lunedì 11 maggio 2020

MARIA RIZZI LEGGE: "NEL FRATTEMPO VIVIAMO" DI NAZARIO P., GUIDO MIANO EDITORE


 
     Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade



NEL FRATTEMPO VIVIAMO

La Silloge “Nel frattempo viviamo” di Nazario Pardini, edita da Guido MIano Editore - Milano, si apre con una lirica di soli dieci versi che, nonostante la brevità, dischiude spazi grandiosi, che incidono le sfere emotive dei lettori come la luna trafigge la notte:

“E il vano di un inganno defluire
 meno selvaggio,
 meno prigioniero
 fa apparire
 un soggiorno da straniero”

Il senso della poesia intesa come anima mundi è presente dall’inizio ed è legata innanzitutto al canto della Natura, sempre madre - benigna. Il riferimento dell’ottimo prefatore, Enzo Concardi a Cesare Pavese si rivela quanto mai calzante, nella ‘geometria del sentire’, visto che anche nell’Artista piemontese  venivano toccati vertici lirici con la mediazione del paesaggio, trepido contrappunto al sentimento.
La Raccolta ha un’ossatura e una cifra stilistica che rivelano una volontà dell’Autore di viaggiare sul registro delle dicotomie. Per fare un esempio a fronte ‘del movimento dell’eterno fluire’, ‘del giorno che non muore’, la casa, gli interni acquisiscono staticità, mettendo in luce il passaggio dalla vastità alla restrizione progressiva:

Hanno in memoria i muri
 le ultime figure
 e affidavano all’oblio i sentimenti”

La casa, topos di memorie, diviene una sorta di incrostazione - mi si perdoni il termine -, delle immagini ricorrenti in tante poesie di Pardini.
Notevole nella Raccolta l’impegno civile del Poeta, che dimostra, come ha detto qualcuno, che ‘la vera rivoluzione può essere solo poetica’.
Ne è palese esempio la lirica che dà il titolo alla Silloge, anch’essa breve, che coniuga i riferimenti al dittatore rivoluzionario cambogiano, noto con il soprannome di Pol Pot, il dramma dei gommoni albanesi persi nel Mediterraneo, il sangue delle guerre che si moltiplicano, con un giorno d’estate fiero e profuso di luce. 
I versi presenti in questo testo del nostro Poeta sembrano voler essere un album di stati d’animo, un modo per dar sfogo, con misura, al lato irriverente del suo carattere, di far affiorare il pagato disinganno, l’aspetto scanzonato dell’uomo che ben conosce l’avventura della vita. Il testo non si può, altresì, definire una vacanza dai sentimenti forti o una ricreazione con mezzetinte dei toni poetici. E non si tratta assolutamente di bilancio, ma di una moderna, originale incarnazione del suo porgersi.
La visione cupa, dolente dell’esistenza, si alterna alla rivelazione ed esaltazione inesausta dell’Amore, all’assetto antropocentrico dell’universo,
della essenziale sanità del tempo che ci è dato in dote.
Basta citare i seguenti versi:

Ma pur sempre
 l’unico mezzo,
 il solo possibile mezzo
di restare più a lungo
a respirare la vita”.

per prendere atto, che pur nell’apparente antitesi, l’Autore avverte la necessità di tessere una sintesi, di non rinnegare il Poeta e l’uomo costruttivo. L’età matura acutizza ogni aspetto della sua eclettica personalità, gli consente di avvertire presagi, di farsi profeta del proprio
e dei nostri passaggi terreni.
Ed è magistrale, a fronte delle stagioni vissute, la giovinezza del cuore, che
mi ha indotta a pensare a “La canzone dei vecchi amanti” di Jacque Brel, che recita ‘ce n’è voluto di talento per invecchiare senza diventare adulti’.
Nella Silloge si alternano liriche e aforismi. Questi ultimi sono presenti nella seconda parte del testo, intitolata “Dal serio al faceto – Dal sacro al profano”. L’irriverenza diviene lo scandaglio per sondare gli abissi della vita,

L’amore si comporta come un mulo,
 se gli dai un po’ di biada e l’accarezzi
 a volte è buono farti anche dei vezzi,
ma solo con dei cardi resta mulo”

Si tratta di una sorta di egloghe facete, che tramandano il valore della tradizione e il rispetto del metro classico. Questi aforismi e queste liriche rappresentano l’abito perfetto di un’Artista toscano, e favoriscono la smontatura dell’orgoglio umano, le riflessioni sulla vanità della vita intrise di ironia, a tratti di malinconia e, per l’aspetto dicotomico che connota l’intera Raccolta, l’apertura all’Amore.
Mi piace concludere proprio con i versi onirico –fiabeschi dell’ultima poesia della Raccolta. L’anima del nostro Professore è persa nel Sogno, nell’intenzione di coltivarlo, nell’infanzia mai perduta, nel recupero di ciò che si è vissuto e che nessun evento potrà mai cancellare:

Se spade blu
  riflettono tostati,
 se popolano strade,
 riverberi sui vetri,
 o presto sera,
fuochi di fiabe” – “Fiabe al camino”.

Maria Rizzi




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