venerdì 15 maggio 2020

FRANCESCO DE CARIA LEGGE INEDITI DI LINO D'AMICO


Francesco De Caria
legge inediti di Lino D’Amico





Lino D'Amico,
collaboratore di Lèucade

Ecco la mia riflessione sulla Sua meditazione "de senectute" o "peri' gheros", secondo il genere trattato da illustri autori della classicità greca e romana. Le dico che sono versi di grande suggestione, di una pacata mestizia, senza pianti e senza urla, rassegnati eppure pervasi di una linfa distillata di memorie composte, di una nostalgia che ha superato  l’algos, il dolore. Ma mi pare che dire che sono pervasi da una saggezza compiuta sia uno sminuire la suggestione delle antiche passioni decantate, sì, ma pur sempre presenti sia pur come "calore di fiamma lontana" per dirla alla Foscolo (nel "Didimo chierico").

Sciarade di pensieri

Il riferimento leopardiano ritorna in questi versi che esordiscono con un temporale appena cessato – c’è anche un riferimento pascoliano in questi versi, nel vocabolo “bubbolio” – è evidente: la vita che si era fermata si risveglia in un coro di voci, gracidare – nuovamente Pascoli col suo “breve gre gre di ranelle” de “La mia sera” e il rintocco dei vespri. Versi – questi – nei quali, a differenza dei precedenti componimenti, compare la luce: ma anche in questo “idillio” una considerazione sottilmente amara: è racchiusa in quel “credono”in un futuro di luce  (un aldilà?). Credono, si affidano, non c’è certezza.

Il bubbolio del tuono sì allontana,
sta cessando  il temporale,
l’aria già  profuma  d’ozono
e al di la della collina
un arcobaleno bacia l’infinito,
intorno, il bosco si risveglia
nei doni meravigliosi del creato.

Gracida un rospo nello stagno,
una lepre fa capolimo da un cespuglio,
dal borgo la pieve batte il vespro
e richiama alla preghiera,
eterea allegoria di pace,
 intorno, solo calpestio dei passi
sul sentiero del mio andare.

Nel palpito di ogni attimo,
fremiti di una eco muta
sussurrano sciarade di pensieri,
pagine di un diario intonso,
forse smarrite, tra i cenci dei sogni,
che, nonostante tutto, credono
nel poi di nuove aurore di luce.

Senza titolo

Così  l’individuo si trova nel silenzio di un sogno che sta svanendo, di una vitalità che si sta intepidendo, nello sgomento dell’incertezza di un Oltre, di un Altrove. Dunque il passato sta svaporando, mentre il futuro prospetta  il vuoto, il nulla: in questo angosciante paesaggio il protagonista procede a tentoni, inciampando, attorniato da un silenzio angosciante. E’ stato promesso un Aldilà, ma ora appare come il silenzio infinito in spazi “avari”, che tendono a inghiottire l’individuo stesso, per il quale quel silenzio è come un abisso che lo ingoia: restano non ricordi, ma lampi di ricordi, lacerti di memorie un tramonto, un incontro d’amore… ma tutto si sfalda e scompaiono “arcobaleni, praterie, speranze” insomma la prospettiva di un futuro che ormai è disperantemente “senza poi”.


Nel fragore di un silenzio scosso,
cosa rimane di un sogno che svapora,
di una fiamma che si spenge,
di un altrove che si nega?
Assorbito dal vuoto di un nulla,
cammino tra i cenci del tempo
nel garbuglio di pensieri smarriti
inciampando tra i sassi del mio andare,.

L’utopia stordisce la ragione,
ombre inconsce avanzano a grandi balzi
nel fragore di quel silenzio che mi ingoia
lasciandomi profugo in spazi avari.

Chi mi ridarà il mio ieri spensierato,
i tramonti sulla battigia a Cala Luna,
i nostri ricordi, mano nella mano
e il caldo tepore di emozioni sopite?

In quell’attimo il nulla si sfalda,
guardo intorno, invano e cerco,
arcobaleni, verdi praterie, speranze
in questo labirinto sciapo e senza poi.


Voci dell’anima


Il senso di solitudine di un individuo che si sta avviando, all’imbrunire dell’esistenza, verso un orizzonte tutto sommato ignoto, che ha angosciato sin dal suo apparire l’uomo affiora evidente in questi versi nei quali la vitalità piena propria della giovinezza ormai è sfumata in lampi di luce, in flash memoriali nei quali le presenze che hanno sostanziato la sua vita sono ormai “fantasmi” evocati nei ricordi, nei quali i discorsi e i dialoghi sono “distillati” in mormorii: sono presenze e voci  ormai sfumati e ovattati, come dispersi fra le stelle. All’improvviso la giornata, il crepuscolo della vita si sta avviando verso la notte, nella quali solo chi sa ascoltare può udire voci e rumori di esistenze passate – del protagonista e delle presenze che hanno attraversato la sua vita – custodite non solo nella memoria, ma “nell’anima” a indicare che quelle presenze e quelle voci  hanno costituito e costituiscono “il corpo”, la “carne” dell’individuo che solo si avvia a fondersi in quella realtà fatta di fantasmi e di voci dispersi nell’infinito e nell’eterno.


Nel calar del crepuscolo
riccioli di gioia e veli d’ombra
svaniscono nel vago di un ricordo
tra sogni di realtà senza volto
e notti distillate nel gioco
di un tempo pigro da rammendare.

Stille di mormorii destano il risveglio
nel menare di giorni consumati
tra sussurri frantumati dai silenzi
e celate voci dell’anima.

Accordi di vita smarriti,
eco ovattata che ritorna
solo per chi saprà ascoltare,
e correre la strada delle stelle
cullato tra abbracci di luce,
voli di fantasia e giorni da stupire.


Mormorii di silenzi


Talora il passato riemerge disperantemente  fatto di “niente”  intessuto solo di “emozioni” che evidentemente non hanno consistenza. Melodie  e sensazioni olfattive  legate a fatti lontani si sfaldano anch’esse nel silenzio.  La notte giunge, quando il fragore della vita è ormai ridotto a fruscio: ed il nuovo giorno appare come non rassicurante, ma  abbraccio di un nulla nel quale l’individuo, nella sua solitudine angosciante, si smarrisce: è chiaro il riferimento al “naufragar m’è dolce in questo mare” leopardiano, ma nel D’Amico il naufragio è naufragio, non c’è in esso alcuna dolcezza né alcuna unione con l’Infinito immortale, ma solamente una dimensione straniante e angosciante.


La nostalgia del tempo
gocciola stille di memorie
nella penombra di un altrove
che fugge da ogni bagliore
 e rimane orfano del niente
dove ciondolano muti
i mormorii delle emozioni.

Nell’eco dei silenzi
aleggiano ricordi antichi,
stagioni che giungono quiete,
poi si sfaldano silenti
profughe di profumi e melodie

Nel fruscio vestito dal tempo
giunge incognita la notte,
rosicchia l’indifferenza
  nell’immaginifico dei sogni
e, mi smarrisco in quel niente
naufrago al primo abbraccio
del nuovo giorno che verrà .





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