
riportarti un’ora a primavera.
Devi
trovare poi con le tue forze
il
modo di vincere quel muro
che ti
impedisce di vedere chiaro.
Ricordati
di me, dell’amicizia,
ricordati
del volto di tuo padre,
della
grandezza umana del fratello,
della
bontà decisa di tua madre.
Ricordati
di un giorno della vita,
di
quello che ritieni il più importante.
Fanne
tesoro! Da lì potrai partire
per i
giardini in fiore del prosieguo,
luogo
dove risplende un gran lucore
e dove
non c’è posto per la notte.”.
Mi
lasciarono solo quelle immagini,
e da
solo dovetti ripartire
di
nuovo sperduto nei meandri
di una
selva intrecciata di legami
alborei,
di liane tanto spesse
da
affogare ogni altra inflorescenza.
Mi
apparve poi un varco in mezzo ai rami,
ed
ascoltai un fragore di cascata:
là
corsi a perdi fiato; uno scrosciare
mi si
aprì di sorgente fragoroso
in
mezzo a piante vigorose e verdi
che
tenevano in seno uccelli a branchi
dai
piumaggi più vari. Un’aria fresca
di
piccole molecole cosparsa
mi
ripuliva il volto dalle scorie
che
avevo accumulate nel tragitto.
Che
bella vista! Che gioia ritrovare
una
natura schietta, all’apparenza
simile
a quella che tanti anni prima
avevo
amata come mia sorella.
Corsi
di getto sotto quell’azzurro
che
confondeva il cielo. Mi saziai,
ne
bevvi a dismisura, mi bagnai
anima
e corpo in quella fioritura
di
bellezze supreme. In mezzo alle acque
c’erano
fiori gialli, bianchi, verdi,
di
ogni levatura a profumare
l’innocenza
primordiale di quel luogo.
Ritornò
il sole, l’aria si fece larga,
gli
uccelli fendevano il sereno,
i
profumi inebrianti mi portavano
a rivivere
sogni mai sognati,
a
rivivere ancora. Ma ero vivo,
o
dentro me costruivo una coscienza
che
non aveva a che f are col reale?
Fu là
che dal bel mezzo della selva
uscì
una fanciulla nuda e bella,
dai
riccioli cadenti giù sul dosso;
mi si
posò dinanzi e sorridente
parlò
come una ninfa che si leva
dal
mare di Zacinto per contorno
alla cipride
dea: “Tu non puoi,
umano
fra gli umani, stare qui
a
gioire delle bellezze eterne
che
Natura dispensa a larghe mani.
Continua
il tuo cammino, altra selva
ti
aspetta ed altre notti da cornice
alle
tue brame. Quello che vedi è fumo,
è
solamente parte di un tuo sogno
che
speri realizzarsi. Io sono Silva
la dea
della purezza, la dea eterna
che
vive in mezzo ai boschi ormai lontana
dalle
vicende tue. Sono protetta
da
fiumi e getti d’acqua che gli umani
mai
potranno più vivere. È strano
che tu
ti sia imbattuto in questo luogo
lontano
dalle grinfie dei terrestri.
“Ma io
ho già solcato boschi e selve,
ricuperato
ho già le mie memorie,
ho di
nuovo incontrato padre e madre,
le
amicizie; e son loro che mi dissero
di percorrere
la via dell’amore,
quella
dell’amicizia, quella dei
tempi
sacri, in cui era ambizione
vivere
con te e con te morire.”.
D’un
tratto Silva si dissolse in aria,
sparirono
i bei frutti all’orizzonte,
come i
getti sparirono nell’ombra,
come i
fiori cessarono il profumo
che
attorno lievitava. Restai vano;
senza
ancoraggio, senza alcun principio.
Udii
solo una voce: “Torna a noi,
non
puoi godere di una luce astratta
che
non fa parte del tuo credo antico.
Torna
ai tuoi passi. Prendi quella via
che ti
riporta in seno al tuo reale,
intero,
con le tue memorie, e i canti
che
più volte hai scritti con i crucci
che
sono di un mortale. Porta il peso
di un
uomo che ha tradito, che ha vissuto
il
male del presente. Ripartendo da lì,
dalla
vita concreta, dai dolori del mondo,
potrai
incontrare Silva, la bellezza,
potrai
aspirare al tutto; all’innocenza;
per
ora godi il tempo di un traguardo
che ti
rivede a casa, a casa tua,
con la
tua vita e tutte le radici
di
quelli che ti dettero una storia.
Ma
lotta, continua e ricercare
quella
luce che offende l’ignoranza
e dà
la gioia a quelli che l’ambiscono.”.
Eccolo
il mio ritorno. Fu di sera,
quando
il sole pungeva l’orizzonte,
quando
il mare fremeva di bonaccia,
quando
l’aria si volgeva al tardi;
non
era quella la luce che cercavo.
Ma
quando scorsi i tratti del mio fiume,
la
casa stretta delle mie memorie,
e i
prati sanguinosi della sera,
forse
non era luce,
forse
non era
quella
che io bramavo,
ma pur
sempre la luce, quella chiara,
quella
di casa mia.
Chi
dice che non fosse
quella
che io cercavo.
24/09/2018
(...)
Quanta ricchezza di poesia si riversa nei nostri occhi, e quanta luce ci giunge fin dentro al cuore. Questa nuova raccolta di poesie di Pardini si presenta come un sole che illumina l'isola di Leucade e noi con lei.
RispondiEliminaLa poesia qui riportata Verso la luce ci suggerisce come valutare la nostra vita, ci offre un chiave di interpretazione degli eventi che hanno segnato il nostro percorso, leggere questi ricordi e le persone care, le quali ci danno la forza per affrontare le sfide del presente e guardare al futuro colmi di speranza. Forse tutto serve per farci capire l'importanza del quotidiano, della luce che abbiamo nelle nostre case e dentro di noi, di cui spesso non ci accorgiamo perché troppo presi dalle novità lontane.
É altresì pregevole la prefazione di Michele Miano, che mette bene in luce la ricchezza di stile e profondità di questo nostro grande Poeta, incitandoci con eleganza ad immergerci nel mare poetico di Pardini e navigare tra le sue poesie per saziare la nostra sete di bellezza.
Complimenti all'editore Miano per questa prestigiosa pubblicazione e al nostro amato autore per il prezioso tassello alla poesia contemporanea.
Un caro saluto
Michele Miano ha introdotto l'Opera dell'immenso Nazario con tale efficacia che ci ha permesso di vedere le immagini, di viverle. E Francesco Casuscelli nel suo superbo commento gli ha reso un altro ottimo tributo. Povere possono essere le mie parole, ma di fronte a versi di tale levatura è difficile tacere. L'Autore nella lirica pubblicata, che credo vada definita un Poemetto,dona un cammino visionario e splendente di immagini. Il Poeta evoca un canto dantesco nel suo viaggio tra i momenti dell'esistenza per tendere ad arco verso la luce. D'altronde nei grandi crepita spesso l'onda di luce ampia, romantica, esistenzialista, che rammenta i nostri classici, ma sa rinnovarsi e divenire nuova incarnazione del lirismo.
RispondiElimina"“Ma io ho già solcato boschi e selve,
ricuperato ho già le mie memorie,
ho di nuovo incontrato padre e madre,
le amicizie; e son loro che mi dissero
di percorrere la via dell’amore"
Versi simili sono il dettato di un'anima pura, che nessun evento ha saputo scalfire, di un'anima che ha attraversato le intemperie della vita conservando la sacralità dei sogni ricevuti in dote. Nazario stupisce e stordisce. Insegna a credere, a non perdere mai i riferimenti importanti, i valori, i ricordi, gli incontri... E scrive con levità e trasparenza, dando al metro classico il compito di interpretare il suo dire. La metrica, docile, diviene strumento di altissima, moderna Poesia e rapisce.
Una pagina di Letteratura indimenticabile. Ringrazio tutti e mi scuso per l'intrusione...
Maria Rizzi
"Cercavo la luce. Camminavo,
RispondiEliminae camminavo sempre, e camminavo…"
Significativo, emblematico, folgorante l’incipit della lirica “Verso la luce”. Cos’è la nostra vita se non un cammino verso la luce? Un cammino difficile, arduo, che ci porta ad affronatre boschi tenebrosi, boscaglie, rovi che ci feriscono e ci fanno sanguinare? E chi guida i nostri passi e ci aiuta ad "aprire squarci" nel "muro della tenebra più nera"? Ma i nostri cari, ovviamente, coloro che ci hanno preceduto in quel mondo di luce assoluta da dove ci indicano con amore immortale la strada! Quanta sorpredente verità in questi versi! Non è forse ai nostri cari defunti che ci rivolgiamo nei momenti più difficili della nostra vita? Non prendiamo forse forza ed enegie dal ricordo dei bei momenti vissuti con loro? E talvolta, bramando la luce, il riposo, la pienezza dell’eternità, non ci accade forse di evadere dalla vita smarrendoci in qualche sogno? Ma non è quella la luce che cerchiamo e che dobbiamo raggiungere. Ce lo ricorda il Poeta
"non puoi godere di una luce astratta
che non fa parte del tuo credo antico.
Torna ai tuoi passi. Prendi quella via
che ti riporta in seno al tuo reale."
Si, è così! Solo vivendo pienamente il nostro quotidiano il "male del presente, la vita concreta, i dolori del mondo", "lottando, continuando e ricercando" possiamo ambire alla luce vera. E dove avviene questa ricerca se non nel nostro mondo, nella nostra quotidianità, nella "casa stretta" delle nostre "memorie"? E non è forse la luce chiara della nostra casa, faro nelle notti tenebrose della vita che cerchiamo? Lì dove ci rifugiamo e ci ritempriamo?
Quale potenza comunicativa questa splendida allegoria che si avvale della cromia di immagini che ci ricordano i più bei dipinti degli impressionisti!
Che modo forte e dolce insieme per trasmetterci un messaggio universale: non serve rifugiarsi nei sogni. E’ solo vivendo la nostra quotidianità, con le sue insidie e i suoi dolori, che raggiungeremo la luce a cui ambiamo.
E si conferma Poeta della speranza e dell’amore, Nazario Pardini, come ha evidenziato Michele Miano nella profonda ed esaustiva prefazione, di quell’amore che sente prepotente verso il prossimo e verso quella Natura che è tanta parte dei suoi versi.
Grazie ancora, Nazario, per quello che mirabilmente ci insegni !
Ester Cecere