Breve nota di lettura del Il sorriso del mare
di Nazario Pardini, Blu di Prussia editore. Di Adriana Pedicini
Credo che la vita sia come l’amore e viceversa:
soprattutto vagheggiamento, soprattutto desiderio e poi fuga e mancanza,
struggimento e ricordo. Non solo. Il tempo ama proiettare nel presente, e anche
nel futuro, le ombre del passato, in ispecie i volti che, pur divenuti ombra,
risplendono, nel gioco fantastico della memoria, di luce perenne, come
cristallizzata in un flash fotografico. Per questo, quando si parla di amore,
spesso si parla attraverso la delicatezza soffusa della memoria che si diverte
a scavare nelle pieghe di attimi vissuti con ansia, con gioia, con dolore, in
un’unica parola, con sentimenti scaturiti dall’animo come acqua sorgiva, senza
il filtro del raziocinio. Proprio come
la vita in gioventù, audace e sognatrice, molto somigliante a un pescatore che
si ostina a catturare con la rete sorrisi e immagini nel fiume che scorre.
…Vado
spesso sul torrente/con la rete nelle mani, sperando/di catturare altre
immagini di te/.
Forse illusione, forse miracolo, forse inganno,
non interessa nel tempo delle mele sapere
di più, basta raccogliere attimi d’incanto a creare un mosaico di emozioni che,
nel bisogno che urge negli anni maturi, diventino la trama di un idillio che
solo l’oblio può distruggere. E ne vengono coinvolti i sensi:
ci
guardavamo negli occhi…la bàttima lenta e melodiosa di una chitarra,
a evocare i ricordi grazie ai quali è possibile
rivivere quei frammenti di vita.
E tu
rinata/ canterai a squarciagola/…al ritmo della nostra serenata
Tuttavia è strano come i sogni, perché non
perdano il loro fascino, debbano rimanere nel limbo della memoria altrimenti,
come accade che all’alba svaniscano, così nella realtà lontana dalla
scaturigine stessa del sogno, si rischia di imbattersi nella frantumazione di
esso con inevitabile senso di delusione.
Era
malmessa/non aveva più niente del mio sogno.
Sicché è preferibile, per assurdo, continuare a
vedere ombre, a credere, come Enea, di poter abbracciare Delia/Didone, e
ritrovarsi invece a stringere le proprie braccia al petto. Il dolore provocato
dal nulla materiale è compensato proustianamente dal profumo di pèsca delle sue sciolte chiome.
Si nota nel poeta la consapevolezza amara del
giorno che si oscura, metafora per alludere ai passi avanzati della vita, un
peso a cui non si può sfuggire:
Scade
l’ora/mia carissima Delia, e noi patiamo/ il giorno che si oscura
Ancora una volta la vita è affidata alla capacità
della memoria di raccontarsi, di portare in vita il già vissuto e riviverlo con
uguale emozione.
Non saprei come definire tale bisogno, anche se
intravedo simbolicamente la causa, ma riconosco nel Poeta, come in tutti coloro
che, soprattutto in questo difficile periodo, sono stati marchiati come
anziani, quasi a negare loro il diritto alla vita o alle cure, un desiderio
struggente di ritornare a essere figlio, forse perché tale condizione non cessa
mai nell’intimo di ciascuno, in quanto desiderio di essere amati. Allora il richiamo al Padre in Dove sei padre risulta essere un
accorato appello a chi lo ha messo al mondo per amore, costituendo un faro di
luce nelle intricate vie della vita e il sommo dolore nel momento del distacco.
Dunque c’è tanta nostalgia in questa raccolta,
sintetica e sublime, delicata ed elegante nello stile, di Nazario Pardini.
Nostalgia d’amore, nostalgia delle persone amate, nostalgia di quei frammenti
di vita che, dominati dall’amore, attraverso la memoria, sono capaci di ridonare
la gioia, quella incontaminata e sacra che nessun’altra soddisfazione della
vita sa rendere pari.
In conclusione vorrei sottolineare ancora una
volta la nostalgia che ha nella natura il punto di partenza e di arrivo, perché
la mestizia che invade l’animo al tramonto si specchia nel lento scivolare del
giorno nelle tenebre della notte e nel canto triste del creato in tutti i suoi
aspetti. Eppure non vi è dolore, ma solo la tenerezza dei naviganti “nell’ora che volge al desio”.
DAL TESTO
Con la rete da pésca
Mi è passato d’accanto il tuo sorriso
appoggiato alla spalla di un torrente
che lieve scorreva verso il mare.
L’ho catturato con la rete da pésca
e l’ho messo sotto l’abat jour.
Risplendeva
come un sole e illuminava la notte
della stanza. Vado spesso sul torrente
con la rete nelle mani, sperando
di catturare altre immagini di te
che in acqua te ne scorri indifferente
al mio bisogno di averti. Ti prego,
avvisami quando passi da queste parti,
io sono qui pronto a pescarti. E magari
anche a tuffarmi nel fiume per affogare
con la tua bocca nel cuore.
Corri Delia!
Ti ricordi con quanta timidezza
ci guardavamo negli occhi. Era il tempo
delle mele. Il tempo delle fughe.
E ne facemmo una straordinaria,
lungo il mare, di notte, quando il battito
accompagnava i fremiti del cuore.
La rena risplendeva ai raggi della luna,
e l’onda luccicava. Tutto ci era vicino,
e tutto accompagnava quella fuga
che facemmo inesperti. Ma tu ricordi?
O sei chiusa nell’oblio
voluto dalla vita.
Eppure eri tu, quella sera, sul mare,
a disegnare un cuore
sperso chi sa dove ed io con te.
Non posso fare a meno di rivivere
la bàttima lenta e melodiosa
di una chitarra; di una canzonetta
che volemmo come melodia
di una storia d’amore. Corri Delia!
Ancora corri come lo facesti
un po’ pazza sul battito dell’onda
quella sera di luglio. Corri! Le memorie
ti saranno vicine e tu rinata
canterai a squarcia gola e a braccia nude
al ritmo della nostra serenata
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