martedì 12 maggio 2020

ENZO CONCARDI LEGGE: "ADOLESCENZA INFINITA" DI ROSSELLA CERNIGLIA



Rossella Cerniglia
ADOLESCENZA INFINITA
Manni Editore, 2007

Recensione di Enzo Concardi 


Questo libro di Rossella Cerniglia è un romanzo psicologico le cui chiavi di lettura vengono offerte al lettore dalla stessa autrice nella premessa – Marida, l’adolescenza – con una scelta abbastanza insolita nel panorama della narrativa italiana, ma non per lei che, in diverse altre opere anche di poesia, rivela questa peculiarità propedeutica alla lettura medesima. In breve ella ci tiene a dirci che l’adolescenza di cui si parla nel suo libro non è quella temporale stabilita da una fase dell’età evolutiva umana, ma uno stato interiore che connota per sempre l’anima e che non tramonta mai. E’ caratterizzata dai problemi della ricerca di senso dell’esistenza, del mondo e dal contrasto tra ideale e reale. Nella vita della protagonista viene narrata come un non accesso alla vita piena, matura, finalizzata ad obiettivi e progetti, lasciando in lei sempre lacerazioni e insoddisfazioni profonde nell’animo, insieme ad un senso di estraneità verso gli altri. Un ulteriore indizio viene poi messo sul tavolo dall’autrice: questa adolescenza assomiglia molto alla condizione dell’artista mancato, al disagio dell’artista contemporaneo il quale, di fronte ad un mondo materialista che chiude le porte alle esigenze dell’umano, del sentimento, si sente isolato e vive il suo stato come un esilio spirituale. E scommetto che qui molti scrittori di oggi si riconosceranno.
Il lettore che si accosterà al romanzo scoprirà da sé le vicende insite e la sua trama, che si sviluppano con una prosa sovente artistica e coinvolgente, pregevole per la struttura lessicale e l’eleganza del fraseggio, con parti narrate, dialoghi, feedback memoriali, spaccati di realtà, contesti ambientali e paesaggistici, numerose incursioni nelle dimensioni oniriche (sogno saffico con Carolina di Monaco...), inserzioni del linguaggio giovanile, e - nonostante la natura di opera psicologica - pochi termini tecnici, e molto scavo introspettivo minuzioso: il tutto con il giusto equilibrio della parti, senza lungaggini, con frequenti mutamenti di scena, per cui la lettura risulta sempre scorrevole e piacevole. Il genere ‘romanzo psicologico’ richiamerà alla mente ai più la Coscienza di Zeno di Italo Svevo, ambientato nel periodo culturale del Decadentismo e nell’epoca del primo sviluppo della psicanalisi freudiana, capostipite più noto della nostra letteratura di questo tipo. Tuttavia la protagonista di Adolescenza infinita ha poco a che vedere, a mio parere, con Zeno Cosini: costui è un abulico, inetto, ozioso, che si sente malato e quindi in continua ricerca di una guarigione dal suo male oscuro; Marida, invece, vive un malessere esistenziale e dell’anima provocato in parte da traumi infantili affettivi – perdita dei genitori – e in parte dalla sua ipersensibilità di fronte al mondo, agli avvenimenti. In comune possiamo riconoscere la reale sofferenza psicologica che deriva dall’essere troppo centrati su sé stessi, e il senso di inadeguatezza rispetto agli altri e alla società. La visione di Zeno è, culturalmente, propriamente decadentistica, ovvero attorcigliata attorno alla caduta dei valori e degli ideali del suo tempo, mentre quella di Marida è idealistica, sognante, ingenua, più propriamente romantica in una società e in un’epoca che romantiche non sono più.
Gli aspetti e le caratteristiche salienti del libro di Rossella Cerniglia li ritroviamo a diversi livelli di lettura. Partiamo dalla consonanza tra paesaggio e stati d’animo dell’eroina’ – per così dire – del romanzo: qui riscontriamo tonalità della natura ed interiorità di Marida che procedono di pari passo, ed abbiamo l’incipit del primo capitolo emblematico a proposito; nell’ouverture naturalistica con descrizione lirica si verifica la spogliazione paesistica autunnale parallelamente all’imputridire della vita verso la morte e già all’esordio ci appare la protagonista triste e sgomenta. Forse tutto inizia dalla famiglia, dalle perdite affettive dell’infanzia: il ricordo della madre morta è indelebile e pesa come una croce per il corpo e per l’anima; la figura del padre – che avrà un comportamento di abbandono verso i figli – è assolutamente negativa, troppo prosaico e ingombrante nelle sue imposizioni quando è presente fisicamente, c’è incomunicabilità e per lui Marida confessa un’avversione smisurata, un incomprensibile odio. Chiusa nella sua stanza lei vede la vita scorrere senza parteciparvi, o avere la sensazione di appartenervi.
Marida si sente anonima anche nell’immenso corpo scolastico. Qui tuttavia inizia a scoprire che esistono gli altri, ma in modo non reale, bensì super idealistico e sognante: la scrittrice rivela – come in tutte le altri parti del romanzo – notevoli capacità di introspezione psicologica e raffinatezza di analisi nel descrivere tali situazioni, forse facilitata da vissuti autobiografici. Scopre l’amore per un compagno di scuola, da lontano, senza che nessuno se n’accorgesse: un gigante-bambino che lei chiama Camillo; quando finalmente la conoscenza diventa concreta, la delusione è forte, poiché capisce che niente li accomuna ed è come la caduta di un mito, prima amorevolmente coltivato dentro di sé. Il bisogno di trovare punti di riferimento fa si che il professore di filosofia accenda la sua fantasia e la sua anima ed è naturale l’infatuazione, che poi diventa una specie di adorazione religiosa, forse sostitutiva dell’immagine paterna. Marida sente anche il bisogno di mettere ordine nei suoi pensieri e spontaneamente inizia a comporre dei versi. L’incontro con la scrittura accentua la sua inclinazione a guardarsi dentro, intuisce le sue contraddizioni, la sua fragilità, vive un sorta di autismo esistenziale rifugiandosi nel grande scantinato di casa, il suo regno, sola con sé stessa: infinite riflessioni sul destino, le scelte, i ruoli già assegnati agli umani in questo mondo, l’essere e il suo opposto, gli incubi che spesso la visitano.
All’Università ritrova Augusto, il suo ex professore di filosofia: ora l’antico innamoramento segreto si trasforma in relazione amorosa vissuta e Marida fin dall’inizio ha già paura di perderlo, è possessiva. Accetta questo amore pur accorgendosi quasi subito che da parte di lui si tratta di un amore sensuale, non dell’anima, quello di un narcisista che vive sentimenti effimeri. L’amore è un altro capitolo doloroso della vita di Marida: lei vuole l’eterno, cosa non di questo mondo, mentre i suoi incontri si riveleranno tutti sbagliati, accentuando la visione negativa della vita. Si convince che ogni cosa contiene le sue sconfitte, la propria morte. Ecco un’altra dilacerazione della sua anima: il conflitto tra sentimento e ragione, poiché Marida possiede anche una razionalità che non le concede tregua: questo è un altro motivo per cui ho definito il personaggio culturalmente romantico.
Ed io mi fermo qui, perché trattandosi di romanzo non si può svelare l’epilogo ne raccontare le vicende dell’ultima parte. Aggiungerei solo alcuni altri spunti di riflessione che la personalità e la vita di Marida possono offrire al lettore: la sua incessante ricerca sui perché della vita, sul dolore, sull’eterno e sull’effimero, sul rapporto tra l’io e la società, sulla solitudine, sulla verità e su Dio. Ella vive un “sonnambulesco interrogarsi senza fine” con il dubbio permanente su sé stessa e sulla vita, con un desiderio di fuggire senza sapere dove andare, sente fortemente mancanze ed assenze che la lasciano sola, sente come uno sdoppiamento di personalità (“Due vite: una del corpo, una dell’anima”; “Marida non appartiene più a Marida”). Subisce un crudele furto della speranza, che appare irreparabile. Un personaggio moderno, modernissimo, emblematico del nostro tempo per capire quel “disagio della civiltà” (Freud) che s’insinua negli individui.

Enzo Concardi



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